Gli eventi che ruotano attorno al destino delle due banche venete hanno subìto negli ultimi tre giorni una accelerazione impressionante: prima la dichiarazione di ammissibilità alla liquidazione coatta amministrativa (LCA) invece del bail in, e poi domenica è stato emanato il decreto per darle una cornice legale e prevedere i fondi pubblici per la cessione delle parti sane delle due banche a Intesa. Infine, nella tarda serata di domenica arriva la luce verde da Bruxelles: ok all’aiuto di Stato da 17 miliardi e alla vendita con sussidio pubblico ad Intesa.
Cerchiamo di capire un pò cosa sta succedendo.
La LCA viene scelta in luogo della risoluzione se e solo se alcuni obiettivi della BRRD vengono realizzati meglio in tale schema piuttosto che nell’altro. Vediamone i principali, e poi discuteremo dell’onere sul debito pubblico parlando del piano di Intesa.
Naturalmente è ovvio che la LCA non può garantire l’obiettivo della continuità delle funzioni bancarie perchè con la liquidazione l’attività bancaria cessa e i contratti di conto corrente si sciolgono.
Per garantire continuità servirebbe che fosse già disponibile un acquirente per rilevare integralmente parte delle aziende, che guarda caso c’è.
Diverso è invece il discorso della stabilità finanziaria e la tutela dei depositanti e degli investitori protetti, e qui il combinato disposto della BRRD e della Comunicazione sugli aiuti di Stato viene incontro al Governo.
La norma sugli aiuti di Stato prevede che non sia previsto il bail in (cioè la conversione e la riduzione di azionisti, subordinati e obbligazionisti senior) di quelle banche in crisi per le quali si è optato per una procedura di liquidazione nazionale.
Per le banche in LCA è sufficiente applicare il burden sharing (conversione e riduzione di azioni e subordinati).
Quindi la tutela degli obbligazionisti senior è maggiore rispetto a quella della BRRD, e non verranno toccati. E comunque i casi di misselling sono tutelati da norme ad hoc e meritevoli di rimborso. Poi su chi paghi possiamo discuterne, ma sappiamo bene quali tasche saranno chiamate alla buona opera.
Come è possibile che si possa disapplicare la famigerata brrd?
Il trucco sta nelle limitate dimensioni delle banche in crisi: se l’Autorità di Vigilanza non le ritiene dimensionalmente importanti e tali da creare contagio, allora si può disapplicare la brrd e -a certe condizioni, tuttavia rispettate nel caso travagliato delle due venete- applicare la normativa nazionale, e in quel caso lo Stato – entro determinati paletti – può intervenire direttamente qualora consideri importante salvaguardare l’economia locale dall’impatto negativo della liquidazione.
PASSATA LA FESTA GABBATO LO SANTO
Questo proverbio lo ritengo azzeccato per la situazione.
Riepiloghiamo: la normativa europea è nata per evitare il ricorso continuo e automatico al bail out, metodo per socializzare perdite di banche che altrimenti privatizzerebbero enormi utili.
Altro obiettivo importantissimo dovrebbe essere quello di limitarne il moral hazard e l’assunzione di rischi eccessivi, visto che a pagare sarebbero gli azionisti ma anche tutti quegli investitori che sorreggono finanziariamente le banche.
Cosa ne abbiamo ottenuto? Che proprio quelle banche di dimensioni contenute che si ritenevano principale obiettivo e vittima sacrificale del bail in, invece possono non essere bailinate bensì aiutate con mezzi pubblici; d’altro canto le banche ‘too big to fail’ rimangono pericolosamente troppo big per bailinarle senza tail risks e turbolenze all’economia intera, e quindi si potrebbe chiudere un occhio sugli interventi pubblici.
ARRIVANO I PIRATI….PER SALVARCI
Come visto sopra, l’obiettivo della continuità della attività bancaria si può raggiungere solo con l’intervento di un terzo che si affianchi alla procedura di liquidazione e si tiri in macchina parte degli assets delle due banche fallite.
