Una Repubblica fondata sul Lavoro

L’Italia ha una popolazione tra i 15 e i 64 anni, quella presa in esame per le statistiche su occupati e disoccupati, di 39.525.100 persone (65,1% della popolazione complessiva), di cui risultano occupati (sebbene la definizione di “occupato tralasci ogni considerazione sulla relativa intensità di lavoro), 22.179.400 persone (civili, escluse le forze armate), pari al 56,11% della popolazione compresa in quella fascia di età (naturalmente, tali dati vengono ora riportati in modo “fotograficamente” statico solo per esigenza di trattazione).

Avuto riguardo alle serie storiche dal 1977, come ricostruite dall’ISTAT e da cui è stato ricavato il seguente grafico aggiornato all’ultimo trimestre 2014, può rilevarsi come, nonostante la grave recessione, l’attuale tasso di occupazione, pur basso, sia ancora superiore a quello del ventennio 1997/97, periodo precedente, quindi, all’ingresso nell’euro.

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Continua, però, a risultare sconfortante, in termini di occupazione, il confronto con gli altri paesi europei e del G8. Solo Grecia, Turchia e Spagna hanno tassi di occupazione più bassi:

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Allarmante il dato disaggregato per età, da cui emerge che l’Italia ha in assoluto il più basso tasso di occupazione giovanile (un terzo di quella tedesca), anche segno di un sistema scolastico e di formazione professionale non orientati al mercato e al lavoro.

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Tali dati vanno comunque rivalutati alla luce del fatto che, ai fini della statistica in questione, non è affatto detto che un “occupato” lo sia per tutto l’anno (ed anzi basta che abbia lavorato per un’ora nella settimana della rilevazione), e che quindi  in alcuni paesi (soprattutto quelli del nord) sono presenti forme maggiori di flessibilità che fanno rilevare maggiori percentuali di occupazione.

In ogni caso, non si può nascondere che l’Italia è un paese in cui ha lavorato e lavora poca gente (quanto meno in modo costante e ufficiale) e che sta invecchiando velocemente, a cui il futuro potrebbe riservare, a scenario costante, un tasso di dipendenza doppio rispetto all’attuale. Ogni 100 persone attive e occupabili, 60 saranno anziane o bambini (ma bisogna tener conto che attualmente su 100 ne lavorano 56, quindi quasi un rapporto 1:1), con tutti i riflessi in termini di costi sanitari, previdenziali e assistenziali che gli occupati dovranno sostenere.

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Per avere contezza delle stime del futuro tasso di dipendenza italiano (con scenari di tassi anche al 70,3% nel 2035 e all’83,4% nel 2045) a seconda dei diversi tassi di fertilità, mortalità, immigrazione, si può consultare la specifica pubblicazione delle Nazioni Unite “World Population Prospects: The 2012 Revision”.

Quando la demografia non aiuta, occorre avere un alto tasso di incremento della produttività. In passato, le economie avanzate hanno beneficiato di buoni tassi di crescita della produttività. Nell’ultimo decennio, però, tale crescita si è notevolmente ridotta (dati McKinsey)

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Nei trascorsi 50 anni, anche la produttività italiana è cresciuta ad una media dell’1,8%, non dissimile dalla media delle economie avanzate.

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Assumendo tale tasso di crescita, e l’attuale tasso di occupazione, McKinsey ipotizza che nei prossimi 50 anni il PIL italiano dovrebbe crescere ad una media annua dell’1,4% (1,5% procapite), con una riduzione, rispetto alla media del passato, del 36% (del 14% in termini di PIL procapite).

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Una percentuale certamente non esaltante e non sufficiente, in prospettiva, a “servire” il debito pubblico esistente e quello annualmente generato, soprattutto quando il contesto mondiale imporrà di alzare i tassi di interesse (sebbene tale ipotesi sia al momento ancora abbastanza lontana).

Peraltro, non è neppure certo che in futuro l’Italia potrà godere di una crescita della produttività ad un tasso pari a quello medio degli ultimi 50 anni.

Negli ultimi 20 anni, infatti, in termini di PIL per ora lavorata, la crescita della produttività è stata assolutamente stagnante e ci ha posto agli ultimi posti in Europa e nel mondo.

Dal 1995 al 2011 (si è assunta tale data per omogeneità con alcuni altri dati ma da allora poco e nulla è cambiato), il PIL della Germania e dell’Italia è cresciuto ad un tasso, rispettivamente, dell’1,4% e dello 0,9%.

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Quanto sopra nonostante le ore complessivamente lavorate in Germania siano rimaste pressoché immutate (57,781 miliardi nel 1995 e 57,973 nel 2011), mentre in Italia siano aumentate da 40,6 miliardi nel 1995 a 43,838 miliardi nel 2011 (dati OECD anche per i successivi grafici sulla produttività).

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Quanto sopra, inoltre, nonostante, nel periodo considerato, ogni addetto italiano abbia lavorato, in media, un numero di ore superiore a quello tedesco (nel 2011, 1772 ore un addetto italiano e 1405 ore un addetto tedesco).

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Si può agevolmente comprendere che la differenza di crescita nel PIL dei due paesi risieda nel valore aggiunto apportato da ogni singola ora di lavoro. Il grafico della crescita del PIL reale per ora lavorata mostra con evidenza tale differenza.

