Uomo e robot, una faccia, una razza?

uomo robot

Arriva l’apprendimento automatico: i robot imiteranno la nostra gestualità

Lo sapete, ho un debole per il MIT, il Massachusetts Institute of Technology, non solo perché è una delle più importanti università di ricerca del pianeta e la ricerca è il sale della vita, o perché è a un tiro di schioppo dalla mia casa americana di Boston, ma anche perché con in Mandarin Capital Partners siamo supporter del Deshpande Center del MIT, che rappresenta un punto di riferimento mondiale come incubatore di start-up innovative nell’industria biotech.

Ecco perciò che ogni notizia potenzialmente importante che esce dal MIT mi fa battere il cuore, come questa sull’apprendimento automatico.

La premessa

Va detto che da tempo e da più parti il miglioramento sempre più raffinato dei movimenti fisici dei robot umanoidi è una delle chiavi evolutive del settore e non stupisce gli addetti ai lavori vedere in appositi magazzini decine e decine di braccia meccaniche spostare continuamente oggetti di varie forme e dimensioni, in quella che può essere l’imitazione di un bambino che sta imparando a usare le mani.

E proprio dal MIT arriva il DON (Dense object nets), un nuovo sistema di apprendimento automatico che consente ai robot di identificare gli oggetti e capire come meglio manipolarli senza il processo della ripetizione, ossia senza imparare dai propri errori, ma, come l’uomo, interagendo al meglio con gli oggetti anche se non li ha mai visti prima.

Badate bene: non è una questione che riguarda solo la ricerca fine a se stessa. Perché anche in questo caso in ballo ci sono miliardi di dollari/euro o dobloni per business colossali. Tant’è che la Amazon Robotics Challenge ricerca spasmodicamente partner in grado di gestire dal punto di vista robotico i suoi enormi magazzini e in questo senso i valori in ballo sono quantificabili con i 775 milioni di dollari spesi da Amazon per l’acquisizione di Kiva Systems.

Il panorama è variegato – come evidenzia Singularity – con la RoboCup@Home, simile al campionato di calcio per robot, che in realtà addestra queste macchine dalle sembianze più o meno umane a diventare perfetti maggiordomi, attraverso sfide su attività domestiche che richiedono interazione sociale (per esempio fare da guida in un museo) e manipolazione di oggetti (portando la spesa, sistemando la dispensa, eccetera).

E se gare simili vi fanno sorridere, dovete sapere che in realtà agli addetti ai lavori fanno venire le lacrime di rabbia – o, meglio, di frustrazione – perché nonostante tutti gli sforzi per rendere i movimenti dei robot sempre più simili a quelli straordinariamente flessibili dell’uomo, i risultati sono ancora lontani dalla perfezione e, spesso, dinnanzi a elementi di novità o a fatti inaspettati, come d’altronde capita sovente nella vita di tutti i giorni, i robot vanno in tilt.

Perciò se in una catena di montaggio la semplificazione e la programmazione consentono un ampio utilizzo soddisfacente dei robot, nella vita reale siamo ancora lontani.

Comunque si respira ottimismo sul medio-lungo periodo perché i segnali sono di miglioramento sia per la visione artificiale e sia per le reti neurali, comprese quelle addestrate alle verifiche CAPTCHA (acronimo inglese che sta per “Completely Automated Public Turing-test-to-tell Computers and Humans Apart”) e che serve per determinare se l’utente è un umano – almeno biologicamente parlando! – o un computer (un bot, nello specifico). Anche se, sempre Singularity, fa notare la poca democraticità di questo sviluppo tecnologico.

Infatti servono enormi quantità di dati per innovare l’apprendimento automatico, utilizzando peraltro un numero considerevole di persone per etichettare, catalogare e anche setacciare tali grandezze di dati. Quindi se sei Google puoi fare in modo che migliaia di inconsapevoli volontari etichettino le tue immagini con CAPTCHA. Mentre se sei IBM puoi assumere personale per etichettarle manualmente. Invece se sei una startup che sta testando qualcosa di nuovo, ti sarà quasi impossibile competere con la potenza dei colossi appena citati.[sociallocker id=12172].[/sociallocker]

E qui entra in gioco l’aspetto rivoluzionario della ricerca del CSAIL (Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory) del MIT con il DON (sì, lo so, tutti questi acronimi sembrano un gioco di parole a chi spara la supercazzola più grossa). Ma restando seri, il suo nuovo sistema è in grado di allenare i robot nell’affrontare situazioni nuove e inaspettate attraverso l’evoluzione dei sistemi di apprendimento automatico “self-supervised”, ovvero che non hanno bisogno degli esseri umani per il “lavoro sporco” di etichettare, catalogare e anche setacciare tali grandezze di dati.

Nello specifico, il robot prima ispeziona il nuovo oggetto da più angolazioni, crea un’immagine 3D dell’oggetto che lo identifica per una particolare caratteristica e lo “mappa” con punti griglia e sottosezioni. Quindi cambia l’approccio che con il sistema DON e le sue mappe spaziali consente la gestione di una gamma di oggetti più ampia rispetto all’apprendimento automatico tradizionale, con i suoi relativi algoritmi.

In pratica, tutto ciò consente al robot e al suo braccio di meglio identificare una tazza, trovare la maniglia e raccogliere la tazza in modo appropriato. E, mossa non semplice, di individuare tale tazza e gestire la sua presa anche tra un gruppo di tazze simili.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

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