Zadie Smith e la vita degli altri

Zadie Smith Stories

Può capitare che non scatti la scintilla con un autore? Lo si legge e poi magari ci si distrae, come con un’amicizia, o un amore; o come quando finisce la scuola superiore: ci si disperde e si fa fatica a frequentarsi o anche solo a ritrovarsi; salvo poi, magari 20 anni dopo, rivedersi per la grande rimpatriata.

E’ quel che è successo al Lettore Inclinato con Zadie Smith (Londra, 1975), scrittrice nera di origini giamaicane, che nel 2000 fece il suo esordio con Denti Bianchi: non scoppiò l’amore, anche se questo libro fu acclamatissimo, e forse (si legge) i successivi non hanno mantenuto lo stesso livello; ma Smith ha proseguito il suo percorso fra narrativa e saggistica ed è oggi un personaggio di rilievo della letteratura anglo-americana.

Oggi Letture Inclinate vi parla dell’ultima fatica di questa autrice, un libro di racconti uscito lo scorso autunno e ora tradotto in Italia da Mondadori (Zadie Smith, Grand Union, Mondadori, pag. 236, Euro 19,50): 20 anni dopo, eccoci quindi a ritrovare questa narratrice, che, scopriamo, nel frattempo si è sposata con Nick Laird (un poeta) e si è trasferita a New York, dove insegna letteratura dal 2010.

IL LIBRO

Ritratti, piccole storie e anche semplici pennellate di poche pagine: sono queste le short stories di Grand Union; ma prima di entrare nel merito, chiediamoci cosa è stata Zadie Smith nei 20 anni che ci separano dal suo folgorante debutto: quali sono stati i filoni del suo lavoro? Che tipo di approccio ha alla narrazione?

Nel materiale disponibile in rete, la sentiamo spesso parlare della “diaspora giamaicana” a significare come questa appartenenza culturale rimanga patrimonio di tutti coloro che ne sono stati protagonisti, in Inghilterra, negli Stati Uniti, a anche altrove; l’abbiamo sentita anche rivendicare il suo essere donna e nera, e la sua narrativa non può non avere la necessaria attenzione alle diseguaglianze che ancora si notano nella società; l’abbiamo vista attiva con il movimento #metoo, che traspare in alcuni passi dei racconti di Grand Union.

Una donna, nera, di origini giamaicane che incarna certamente l’anima liberal, ma che scende per strada a vedere da vicino cosa le capita intorno, non sta rinchiusa nel fatidico “attico a New York”: forse è questo il senso di questi racconti. E, d’altra parte, ce lo dice Zadie stessa, che camminare, stare fra la gente, è il modo che ha di trovare l’ispirazione per raccontare: in queste dichiarazioni rese a Ferrara lo scorso anno, Smith fa il controcanto ad una celebre presa di posizione di Philip Roth, il quale, finito un romanzo, raccontò di essere andato a visitare il Museo di Storia Naturale a Central Park: ritrovandosi a guardare la famosa balena esposta in un grande salone il narratore di Newark disse: “piuttosto che stare qui a vedere la balena meglio rientrare subito e scrivere un altro romanzo”. Ecco, Zadie Smith invece afferma di fare il contrario: sta lì, per osservare bene la balena, scrive di quello che vede intorno, cammina per le strade, annota e racconta.

Grand Union è una raccolta di 19 racconti, alcuni dei quali già editi, in particolare su The New Yorker; taluni sono brevissimi, qualche pagina, altri più strutturati.[sociallocker].[/sociallocker]

Ne “Il Fiume Lento” troviamo una gustosissima fotografia della famiglia inglese rinchiusa nel classico villaggio vacanze spagnolo, dove c’è un gioco acquatico (il fiume lento, appunto) che intrattiene gli ospiti:

“Non usciamo mai dall’albergo se non per comprare dispositivi di galleggiamento. Il piano è battere l’albergo al suo stesso gioco. […] Perché in questo albergo siamo tutti britannici, siamo tanti e siamo senza vergogna. Ci piace stare insieme. Qui non c’è nessun francese o tedesco a vederci rifiutare paella e pesce spada al buffet in favore di salsicce e patatine fritte…”

