La vita, la morte, l’intuizioni gioconde, gloriose e profondissime di Emilio Del Giudice, fisico napoletano.
Qual è la cosa più difficile di tutte?
Quella di vedere con gli occhi ciò che davanti agli occhi sta
— Johann Wolfgang von Goethe
https://youtu.be/PD2XgQOyCCk
Ci sono uomini sempre in movimento, le loro idee si approssimano, imminenti, venture, lucenti, disponibili che sembra quasi di toccarle. Attraversano i decenni imperterriti, niente li può fermare, aggrappati come sono sul bordo del loro limite. Emilio Del Giudice era così: permalosamente ossessionato dalla ricerca della verità, si era messo in viaggio da cavaliere errante, “perché senza errore, senza erranza, non esiste verità”. Poca pazienza, moltissimo cimento, masticava le carni coriacee della teoria dei campi andasse come andasse. Era stupito del rinnovarsi immemore della bellezza del mondo, una cornucopia di frattali, arborescenze, fiocchi di neve, fiori perfetti che la natura crea e annulla incurante in continuo, “tanto domani ne nasceranno altri di ancora più belli”. Fieramente marxiano, epicureo alla nascita, era in grado di suonare ogni platea come un flauto. Paffuto, conscio, sempre gesticolante, insufflava diteggiando un mondo perfetto che ti girava e rigirava innanzi agli occhi come un giocattolo, te lo rivoltava da ottantuno punti di vista differenti, per poi spaccartelo con un unico colpo secco e una risata, non fosse altro per dirti le cose come sono: violente, intatte, indocili. Ha studiato tutta la vita incrociando sguardi e idee di compagni di viaggio straordinari. Giuliano Preparata, innanzitutto: probabilmente il genio assoluto che la fisica quantistica abbia mai veduto nascere in Italia nel ‘900. Tra le decine di professori, ricercatori, dottorandi e semplici studenti era l’unico in grado di tenere testa a Richard Feynman. E una volta lo mandò ai pazzi, con un’obiezione pubblica che mai gli perdonò e anzi chiuse i giochi (chi lo sa?). Se l’intelligenza procede solo per dislivelli, Giuliano era in grado di lasciarsi sbalzar via per pinnacoli inerpicabili senza perdere mai il fuoco. Allo stesso tempo con infinita umiltà era in grado di macinare calcoli per ore e ore, con la caparbietà di chi sa che se tutto è in tutto anche i conti in apparenza più insondabili sono fatti per tornare. Lui poteva, lui e pochi altri negli ultimi 400 anni.
Preparata e Del Giudice non avevano tabù: tutto è indagabile col linguaggio dei numeri, anche le idee più astruse e controverse. Quando Fleischmann e Pons annunciarono al mondo l’assurdo energetico, il duo italiano si guardò negli occhi, com’è ovvio, dubitoso e perplesso. Ma anziché perdersi in polemiche e replicare puramente il modello e le condizioni che lo avevano permesso, Del Giudice e Preparata provarono a chiedersi innanzitutto come diamine fosse saltata in mente agli altri due scienziati un’idea del genere. Poi i calcoli, gli esperimenti, l’ammissione che sì, sembrava possibile.
Diversissimi, egosintonici, schermavano in un’amicizia profonda le sfide, le prodezze, le schermaglie intellettuali da cui istintivamente si sentivano attratti. Al culmine della maturità intuirono che la fisica della materia vivente aveva bisogno della biologia per prendere le distanze dal determinismo della meccanica quantistica. Non facendosi intimidire dalla violenta riprovazione dell’establishment, abdicarono rancorosi alle mire di carriera ma mai alla ricerca della conoscenza ultima delle cose.
Negli ultimi anni Emilio ascoltava quasi esclusivamente musica barocca, il genio napoletano di Scarlatti in particolare. In un prezioso documento video (1 2 3 4), spiega poi affascinato come non può esistere una comprensione profonda del mondo prescindendo da un’anima passionale della ragione scientifica. Aveva imparato da Herbert Fröhlich la mistica dell’immedesimazione, per cui lo scienziato deve entrare in sintonia profonda fino a impersonare letteralmente le particelle, ad esempio un elettrone, e immaginare l’esatto suo modo di combinarsi in orbita. Una lezione che Emilio da profondo umanista napoletano aveva già fatta propria da Gianbattista Vico, secondo cui
Gli uomini prima sentono, poi avvertono con animo perturbato e commosso, indi riflettono con mente pura
Dopo la scomparsa di Giuliano Preparata culminata sul ciglio del nuovo millennio, Emilio intensifica la collaborazione coi team di Luc Montagner e Giuseppe Vitiello, i cui straordinari risultati sul cervello basati sull’autosimilarità frattale daranno il compimento e una piega decisiva alla sua visione del mondo. Placato e appagato, infine girovagando per Milano con Alberto Tedeschi, che lo aveva intanto eletto suo secondo padre oltreché maestro di studi e di vita, Emilio si diceva speranzoso in una imminente evoluzione della biosfera, dallo stadio grezzo e rissoso in cui le persone si urtano come gas in una guerra senza quartiere a uno stadio liquido in cui la materia vivente oscilla in fase, immemore e plastica come acqua coerente. Poi si è liquefatto in un sorriso di nuvola, alle quattro della sera di un 31 gennaio 2014.
« La sua è stata una vita dedicata al sapere profondo della ricerca, il suo era un pensiero poliedrico, mitteleuropeo, alla scienza univa l’arte, la filosofia e la cultura, tendeva alla verità con impegno nella sua fondamentale irrequietezza e vivacità. Ogni posizione era una nuova posizione, non “la” posizione”. E questo fa correre un abisso tra lui e gran parte di quegli scienziati accademici autoreferenziali o quelli per i quali le tecniche prendono ormai il posto dei concetti. Non vedeva nemmeno gli studi con Montagnier, seppur così prestigiosi e all’avanguardia, come una conclusione, ma come un punto di partenza. Magari un contentino per i media e la scienza tecnica, ma lui guardava ancora più avanti. Era uno scienziato assoluto, uno degli ultimi portatori della scienza vera. I suoi lavori sono ormai stati accettati a livello internazionale e questa strada non sarà abbandonata » —Alberto Tedeschi