A volte non tornano

Poco più di un secolo fa il mio bisnonno Fredino lascia la Romagna in cerca di fortuna in Svizzera. Semianalfabeta, privo di qualifiche particolari, raggiunge un gruppo di compaesani santasofiesi alla centrale idroelettrica di Rheinfelden. Ambientatosi un minimo, l’anno successivo decide di portare con sé anche la famiglia. Mia nonna è piccoletta, rimarrà quattro anni, che imprimono nella sua mente un nucleo di ricordi decisivi. Ne deriva una storia forte, una di quelle storie che ti segnano e plasmano l’identità della famiglia. Per questo suo figlio, che è poi mio padre, nei primi anni ’80 decide di regalare a mia nonna e a sua sorella Ottorina un viaggio a Rheinfelden. Tutto molto bello: riconoscono la casa dove erano vissute e trovano la tomba di una vecchia zia malata sepolta laggiù.  Talmente bello che l’anno dopo ci portano anche me, dodicenne e ancora non troppo consapevole dell’importanza di quel vissuto. Due anni fa la storia si ripete: decido di regalare a mio padre un viaggio a Rheinfelden con i suoi nipoti (i miei figli!), forse uno dei pochi regali veramente azzeccati in vita mia. Per due motivi: la storia familiare e la bellezza dei posti, particolare che un po’ si perde nei ricordi.

Fin qui tutto bene. Peccato che ci sia un’altra storia. Nella stessa generazione, un altro ramo della mia famiglia, i Gallo, abbandona il Piemonte per tentare la fortuna in Argentina. Si fermeranno molto di più dei santasofiesi in Svizzera (nel ’14 scoppia la guerra e se ne ritornano in Romagna) eppure nessuno di noi ci è mai più tornato.
Perché? Difficile dirlo. Certo, ci devono essere state una serie di micro-ragioni e di micro-decisioni che hanno fatto girare altrove la trottola. Nella generazione successiva mio Nonno Roberto, giovane e fascinoso meno che trentenne, è stato a Giava in rappresentanza della Fiat. Imparò dagli inglesi a bere whisky senza ubriacarsi. E poi in Portogallo, dove in conseguenza di un brutto incidente in una gara di Rally esce di strada travolgendo una donna. Non guiderà mai più. Nemmeno a Oporto siamo più tornati. Perché?

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Forse perché sono posti in cui andremmo in vacanza?
Potenza delle famiglie allargate: nello stesso viaggio a Rheinfelden abbiamo fatto tappa a Campione d’Italia. Lì gli zii di Mafe, la coestentrice di questa rubrica, erano stati Sindaco (zio Felice) ed eroina della Resistenza (zia Maria). Ci siamo tornati. C’era già stata da ragazza a trovarli, ma comunque ci siamo tornati. Ma anche nella sua famiglia avrebbero potuto darsi epopee senza ritorno, un po’ come quella dei quattro fratelli che partirono da Larino, Molise, in quattro direzioni diverse e uno di questi era lo zio Felice (Milano e poi Campione d’Italia), un altro il nonno di Mafe (Taranto).

Non voglio trarre una regola o (peggio) una morale da questa storia.
Romanticismo, coazioni più o meno cogenti a ripetere tessono le fila un po’ così e un po’ cosà. Certo è che non capiamo nulla di cosa è giusto e sbagliato fare. Ci diamo spiegazioni rassicuranti e addomestichiamo ricordi che non so. Ora che nemmeno gli esperimenti di fisica contano troppo sulla ripetibilità classica; ora che la teoria dei campi quantistici e la fisica della materia vivente accettano serenamente che il cervello si plasma e riscrive se stesso  ogni volta che riconosce un significato e lo fa suo; ora che guardo mia figlia fare i compiti e capisco qualcosa di me quando trent’anni fa li facevo anch’io, ma lo capisco ora e riscrivo il senso della mia educazione sentimentale a ritroso; ebbene, proprio ora capiamo che la nostra identità, il nostro vissuto e i nostri ricordi sono campati in aria, ma decisivi, in qualsiasi momento, per trasformare la nostra vita. La memoria è spezzamento della simmetria, accordarsi in se stessi è un atto rivoluzionario in cui il cervello è un sistema aperto e si sintonizza sul mondo riplasmandosi ogni volta, e ogni volta senza cedere alla mera lotta per la sopravvivenza. Il cervello legge il suo doppio in se stesso e ci proietta nel futuro. Proiettili di memoria che cancellano e riscrivono continuamente se stessi, ecco cosa siamo.
Siamo quel che saremo adesso, capendo i noi che ci cambiano nel tempo che fu, magari tornando in vacanza nei posti dove i nostri avi scapparono per avere un futuro. La memoria non è passiva ma è viva. E ci riscrive ogni volta da capo.

Photocredit: Park Hotel Resort, Rheinfelden

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Pubblicato da Filippo Pretolani

Non tutto quello che esiste implicitamente ha bisogno di essere reso esplicito — Peter Sloterdijk. Fondatore di Gallizio editore e co-fondatore dell’Istituto Kaspar Hauser per gli Studi Economici.

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