Con “Parole e Musica” ci spostiamo a New York, nel Greenwich Village (che torna anche in “Downtown”) a seguire le vicende di due ragazzi: ecco Washington Square con il suo arco, lì dove inizia la Fifth Avenue:

“Illuminato da un vivido sole autunnale, l’arco assomigliava più che mai al suo progenitore romano, e il bambino notò che le foglie, quando le calpestava, emettevano un piacevole scricchiolio, e un tipo stravagante dentro la fontana parlava di Cristo, e un altro in piedi sopra una panchina cantava una canzone sulla marijuana”.

Splendido il racconto “La signorina Adele fra i corsetti”, che ci racconta poche ore della vita di Miss Adele, in movimento fra West Side e East Side (e ritorno) sulla ventitreesima strada; personaggio descritto con delicatezza struggente, che ci rende chiaramente partecipi di quel “girare per le strade” di cui abbiamo parlato:

“A parte il fatto che ci doveva lavorare, la signorina Adele cercava di non avere troppo a che fare con l’East Side. Abitava dello stesso luminoso monolocale a equo canone su Tenth Avenue e 23rd Street dal ’93 e adorava il modo con cui il West Side comunicava con l’acqua e la luce, adorava le gallerie raffinate e i grandi condomini anonimi, la High Line finanziata da banchieri e celebrità, la sensazione di chiarezza ed opulenza. Ma quaggiù? Deprimente”.

Adele entrerà nel Clinton Corsets Emporium a cercare un corsetto, e lì succederanno molte cose, ed anche un rivelazione, che lasciamo al lettore scoprire. Anche “Fuga da New York” è ambientato nella Grande Mela, nel giorno dell’11 settembre e delle “ceneri da Downtown”: tre persona del “jet set”, che non avevamo “mai messo piede a sud della 42esima strada” affittano un’auto e fuggono dalla città in fiamme.

“Kelso decostruito” è un omaggio a Kelso Cochrane, giamaicano, falegname di Notting Hill, pugnalato a Londra nel 1959, a soli 32 anni, da un gruppo di ragazzi bianchi: Smith ci riporta a quei tempi e mischia la ricostruzione minimalista di Kelso e della sua famiglia con la necessaria tensione ideale, in un contesto di contrasti razziali che tuttavia ci consente di comprendere meglio quale sia il background dell’autrice, e a cosa si riferisca quando parla, così spesso, della “diaspora giamaicana”:

“[Kelso] percorse Harrow Road e attraversò il Grand Union Canal. Nella sua mente, l’acqua evocò altra acqua. La torbida laguna verde dietro la casa della prozia….sembrava trovarsi, nella sua geografia mentale, all’altra estremità di un corso d’acqua che collegava Antigua e quel canale grigio sotto i suoi piedi e poi si estendeva fino al Nuovo Mondo, al Potomac e allo Hudson”.

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Godetevi allora questi racconti, queste storie talvolta minime, ma che aprono alle emozioni più piccole, quelle del contatto fra persone, della curiosità, degli individui che lottano e si portano dietro la loro storia; è proprio Zadie a confessarlo, in una Convention del 2018 presso la Obama Foundation, quando le viene chiesto da cosa aveva tratto la sua ispirazione narrativa, e lei, riferita ai propri genitori, risponde citando la curiosità, il farsi delle domande: “perché questa donna della diaspora giamaicana ha sposato questo bianco della working class inglese con una stirpe egualmente lunga, ma in tutt’altro posto? E perché nella porta accanto c’è una famiglia bengalese? O polacca? O irlandese? O ebrea? …ero davvero affascinata dalla vita delle altre persone”.

Allora buona lettura con Zadie Smith e la vita degli altri.

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Pubblicato da Leonardo Dorini

Manager, consulente, blogger. Mi occupo di finanza ed impresa, amo lo sport. Ma sono qui per l'altra mia grande passione: la letteratura.

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