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Peraltro, nel periodo in argomento, l’input complessivo di capitale e lavoro, pur inferiore ai decenni precedenti, risulta superiore a quello tedesco.

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Pesantissimo è, invece, il divario nella crescita della cd. produttività multifattoriale, che sebbene possa essere considerato concetto artificialmente estrapolato da quello della produttività del lavoro, può fornire una più chiara indicazione del divario di organizzazione politica, sociale, manageriale, di utilizzo delle qualità e competenze umane, delle economie di scala, dell’efficienza dello Stato e della pubblica amministrazione.

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Lavorando, quindi, il 20,7% in meno, un addetto tedesco sviluppa lo stesso livello di PIL complessivo di quello italiano (rispettivamente, 64.630 euro verso  63.792 euro – dati 2012), dal momento che ogni ora lavorata da un tedesco produce 46 euro di PIL verso i 36,23 euro prodotti da un italiano (chiaramente, ai fini del PIL complessivo, tale volume individuale di PIL deve poi essere moltiplicato per il diverso numero di occupati, maggiore per la Germania sia in termini assoluti (circa 20 milioni di occupati in più), sia, come si è visto, in termini percentuali rispetto alla popolazione 15/64 anni).

[tweetthis]Lavorando il 20,7% in meno, un tedesco sviluppa lo stesso PIL di un italiano[/tweetthis]

La zavorra della “produttività multifattoriale”, o meglio, della “improduttività multifattoriale”, sul tessuto imprenditoriale, economico e sociale, risulta, peraltro, anche senza dati: non c’è giorno che ogni singolo cittadino non debba consumare metà delle energie, del tempo e delle risorse per sopravvivere agli ostacoli disseminati, da decenni, da una classe politica inadeguata e che tuttora, manifestamente, non ha ancor ben compreso il vero contenuto delle riforme strutturali necessarie (non ultima, quella, sempre più indispensabile, del sistema scolastico/universitario), compresa l’esigenza che il paese venga liberato dall’opprimente giogo fiscale, la cui significativa riduzione può originarsi, però. solo in esito all’applicazione di nuovi modelli organizzativi di Stato, enti locali e P.A., disegnando incentivi e sanzioni idonei ad evitare la deresponsabilizzazione delle azioni e della spesa pubblica.

Altrimenti, come è facilmente intuibile, ci penseranno demografia, globalizzazione e debito pubblico a decidere per tutti.

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Grazie per aver votato!

Pubblicato da roundmidnight

Occupa da anni, in modo semiserio, un posto in un consiglio di amministrazione all'interno di un "gruppo" internazionale.

28 Risposte a “Una Repubblica fondata sul Lavoro”

  1. Ecco. Ne mancava giusto un altro che si mettesse a gridare: “dobbiamo fare le riforme strutturali”.

    Premesso che questo sito si iscrive alla scuola di pensiero liberale [nell’accezione italiana del termine. Liberale quando si parla di cultura nel senso lato del termine, liberista quando si parla di economia. Ma Liberale = Liberista, le differenziazioni sono solo per chi ha un po’ di vergogna ad ammettere l’equazione, Von Mises docet], e che quindi le liberalizzazioni non bastano mai, mi sembra che le “riforme liberali”, però, siano già state fatte. No? Allora dettagliamo un po’:

    Jobs Act – Ovvero i mini jobs all’italiana. Licenziamenti facilissimi. Hanno finanche reintrodotto surrettiziamente i CoCoCo;

    Pensioni – Adesso si va in pensione +/- a 67 anni, in aumento. Importo delle pensioni? Si sente dire non oltre il 50% della media degli ultimi stipendi;

    Sanità – Manca poco. La “liberalizzazione” fa parte del Trattato TTIP, anzi del connesso TISA, https://search.wikileaks.org/search?q=TISA+June+2014.

    Privatizzazioni – IRI, EGAM, ENI, ENEL, TELECOM, SME (Buitoni/Perugina etc.), le tre BIN (Banche d’interesse nazionale), sulla buona strada per le Popolari. Migliaia di società italiane vendute all’estero (es. Parmalat, Ansaldo, quasi tutto il settore “moda”). Per le municipalizzate c’è qualche problema perché le decisioni sono troppo parcellizzate. Ma manca poco anche lì.

    Scuola – C’è sempre qualcosa da migliorare. Ma se i nostri laureati fossero così scadenti, perché sono così ben accetti ovunque nel mondo (al CERN di Ginevra, ad esempio, sono in stragrande maggioranza relativa)? Mai avuto a che fare con un laureato di un’università anglosassone (io, purtroppo, sì)? Se poi il redattore vuol parlarci del sistema americano, giusto per accennare a quella storiella dei prestiti agli studenti (ma a voi Liberali le bolle che scoppiano piacciono molto, specialmente quando gli oneri vengono fatti ricadere sui bilanci degli Stati), farebbe cosa grata al lettore, che così capirebbe di che cosa si sta parlando. Il fatto è che mancano gli investimenti, perché i nostri soldi servono per salvare le banche private tedesche/francesi/olandesi.

    Continuo? No, per carità, mi fermo qui. Ma infine, che cosa voglio dire?

