Viaggi intergalattici: figli nostri e figli vostri.

I bambini sanno qualcosa che la maggior parte della gente ha dimenticato.
Keith Haring

Se v’è per l’umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l’uomo.
Maria Montessori

 

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Era un autunno caldo di incendi, puzza di plastica e roba chimica ridotta in fumo. In astronave stavamo in maglietta, diretti nella galassia di Andromeda, verso un pianeta rosso per un’osservazione sociale.
Dal comando centrale ci mandavano spesso a fare osservazioni di questo tipo, per registrare gli errori di altre civiltà e cercare di non ripeterli. Catalogavamo strafalcioni epocali, regressioni violente e drammatiche estinzioni. Il pianeta rosso in superficie non era mai stato abitabile per le temperature oscillanti tra i 70 ed i 90 gradi e l’atmosfera troppo ricca di anidride solforosa. La nave atterrò su una piattaforma che poi rientrò sotto la superficie planetaria per almeno un chilometro: era un mondo completamente sotterraneo, illuminato da un complesso sistema di specchi che rifrangevano l’abbagliante luminosità della superficie. Il motivo del nostro viaggio erano i bambini. Su quel pianeta era successo qualcosa di poco auspicabile: erano tutti scomparsi.

Si trattava di un mondo particolarmente efficace sotto l’aspetto tecnico e dell’automazione robotica, che aveva permesso la nascita di una colonia da un mondo alieno non lontano e poi la crescita autonoma e rigogliosa per almeno trecento anni sulla spinta di una sorprendente crescita economica. Ci accolse uno dei Sette, le supreme autorità locali. Era un uomo anziano dall’aria molto stanca. Il suo racconto era chiaro, le parole essenziali, facilmente tradotte dai nostri robot multilingue. Ci raccontò di come i bambini erano improvvisamente scomparsi 8 stagioni fa, per non ricomparire mai più. Chiesi se era stato un morbo o un rapimento. No niente di tutto questo.
“È stata una magia” disse.

Un incantesimo malefico in cui cadde ad un certo punto il popolo di quel luogo. Erano diventati incapaci di immaginarsi e progettare il futuro in termini decisionali e di sapersi amministrare sul lungo periodo. Tutti i loro sforzi erano volti all’immediatezza, adesso, ora, adesso, ora, adesso, ora e in questa foga non pensarono più al futuro dei loro figli, ma sempre e solo a se stessi. Non costruirono più asili, trascurarono le scuole, non inaugurarono nuovi parchi. Ridussero sempre più l’habitat indispensabile ai piccoli senza accorgersene e lentamente i bambini iniziarono ad estinguersi.

Ogni cosa era proiettata pochi mesi avanti: incasso lampo, subito, qui, ora, e ogni attività era programmata per un riscontro a brevissimo termine, rapido e contabilizzabile in pochi e semplici passaggi. Una catena corta una spinta impellente e sempre meno riflessiva. La politica si adeguò immediatamente, affermando tutto pur di avere un riscontro veloce nel consenso, che se non arrivava si trasformava in pochi passaggi nel sostenere con veemenza il contrario di tutto, in cerca di plauso immediato. Si perse ogni memoria nel giro di poco tempo. Data la situazione diventò impossibile pensare ad un futuro per i bambini. Venne a mancare la cura, non di beni materiali, di cui quella comunità era straordinariamente ricca, ma di pensieri, di ascolto, di condivisione e partecipazione ad un mondo infante e di costruzione di un futuro per i piccoli. Una cecità spirituale spinse i più a non ascoltare, a non cogliere il superamento del limite, a non intravedere l’orizzonte della tragedia che lenta, ma inesorabile calava.

“A un certo punto fu chiaro che per i bambini non c’era nessun futuro. Eravamo ormai un paese di vecchi, incapace di pensarsi nel tempo, andando oltre l’orizzonte di una sola esistenza.”

Lo ascoltavamo in silenzio, sorrise amaro per un attimo con gli occhi quasi bianchi ed un’espressione di sconfitta sulle labbra. Prima di tutto crollarono le nascite, progettare di mese in mese, delineò un mondo sempre più incerto, instabile, avverso e sentirsi ripetere tutto ed il contrario di tutto annientò ogni briciola di memoria residua. Rimasero pochi bambini sul pianeta e quei pochi si trovavano per giocare da ogni angolo del globo. Un gruppo di volenterosi, tra cui il nostro interlocutore, illuminati da un ultimo lampo di saggezza, costruì un acceleratore che permetteva di riunirli per il gioco e la scuola in un unico luogo anche se vivevano agli antipodi del pianeta. Avevano battezzato quel prodigio tecnico “giochi senza frontiere”.

Sembrava un gesto riparatore, qualcosa che preludesse ad un cambiamento, ma dopo poco i vecchi vizi ripresero corpo, si tornò a pretendere il “tutto subito” a non dar spazio alle richieste dei bambini, ad ignorare spazi per loro, a dividerli nuovamente, abbandonando il progetto “giochi senza frontiere” come troppo dispendioso e ingiustificato. Tornarono le vecchie rogne.
Così improvvisamente un giorno di otto stagioni fa i 157 bambini rimasti sparirono tutti.
“Qualcuno disse di averli visti entrare nel grande parco di Aragulb a piccoli gruppi, altri di averli incrociati lungo la strada per la superficie arida del pianeta. Vento cosmico, ricerche incessanti, grida di disperazione, esplorazioni capillari, Tutto tentarono… Inutile.
Svanirono, perché ormai erano cosa inutile, dimenticata o distrattamente ignorata.

Ci inchinammo in segno di rispetto a quel membro dei Sette, le porgemmo il dono dell’assemblea galattica, sganciammo il robot multilingue che portava in sé la registrazione e ci dirigemmo verso la nave.

Eravamo silenziosi. Quel che avevamo sentito ci aveva colpito, come accade con gli inciampi che non sono lontani, ma prossimi se non esattamente sul cammino che hai davanti.

 

 

Chissà se a quest’ora su Marte,
su Mercurio o Nettuno,
qualcuno
in un banco di scuola
sta cercando la parola
che gli manca
per cominciare il tema
sulla pagina bianca.

E certo nel cielo di Orione,
dei Gemelli, del Leone,
un altro dimentica
nel calamaio
i segni d’interpunzione …
come faccio io.

Quasi Io sento
lo scricchiolio
di un pennino
in fondo al firmamento:
in un minuscolo puntino
nella Via Lattea
un minuscolo scolaretto
sul suo libro di storia
disegna un pupazzetto.

Lo sa che non sta bene,
e anch’io lo so:
ma rideremo insieme
quando lo incontrerò.

 

Gianni Rodari

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Pubblicato da Mr Pian Piano

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