Il piano di Intesa prevede però un ingente esborso pubblico pari a 17mld, maggiore di quello prevedibile con la risoluzione (più o meno 3 miliardi di GACS per agevolare la ricapitalizzazione della bad bank, e altri 2 miliardi per rimborsare gli obbligazionisti retail bailinati, secondo miei calcoli): senza i bond senior, depositi e crediti in bonis, le banche in liquidazione avranno bisogno di essere ricapitalizzate con fondi pubblici necessariamente.
Inoltre Intesa ha già fatto sapere di volere la ‘neutralizzazione dei crediti ceduti ai fini del CET1’, esoterica formula per invocare che qualcun altro metta un adeguato capitale regolamentare per finanziare la cessione delle attività di modo da non metterci una lira di tasca propria e garantire alle proprie Fondazioni corposi dividendi. E sono poco più di 5 miliardi
Lo stesso ‘scippo’ delle DTA provocherà una riduzione del patrimonio delle banche in liquidazione, tra l’altro senza che esista il presupposto giuridico per tale trasferimento, visto che gli npl che hanno generato queste partite fiscali rimangono in capo alle banche venete…
In cauda venenum, Intesa vuole lasciare anche i crediti IN BONIS ma con rating bruttino a marcire in banche non operative e con strutture preposte alla mera liquidazione dei crediti. Questo significherà per parecchi imprenditori e famiglie di trovarsi con il rubinetto chiuso e con ogni probabilità l’obbligo di aderire ad un piano di rientro.
Personalmente mi attendo parecchie difficoltà per aziende e famiglie in Veneto, vedremo, intanto Intesa, malgrado le dichiarazioni pubbliche dei suoi vertici, si dimostra tutto fuorchè un generoso mecenate.
Somiglia più a un pirata che pranzi con lo spezzatino.
Il Governo preferisce spendere 17 miliardi dei contribuenti, con le clausole iva pronte a scattare e il debito pubblico arenato sulla traiettoria sbagliata, per salvare 1 miliardo di bond senior dal bail in e sussidiare Intesa SanPaolo e i suoi azionisti?
Fossero anche tutti e 7 a rischio azzeramento, è mai possibile che sia logico spendere oltre il doppio per garantire la continuità di due banche?
Vi confesso che trattandosi di un esborso pubblico su cui la DGComp ha responsabilità, confidavo nella Vestager.
Le rigide regole della DGComp prevederebbero infatti una asta pubblica per la vendita degli assets al miglior offerente, e in caso di aiuto di Stato per facilitare la vendita degli assets, la banca acquirente deve promettere di provvederne alla ristrutturazione e al ridimensionamento per evitare contraccolpi alla concorrenza.
Detto così sembrano tutti presupposti compketamente elusi dall’offerta e dalle intenzioni di Intesa.
Intesa non offre certamente il miglior prezzo, anzi si fa pagare per rilevare una attività che le darà un grande beneficio in termini di quote di mercato in un’area molto produttiva.
Che Ca de Sass intenda ‘ridimensionare’ questi attivi mi sembra pura fantasia.
Forse verranno fuori controversi, qualcuno farà causa. Ma la Commissione si è espressa a favore. E basta.
Confidiamo solo che questi finanziamenti pubblici ad Intesa abbiano la stessa buona sorte del TARP negli Usa, e provvedano ad un generoso rimborso con interessi allo Stato.
IL COLPO INFERTO ALLA BRRD
La BRRD non ne esce bene, lo abbiamo visto. Molti sovranisti ne saranno entusiasti, beati loro.
Già fra i commentatori si dice che la soluzione potrebbe essere quella di una ulteriore armonizzazione delle leggi fallimentari nazionali, ma non credo che il problema sia (solo) questo.
Il vero problema è culturale perchè esistono paesi e politici e banchieri refrattari a accettare normalissimi principi di mercato secondo cui pagano prima gli azionisti, poi gli investitori e infine i creditori; refrattari ad accettare e svolgere vigilanze stringenti e emanare legislazioni che contrastino il moral hazard ostacolando quelle fonti, anche finanziarie, che lo alimentano e sostengono; refrattari a recidere quel cordone che lega politica e finanza rendendole simbiotiche a danno dei contribuenti e risparmiatori.
Paesi così hanno di fronte a sè un solo avvenire: il declino.