    Anche alla luce delle vicende dell’occupazione che l’articolista ha in parte brillantemente descritto (smentendo i proclami di Renzi/Padoan), ma senza dimenticare che NON E’ VERO che il Pil italiano crescerà quest’anno dello 0,7% [visto che il miglioramento causato una-tantum da petrolio e svalutazione dell’euro sarà compensato in negativo dagli effetti recessivi delle manovre di bilancio in atto. Anzi, se le condizioni di vantaggio esterne verranno meno, fatto che molti analisti prevedono per la seconda parte dell’anno, il Pil del 2015 sarà negativo per l’ennesima volta], la domanda è: MA NON E’ CHE LE RIFORME STRUTTURALI, CHE LEI TANTO DESIDERA, SONO GIA’ STATE FATTE E SI SONO RIVELATE NEGATIVE PER L’ECONOMIA, CRIMINOGENE PER LA SOCIETA’, SENZ’ALTRO INCAPACI DI FAR RIPRENDERE L’ECONOMIA ITALIANA (ED ANZI, ESSE STESSE CAUSA DI NOTEVOLI PROBLEMI).

    Che si può fare? Si torna sempre sul solito punto.

    Se la ripresa non c’è, se l’economia e la società italiane stanno facendo clamorosi passi indietro, se la borghesia italiana ne sta uscendo pressoché distrutta, se i poveri sono in aumento esponenziale, LA COLPA E’ DEL DIFFERENZIALE DI COMPETITIVITA’ CON LE ECONOMIE NORD EUROPEE. Hai voglia a deflazionare qui in Italia (le riforme che a lei piacciono tanto), se la Germania, invece di inflazionare, deflaziona ancora più di noi. Quando mai torneranno delle condizioni di equilibrio, che farebbero conseguentemente riprendere l’economia italiana (e quindi l’occupazione etc. etc.)? Senza dire che l’euro, per loro, è una valuta sottovalutata, mentre per noi, al contrario, è notevolmente rivalutata (almeno il 25%).

    Il problema, quindi, Mr. Round Midnight, è una parolina piccola piccola. Composta di tre vocali ed una consonante. Suvvia, ce la dica anche lei. Faccia come Fantozzi e la Corazzata Potemkin, gridi con me: L’EURO E’ UNA GRANDISSIMA CAGATA.

    Per le riforme strutturali sono d’accordo anch’io, ci vogliono, MA DI SEGNO OPPOSTO A QUELLE COSI’ SOGNATE DA VOI LIBERALI, dopo essere tornati all’indipendenza politica ed economica del nostro paese. Si faccia un Bourbon alla mia salute.

    1. Se hanno la nostra stessa moneta, come mai i paesi nord-europei come dici tu non soffrono dei nostri stessi problemi? Bacchetta magica che cancella il problema dell’euro?
      Il Jobs Act farà sicuramente schifo, ma è entrato in vigore da 30 giorni: davvero una legge secondo te in un solo mese dovrebbe creare milioni di posti di lavoro?
      Eni ed Enel poi non sono aziende private, visto che i dirigenti sono scelti dal governo e che lo Stato italiano mantiene una quota di controllo importante.

  2. Beh, a questo punto chi avesse ancora voglia di capire domanderebbe: ma il “differenziale di competitività con le economie nord europee”, da cosa è dovuto?
    Sempre nella speranza che il fattore di crescita da scoprirsi sia replicabile e non chimerico (che ne so, la “famigerata produttività” di RoundMidnight dovuta ad un migliore mix di politiche industriali, infrastrutture, formazione professionale e burocrazia friendly, piuttosto che un impiego di magia voodoo per far nascostamente lavorare zombies di operai DDR morti come il cavallo Gondrano nel valoroso compimento del loro lavoro rivoluzionario).
    Mi scusi Ocnarf, tutto voglio fuorchè risultarle ironico, sarcastico e infine fastidioso, ma nella polemica antieuro abbiamo tutti notato che la percentuale di occupati è sensibilmente cresciuta nel periodo di adesione alla moneta unica?
    Aspetto una sua replica, ripeto, solo per sentire in modo esaustivo e (spero) altrettanto scientificamente fondato un parere diverso.
    Grazie

