Una strategia per scegliere il partner cui affidare il destino di Alitalia

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Non so che cosa si aspettassero i “patrioti”quando hanno impiegato cospicue risorse in Alitalia. Essendo abili e navigati uomini d’affari non credo che si attendessero un proficuo rendimento del loro investimento, date le difficili condizioni in cui si trovava allora la nostra compagnia di bandiera. Certo oggi i nodi sono venuti al pettine ed essi cercano inevitabilmente una rapida via d’uscita. Una via d’uscita non facile perché Air France, che era l’unico interlocutore disposto ad acquistare Alitalia per una discreta somma, è ora riluttante a sborsarne una piccola frazione, navigando anch’essa in acque non tranquille. Un’impresa che ha capacità produttiva in eccesso e che è costretta ad alleggerire il proprio personale non ritiene infatti prioritario assorbirne un’altra. L’Air France ha inoltre portato avanti strategie alternative e, soprattutto, guarda con preoccupazione alla condizione attuale di Alitalia, divenuta ormai una compagnia regionale con perdite crescenti che l’obbligano a ridurre ulteriormente la sua rete ma anche, di conseguenza, ad affrontare costi fissi sempre più elevati. Un’Alitalia che, in termini aziendali, si trova a lottare contro il così detto “effetto senescenza” che ovviamente, finisce col condurre alla morte dell’impresa.

Avendo avuto responsabilità di governo nel periodo di trattative con Air France, posso ricordare ai pazienti lettori che esse erano state precedute da contatti approfonditi con altre compagnie, tra le quali Lufthansa, più della altre abituata ad avere una pluralità di poli di traffico (i così detti hub) e quindi, presumibilmente, più rispettosa di una certa autonomia di Alitalia. Nonostante un’inclinazione favorevole dei suoi dirigenti e una presunzione positiva della Signora Merkel, il Consiglio di Sorveglianza di Lufthansa, dopo un sopralluogo a Roma, decise che la situazione sindacale era troppo difficile per potersi impegnare in un risanamento di successo.

Altri contatti vi furono con compagnie asiatiche e soprattutto con Air China, incaricata dal governo cinese di riflettere sulla convenienza di un eventuale legame con Alitalia. I margini di convenienza esistevano per entrambi i possibili contraenti. L’interesse cinese era quello di avere una porta d’ingresso in Europa e un nodo verso l’Africa, dove la Cina ha crescenti rapporti di affari. Simmetrico era l’interesse italiano di ritornare ad essere un ponte per l’Africa e il primo approdo dei milioni di turisti cinesi che si dirigono verso l’Europa. Basta solo ricordare che nei giorni scorsi è apparso su un giornale francese un annuncio economico per l’assunzione di 600 commesse in grado di parlare cinese, per servire le centinaia di migliaia di turisti che sbarcano all’aeroporto di Parigi. Air China si dimostrò positivamente interessata all’accordo ma aggiunse che non si riteneva ancora pronta e che le occorrevano almeno tre anni per essere in grado di gestire un affare così complesso. Ho richiamato quest’episodio non perché vi siano segnali che quest’interesse esista ancora (da allora tante cose sono cambiate) ma semplicemente per sottolineare che il destino di Alitalia deve essere deciso nell’interesse della Compagnia e del Paese ad essa legato. La scelta del partner deve essere quindi guidata da una strategia di lungo periodo e non semplicemente da promesse che non possono essere mantenute nel tempo o da interessi estranei a quelli dell’azienda.

La situazione di Alitalia è oggi assai deteriorata rispetto a sei anni fa non solo per la riduzione della sua presenza nelle rotte europee e intercontinentali ma anche per un forte indebolimento del mercato nazionale, aggredito dalle compagnie low-cost e dalla concorrenza dell’alta velocità ferroviaria, soprattutto nel tratto Milano-Roma, che costituiva il suo punto di forza. Le perdite sono oggi arrivate a un punto di non ritorno e la scelta fra il fallimento e il matrimonio non può essere rinviata.

Nonostante la disastrosa situazione finanziaria e una tradizione di rapporti di lavoro molto complicata, Alitalia può portare in dote un bene non trascurabile e cioè un potenziale mercato di entrata e di uscita di un paese che è uno dei maggiori generatori di traffico dell’intera Europa. E’ solo in questa prospettiva che noi dobbiamo scegliere un partner, ben coscienti che, da sola, Alitalia non può che morire subito, ma altrettanto consapevoli che, se cade in mano a una Compagnia proiettata a centralizzare presso di sè la maggior parte del traffico generato in Italia, essa è destinata ad una morte più lenta ma ugualmente certa. E, di conseguenza, si dovranno ridimensionare anche gli aeroporti di Roma e di Milano. Già da ora le ricche provincie italiane sono costrette, per tutti i voli intercontinentali, a fare capo a Parigi, Francoforte, Londra o Monaco, dove addirittura esiste un intero settore dell’aeroporto dedicato esclusivamente ai voli da e per l’Italia. Ci dobbiamo davvero rassegnare a non avere una strategia nemmeno per decidere a quale partner conviene affidare il destino di Alitalia ?

Questo articolo è comparso anche su “il Messaggero” ed è disponibile in versione inglese sul sito di Alberto Forchielli
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Pubblicato da Romano Prodi

Laureato cum laude in Giurisprudenza alla Università Cattolica e specializzato alla London School of Economics, è stato visiting professor presso Harvard e Stanford, nonché docente ordinario all'Università di Bologna. Ministro dell'Industria, Presidente dell'IRI, Presidente del Consiglio, Presidente della Commissione Europea. Qui la biografia completa.