  3. Mi permettano tutti onfine un ultimo contributo all’argomento.
    Io lavoro da quaai 14 anni presso la struttura retail di una grande banca italiana, da sempre in un ruolo commerciale-tecnico e ultimamente con qualifiche direttive o di vicariato.
    Assicuro tutti, mano sul cuore, che quanto sto per scrivere corrisponde a realtà.
    Negli ultimi anni sono stati fatti investimenti imponenti da parte dell’Istituto su questi fronti: pratica di fido elettronica e dialogante con tutte le procedure di valutazione e gestione del rischio di credito per eliminare carta; formazione professionale sui tanti e montanti temi quali antiriciclaggio, mifid, ivass, trasparenza e Patti Chiari etc…; “inculcamento” di una nuova metodologia di lavoro basata (a scriverlo sembra quasi paradossale che prima non si facesse così, definiamola allora “ulteriore nuova spinta a..”) basata su proattività, assertività, uso agenda elettronica, appuntamenti certi e prefissati, concentrazione su obiettivi, compartecipazione cognitiva periodica di tutte le risorse di qualsiasi livello e ruolo ai risultati di filiale perchè tutti sappiano “dove siamo, a che punto di raggiungimento del budget annuale stiamo, e quali azioni intraprendere per ottenerlo).
    Sono cambi di comportamenti e strumenti che hanno e stanno modificando visibilmente il lavoro mio e di migliaia di colleghi.
    Eppure la redditività e produttività complessiva del mio settore è fra le piu basse ancora come mostrano statistiche e scontri contrattuali fra ABI e OOSS. Perchè?
    Beh….è semplice: intanto ci vuole tempo perchè riforme strutturali come queste vengano digerite e divengano operare quotidiano di tutti, c’è chi ci mette di più chi è più veloce; in ogni caso sopra di tutto sta sempre la spada di Damocle della burocrazia, vero male del nostro tempo e del mio lavoro: più volte in riunioni con la Direzione ho sollevato il problema che metà della mia giornata se ne va in burocrazia per agevolare il lavoro di decine di differenti ufficio “sopra del mio” di cui ognuno è poi centro autonomo e indipendente di attività URGENTI e PRIORITARIE da farmi svolgere, mancando ogni forma di coordinamento superiore che ” incanali” tale lavoro ordinatamente. Il tutto nel quotidiano stillicidio di direzioni commerciali che telefonano/scrivono per sollecitare risultati “sul terrotorio”, “presso i clienti”.
    Non voglio sia chiaro lamentarmi sterilmente con voi del mio lavoro, ma presentare un chiaro esempio di fattori del capitale migliorati e efficentati (per quanto perfettibili) e fattore lavoro rallentato da un mix di burocrazia, non adeguata formazione (oggi vale quella on line, da farsi in ufficio in orario di lavoro: qualcuno xhe ha un lavoro a contatto col pubblico mi sa dire quanto tempo continuativo si può dedicare a corsi che durano 7-8 ore come quello IVASS e 2-3 ore quello antiriciclaggio?) e tempi richiesti di reazione inadeguati alla realtà, nonchè età media degli occupati compresa fra 40-50 anni, azzeramento fattuale da anni e anni di assunzioni di “carne fresca” causa utilizzo fondi prepensionamento per ristrutturazione del settore.
    Questo è un esempio ma si basa guarda caso sulle stesse teorie economiche usate nell’articolo di RoundMidnight: ricavi (gdp) conseguenza di produttività e crescita della popolazione; questi ultimi conseguenza del mix fra fattori capitale/lavoro e andamento demografico (nascite/morti/immigrazione = assunzioni/pensioni nel settore micro).
    Io non conosco altre equazioni.
    Forse Lei Ocnarf mi illuminerà.
    Lo spero.

  4. @Ocnarf Premesso che i commenti sono sempre benvenuti ed utili…ma temo che si faccia sempre confusione tra liberismo e capitalismo relazionale. Tutti i casi indicati (privatizzazioni senza preventive liberalizzazioni, riforme lavoro parziali, ecc), si riferiscono a quest’ultima fattispecie. Nel capitalismo relazionale, non si tutelano mercato e concorrenza, non si promuovono opportunità per tutti, ma si favoriscono amici, sodali e lobbies (di segno diverso a seconda del colore di volta in volta dominante).
    La soluzione, a quel punto, non è cambiare partiti e persone sperando che siano diversi o più virtuosi, ma cambiare l’intera impostazione.
    Ma temo che sarà difficile senza eventi traumatici.
    L’euro…beh…tanto è stato detto e tanto sarà detto…la mia opinione è nota e non la ripeto.

  5. La ” colpa ” non è mai a senso unico. Sbagliamo a guardare solo all’euro dimenticandoci che nello stesso periodo è stata costituita la ” Globalizzazione” o meglio è stato instaurato come preferisco chiamarlo il ” MULTINAZIONALISMO “.

  6. In parte, demografia, globalizzazione e debito pubblico stanno già decidendo il nostro futuro.
    Chi si illude che la sovranità sia uno strumento per evitare l’impatto con fattori che sono planetari e quindi di sistema non può che illudersi e questo non è liberismo o comunismo o altro, ma cruda realtà del mondo in cui siamo ora. Forse che “autarchizzando” le nostre politiche si eviterebbero gli impatti di qualcosa che è sistemico?

    Fattore su cui si ama sorvolare è quello demografico.
    Alla fine rischia di essere la vera e definitiva condanna per l’Italia, portando in corto circuito il sistema sanitario e previdenziale in tempi più brevi del previsto e si badi anche qui chiudere i valichi o uscire dall’euro non servirà assolutamente a nulla: il problema è far nascere più bambini attuando opportune politiche dentro o fuori dall’euro e lo stesso dicasi per globalizzazione e debito pubblico.

    Demografia e riforma del sistema scolastico sono le priorità. Chi cita gli Italiani al CERN si faccia una gita in qualsiasi istituto professionale, dove è ben evidente la disarticolazione fra lavoro e formazione. Non si può agire con buon senso? No è sempre opportuno in Italia far polemiche e nella cortina fumogena che si solleva e fra paroloni che volano, meglio se in televisione, ma anche qui va bene, i problemi restano tutti dove sono e restano clamorosamente irrisolti….

  7. Oppure possiamo contestare quel che c’è, possiamo armarci contro il MULTINAZIONALISMO, che è poi un ritorno al NAZIONALISMO, come ben dimostrano Le Pen e Salvini.

    Però le proposte quali sono? I problemi, ad esempio di tipo ambientale possono essere affrontati in termini di singole nazioni? I trattati sulla circolazione delle merci? I problemi legati alla sicurezza ed alla difesa? Andando oltre gli slogan?

    Comunque se una sollecitazione intellettuale va posta a Roundmidnight sta nella problematica dell’accentramento delle ricchezze. Aumento della povertà è mancata distribuzione della ricchezza sono una grossa grana, che blocca ad esempio la crescita demografica, così urgente per l’Italia.

    Senza raccontarci favole come ostacolare la crescita della povertà che affligge non solo l’Italia, ma molti altri stati? Quali azioni compiere oltre un adeguamento del sistema educativo? Temo ci sia ben altro dietro all’erosione della middle class, proprio perché è un processo planetario.

    1. Basta prendere come esempio il costo di irap, contributi previdenziali e sociali e farne un confronto internazionale.
      Ma ho visto tante tabelle e , a parte USA, Canada e Gran Bretagna, questi costi non si discostano, in percentuale, da quelli analoghi delle altre economie europee, anzi Francia, Belgio, la stessa Finlandia se ricordo bene hanno percentuali più alte eppure produttività migliori e pil forse anemici ma non disastrati. Perchè?
      Io rimango del mio parere: meno burocrazia, luoghi di lavoro con una organizzazione precisa business oriented (l’esempio che sopra postavo per il lavoro in banca è x me esemplare), meritocrazia, “largo ai giovani”, formazione scolastica business oriented, efficienti politiche e strutture di incontro offerta-domanda di lavoro, certezza del diritto, regole chiare, giustizia civile veloce e repressione dell’illecito certa: queste sono tutti gli ingredienti che ci mancano.
      Poi anche noi avremmo una produttività sicuramente più alta.

  8. Beneathsurface sostiene che:

    “””Beh, a questo punto chi avesse ancora voglia di capire domanderebbe: ma il “differenziale di competitività con le economie nord europee”, da cosa è dovuto?”””.

    Davvero non lo sa? E allora perché scrive di economia? Vediamo un po’: il miglioramento sleale della produttività in Germania, sintetizzando allo stremo, è basato su due punti (uso il termine sleale, ovvero da filibustieri, perché in contrasto con Maastricht, che esiste solo quando fa comodo ai tedeschi e ai francesi. Questo Trattato prevede che per i fatti economici importanti ci sia una concertazione fra gli Stati che, in questo come in altri casi, non c’è stata, giusto? In questo modo ha costretto tutti a deflazionare, a prescindere dalla volontà dei singoli paesi. Non solo, ma non facendo seguire alla deflazione altrui un’inflazione propria, impedisce di fatto il ristabilirsi di condizioni di pari competitività):

    1 – DEFLAZIONE DA COSTO DEL LAVORO, attraverso l’introduzione dei mini jobs (riforma Hartz IV). Cosa significa in dettaglio se lo studi da solo – oppure mi mandi la sua Partita Iva, così le mando il conto – ma si è creata in generale la più grande area di lavoro precario e sottopagato nella storia europea (è quasi un virgolettato di Schroder, noto elemento di, ehm, sinistra). Non sono stati distribuiti in salario 7 – 8 punti di migliorata competitività. Per la verità lo aveva anticipato Kaldor (premio Nobel per l’economia. Sfanculò Van Hayek, fra l’altro, ritenendolo un mentecatto intellettuale) parlando di salario efficace. Ho qualcosa in merito, che ho tradotto e fatto pubblicare a suo tempo. Se lo ritrovo lo posterò in un commento successivo.

    2 – RIDUZIONE A ZERO DEGLI INVESTIMENTI. Se vuole può leggere questo articolo dello Spiegel On Line, basato su uno studio del tedesco DIW, mi scuserà se è poco: http://www.spiegel.de/international/germany/diw-weak-infrastructure-investment-threatens-german-future-a-907885.html. A suo tempo ho tradotto anche questo, ma l’articolo ha dimensioni troppo ampie per essere postato come commento. Se Mr. Boda lo pubblica lo invierò (per la verità, pur senza giurarlo sulla tomba dei suoi avi, mi aveva mezzo promesso la pubblicazione di uno studio della BoFA/ML che gli ho inviato, il quale dimostrava il vantaggio dell’Italia ad uscire dall’eurozona. Sono ancora in attesa). Inoltre, se va a trovarsi la formula per il calcolo del Pil, la clamorosa mancanza di investimenti, in Germania, risalta con una certa evidenza (c’è anche stato, in merito, un breve ma interessante articolo di Krugman. Se lo ritrovo, questo sarebbe sufficientemente breve da essere postato).

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    Ma Beneathsurface insiste:

    “””Mi scusi Ocnarf, tutto voglio fuorché risultarle ironico, sarcastico e infine fastidioso, ma nella polemica antieuro abbiamo tutti notato che la percentuale di occupati è sensibilmente cresciuta nel periodo di adesione alla moneta unica?”””.

    La ringrazio per non fare ironia su un povero cristo quale io sono, guadagnando in questo modo palesi benemerenze per l’al di là (si scrive così?). Sul tasso di occupazione (15 – 64 anni, dati Istat totali), su questo sito, http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_TAXOCCU, noto che è passato dal 57,4 del 2002 (anno d’introduzione dell’euro) al 55,7 del 2014. Giusto?

    Quello sulla disoccupazione (15 – 64 anni, dati Istat totali), che ho trovato su questo sito, http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_TAXDISOCCU, passa dall’8,6% del 2002 (anno d’introduzione dell’euro) al 12,7% del 2014 in aumento. Giusto?

    Guardi che poi, dietro questa fiction occupazionale, non c’è il calcolo degli scoraggiati. In Italia ci sono circa 3 milioni di persone che un lavoro non lo cercano nemmeno più, non si iscrivono agli uffici di collocamento e quindi sfuggono alle statistiche (succede la stessa cosa negli Stati Uniti). Il tasso di disoccupazione reale, così calcolato, raggiungerebbe, non solo a mio parere, più o meno il doppio di quello ufficiale.

    Tenga presente, inoltre, che i dati relativi alle persone occupate comprendono coloro che fanno lavori forzatamente part-time o meramente occasionali, anche di un’ora a settimana. Di conseguenza, Signor Benearhtsurface, ma che diavolo vuol dire? Che l’euro ha fatto aumentare l’occupazione? Omissis …

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    Ma Beneathsurface invia un altro post nel quale parla della produttività della banca in cui lavora, sostenendo alcune cose al riguardo della produttività di questo istituto. Si chiede, alla fine, se potrò mai illuminarlo.

    Premesso che per illuminarla basterebbe il fuoco di un cerino … premesso inoltre che, in generale, visto che il sistema bancario è in palese default (regolarmente salvato dagli Stati e dalla BCE), se doveste essere giudicati dai risultati (in particolare di chi si occupa dei fidi, quelli grandi e quelli piccoli. Mai sentito parlare del ciclo di Frenkel?) voi bancari sarebbe meglio cambiaste lavoro, più che darle un’illuminazione potrei ricordarle com’è che si calcola la produttività:

    In economia la produttività può essere definita, in prima approssimazione, come il rapporto tra la quantità dei risultati prodotti e le quantità di uno o più input utilizzati nel processo di produzione. Lo so che questa definizione è scandalosamente sintetica, però mi permette di inserire un concetto. Se gli investimenti li avete fatti (basta aspettare che le novità siano assorbite, giusto? E’ quello che lei ha scritto), ma la produttività rimane bassa rispetto ad altre banche nazionali o straniere (badi che io non so molto del settore. L’ha detto lei), significa che il costo del personale è troppo alto, o per numero di occupati, o per valore degli stipendi. Un po’ di mini jobs come in Germania? Manca poco, sa? Il Job Act ha appena avuto inizio. Anche il TISA (TTIP) è in agguato.

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    RoundMidnight, invece, è più sottile. Inserisce il concetto che si fa sempre confusione fra Liberismo e Capitalismo Relazionale. Non sono d’accordo. Una distinzione può esserci a mero livello teorico, ma non esiste mai nella pratica. Il concetto è troppo importante e, per rispondere, avrei bisogno di tempo. In attesa di un eventuale futuro intervento (ma lei scrive articoli, io solo commenti. Non siamo sullo stesso piano) le farei, però, una richiesta: mi fa qualche esempio di mercato felicemente libero? Non vedo l’ora di leggere. Non la offendo facendo un elenco contrario. Lei queste cose le conosce molto meglio di me. Il fatto è che voi Liberali siete molto ideologici. Pretendete di cambiare la realtà perché si adatti alle vostre teorie. Ma non dovrebbe essere il contrario?

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    Mi metto alla ricerca di un articolo di Kaldor e di uno di Krugman che potranno molto aiutare Beneathsurface (un nickname un po’ più semplice no?) a comprendere il concetto di produttività. Li posterò entro stasera (se li ritrovo. Altrimenti pazienza).

    1. Lo giuro su quanto mi è caro, questa risposta di ocnarf che precede quella riportante l’articolo di Kaldor non l’avevo vista. E sì che per abitudine le scooro sempre tutte!
      Beh, poco male….intanto non ha aggiunto nulla, neppure nella prima parte, a quanto già non sapessi (conosco le riforme Hartz), e poi ignorando la sua (deprecabile) animosità verbale ho potuto serenamente scrivere la mia risposta.
      Altro discorso è quello della banca. Dio mi fulmini ogni volta che penso di poter tranquillamente dire che lavoro faccio: la parola “banca” produce riflessi pavloviani incontrollabili e furiosi!
      Tagliatele la testa! (Alla parola, intendo… :-/ ).
      Ripeto: il mio voleva solo essere un esempio di investimenti per aumentare la produttività, ma che ancora non mostrano tutta la loro potenziale crescita e beneficio perchè bloccati da altri intoppi che necessiterebbero di altrettanta manutenzione.
      Certo, se vogliamo ridurci gli stipendi raggiungeremmo lo stesso un maggior livello statistico di produttività, ma perchè socialmente darsi la zappa sui piedi quando esistono margini di miglioria nel processo produttivo?
      E poi la sua replica mi sorprende: proprio da lei che combatte la deflazione salariale….o sto sbagliando?

    2. Sul discorso occupazione, dato che usiamo dati ISTAT e così permettiamo a tutti di vedere da sè, prendiamo la prima figura pubblicata nel presente articolo.
      Nel periodo di adesione all’€ (guardi per chiarezza dico: quando si decise di far nascere euro) si assiste a un salto nella percentuale di occupati, prima mediamente oscillante su 54. Poi se lei vuole giocare con i numeri e mi posta la discesa occupazionale in-crisis, amen, vabbeh!!
      Che poi dati alla mano mi pare che la percentuale stia più alta del pre euro comunque, ed è la peggior crisi dai 30’s.

  9. PER BENEATHSURFACE, SUL CONCETTO DI SALARIO EFFICACE (IN RELAZIONE ALLA DIFFERENZA DI COMPETITIVITA’ FRA STATI DELLA STESSA UNIONE MONETARIA).

    Tratto dal “The Dynamic Effects Of The Common Market” di Nicholas KALDOR – New Statesman del 12/03/1971 – poi ristampato nel “Further Essays On Applied Economics” (6° volume della serie “Collected Economic Essays”).

    Pagina 192 :

    Myrdal ha coniato la frase “nesso di causalità circolare e cumulativa” per spiegare la ragione per cui il ritmo di sviluppo economico delle varie aree del mondo non tende ad uno stato di equilibrio costante ma, al contrario, tende a cristallizzarsi in un numero limitato di aree in rapida crescita, il cui successo ha un effetto inibitorio sullo sviluppo di altri.

    Questa tendenza non potrebbe verificarsi se i cambiamenti nei salari monetari fossero sempre tali da compensare la differenza nei tassi di crescita della produttività. Tuttavia ciò non si verifica.

    Per ragioni che non sono forse pienamente comprese, la dispersione nella crescita dei salari monetari, tra le diverse aree industriali, tende ad essere – sempre – notevolmente inferiore alla dispersione nei movimenti della produttività.

    E’ questa la ragione per cui, all’interno di un’area monetaria comune – o nell’ambito di un sistema di valute convertibili a tassi di cambio fissi – zone in relativa rapida crescita tendono ad acquisire un vantaggio competitivo cumulativo rispetto ad aree in crescita relativamente lenta.

    Livelli di salario “efficienti” (ovvero salari monetari divisi per la produttività) sarebbero quelli che, nel corso naturale degli eventi, tendono a diminuire nel primo caso (aree in crisi, ndt), rispetto al secondo (aree in crescita, ndt) – anche quando i salari tendono ad aumentare, in termini assoluti, in entrambi i casi.

    In ragione dell’aumento delle differenze di produttività (perché non siamo in presenza di salari “efficienti”, ndt), i costi comparati di produzione, nelle aree in rapida crescita, tendono a cadere – nel corso del tempo – relativamente a quelli delle aree a crescita lenta, e migliorano, di conseguenza, il proprio vantaggio competitivo sulle seconde.

    Link Originale: http://www.concertedaction.com/2012/08/16/nicholas-kaldor-on-the-common-market/

    Mi metto “a caccia” dell’articolo di Krugman

  10. Mi perdonerà Beneathsurface, ma non trovo la versione in italiano dell’articolo di Krugman, che dimostra il blocco degli investimenti fatto in Germania per procurarsi un vantaggio competitivo (di breve-medio termine. Sul lungo termine …).

    Si tratta comunque di un inglese semplice, facilmente comprensibile. Nel precedente post di Kaldor credo di averle dimostrato che la prima ragione della migliore competitività tedesca sia stata la deflazione salariale.

    In questo (Paul Krugman) viene dimostrato, da una semplice analisi del Pil, che al forte surplus delle Partite Correnti (7 – 8 punti di Pil), considerata costante (ed anzi) la voce Saving, non può che corrispondere un analogo crollo degli investimenti. Senza dimenticare l’articolo dello Spiegel, Ailing Infrastructure (già sopra linkato). Krugman si limita ad illustrare la seguente equazione (il Pil):

    Y = C + G + I + X – M.

    Da cui: Y – C – G – I = X – M.

    E quindi: S – I = X – M

    More Notes On Germany – NOVEMBER 1, 2013 – http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/11/01/more-notes-on-germany/?module=ArrowsNav&contentCollection=Opinion&action=keypress&region=FixedLeft&pgtype=Blogs

    A few more things to say about Germany’s trade surplus and the US report saying, correctly, that it’s harmful to the world economy.

    The worst thing, if you ask me, in the Spiegel report on the controversy is the statement by Germany’s Economics Ministry that Germany’s surplus is a sign of the competitiveness of the German economy and global demand for quality products from Germany.

    Economists everywhere should read this and weep. It is a basic accounting identity that

    Current account = Savings – Investment

    Any story about the determination of the current account balance must take this identity into account. Suppose you have wonderful products that the world loves; even so, if you have low savings and high investment, you must run deficits. How can this happen? Simple: you end up with a high value of your currency and/or high wages relative to competitors.

    So while it’s impressive that Germany can run a surplus despite quite high labor costs, and that’s a testimony to the quality of its stuff, ultimately the surplus reflects high savings relative to investment.

    And we are, as I said in a different context just the other day, in a world awash in savings, a world in which someone who decides to spend less and save more makes the whole world poorer. That’s not the normal situation, but it’s where we are now, and where we have been for five years.

    Does the German Economics Ministry really not understand any of this? My guess is that it doesn’t — that Germany really does see itself as a role model, believes that all would be well if everyone behaved the same, and doesn’t see the notion of a world in which everyone runs big trade surpluses as being problematic in the least.

    §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§

    Adios

  11. Caro Ocnarf, intanto la ringrazio per la cortese replica.
    Ho letto l’estratto dell’articolo di Kaldor che Lei ha postato, per motivi di tempo non ho letto l’articolo intero ma lo considero adeguatamente riassunto nel suo estratto, benchè magari non esaustivo. Conosco il pensiero di Krugman.
    Forse la sorprenderò, ma in realtà presentandomi queste motivazioni sfonda con me una porta aperta: il discorso “crescita salari nominali / produttività” mi è nota, come è nota a qualsiasi modello teorico sia monetarista che keynesiano; un esempio illuminante è il modello domanda-offerta aggregata.
    Non le volevo tendere un tranello, ma agli effetti così è: nel momento che anche lei mi imbraccia il rapporto salari/produttività come principio base delle differenze di competitività, comprendo che non parliamo lingue tanto distanti: ci separa solo una precisa, libera scelta politica: lei ritiene aberranti le misure richieste per “metterci alla pari” con le economie più produttive, altri pensano il contrario,io dal canto mio le giudico scelte dolorose (da turarsi il naso diceva Montanelli) ma necessarie se ritieniamo che un eventuale €xit sia un suicidio rituale collettivo disordinato.
    Se vuole la invito a guardare il problema da questa angolatura (che poi mi viene utile per parlare anche dell’articolo di roundmidnight): è arcinoto e economicamente fondato e tanto giusto quanto meno doloroso da un punto di vista sociale se le economie più produttive del nord europa avessero reflazionato invece di insistere sull’austerity.
    Perchè non è stato fatto?
    Krugman lascia intravedere l’ipotesi che i tedeschi, non digiuni di economia, siano invece pieni di arroganza e “maestrini”.
    Può darsi, ma io propendo per un altra idea, conoscendone il pragmatismo e la visione strategica: i tedeschi sanno che l’unionemonetaria e quella europea sono la forza trainante della loro e delle nostre economie, e sanno anche che solo la maggiore dimensione permetterà di competere con Cina e USA.
    Se inflazionassero, a parità di produttività e anzi lasciando che dentro l’€zona permangano sacche di produttività bassa o calante, questo vantaggio si perderebbe o si limerebbe. Non sia mai! Gridarono 😉
    È giusto? É sbagliato?
    Anche questa è una scelta che può essere tanto ideologica quanto politica, al limite “culturale”,”psicologica”, cioè aventi radici nel substrato mentale del popolo che la assume e dei loro rappresentanti politici.
    Tuttavia, essendo ripeto strateghi, non credo che ignorino le condizioni e demografiche e di maturità delle economie sviluppate per cui in futuro e per i prossimi paio di decenni la nostra crescita sarà bassa e quindi non sarà elemento trainante di competitività. Le tabelle postate da roundmidnight sul peso stimato futuro dei programmi sanitari, previdenziali e assistenziali (quarta dall’alto) e della crescita futura stimata di produttività e pil (settima dall’alto), sono impietosi: tanto italia quanto germania rimarranno (ipoteticamente) indietro rispetto ai principali competitors, USA, Canada, Giappone, e non ho dubbi a inserirci pure la Cina pur in mancanza di dati.
    Alla luce di queste considerazioni non mi è difficile capire che per i tedesche l’allora opzione reflattiva suonasse come un futuro requiem.
    Certo sarebbe stato meglio se invece che fosse passata la retorica dei “virtuosi” vs “cicale” e dei “compiti a casa” , si fosse spiegato questo e si fosse collegialmente deciso di affrontare un percorso di convergenza per uno scopo veramente comune.
    Ma forse era una retorica più semplice per le masse, più orecchiabile. Peccato che poi, nell’ignoranza dello scopo da raggiungere si faccia strada l’idea che si “salvano le banche tedesche”, o altre metafisiche cospirazioni, tutte alimentate dal comune denominatore che siamo succubi dei tedeschi e da loro tiranneggiati. Così sorgono certi nazionalismi coloriti che si vedono ovunque, alimentati poi da tanti altri errori, veri e gravi della nostra legislazione europea: l’immigrazione x italia e francia, tanto per dare un esempio.

  12. Senta Mr. Beneathsurface, ci sarebbero parecchie cose del suo commento su cui mi piacerebbe intervenire, ma non possiamo metterci a polemizzare in coda al ventesimo commento. Le do volentieri appuntamento ad uno dei prossimi commenti. Ce ne sarà senz’altro occasione. Mi stia bene.

  13. Mi sta bene.
    E ps: beneathsurface è sia un titolo dei Dream Theatre, che il mio memento personale.
    Ha presente Forrest Gump quando racconta da dove viene il suo nome?
    Ecco…allo stesso modo anche io nominandomi mi ripeto “va sotto la superficie”.

  14. Scusatemi ma qui dobbiamo chiarirci….. se la mia economia vedi GB, USa, Svizzera e in parte Germania si basa in parte importante (in alcuni casi enorme) su attività finanziaria, è chiaro che il singolo addetto può produrre più PIL per il solo fatto che tale professionalità muove masse di denaro sempre maggiori. Ovvero il margine di manovra di un economia prettamente industriale ed una prettamente finanziaria è inconfrontabile. Sbaglio qualcosa?

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