Alba de Céspedes, ed il coraggio di dirsi la verità

de cespedes

Si sa, talvolta accadono strani fatti, solitamente inattesi o casuali, che aprono dei cassetti della memoria e ti fanno tornare in mente ricordi che avevi lasciato lì, o forse dimenticato: e questo capita in particolare con la letteratura, grazie al fatto, come ricordiamo spesso, che i libri ci aspettano, e, quando ci capitano questi fatti, li possiamo sempre recuperare.

L’AUTRICE

Ecco allora che un articolo del New York Times, nientemeno, ci riporta a considerare un’autrice, Alba de Céspedes (nata a Roma nel 1911 e morta a Parigi nel 1997) che avevamo lasciato nel cassetto della memoria, di quando ci appariva fra le letture della madre, lì in quella cassapanca in corridoio, insieme a Somerset Maugham e a tanti altri.

Una biografia invero romanzesca, quella di questa donna moderna e cosmopolita, ancorché nata al debutto di un secolo di tragedie: figlia di uno statista ed ambasciatore cubano e di un’italiana, Laura Bertini, nipote del primo presidente dell’isola caraibica, sposata giovanissima e poi separata, Alba inizia a scrivere molto presto ed è insignita, nel 1938, insieme a Vincenzo Cardarelli, del Premio Viareggio per “Nessuno Torna Indietro”, premio poi ritirato (ad entrambi) dal Governo fascista perché, come scrive l’Enciclopedia delle Donne

<<aveva “osato” dar voce a una femminilità libera, conscia di sé e delle proprie risorse, desiderosa di ridefinire i contorni della propria esistenza ed estranea ad ogni idea di “angelo del focolare”>>.

E’ proprio De Céspedes, in questo documentario del 1980, che racconta, in merito al suo romanzo di debutto, di come dovette presenziare diciassette volte di fronte alla commissione di censura, per rendere conto di questa storia di otto donne dove troviamo già bene espresso quello che  è forse il filo conduttore di tutta la vicenda letteraria di questa scrittrice:

“il mio primo romanzo fece scandalo perché le donne non avevano il coraggio di dire la verità su se stesse”.

Poco dopo la pubblicazione di “Nessuno Torna Indietro“, ritroviamo Alba a Cuba, per assistere il padre, morto nel 1939, mentre dopo l’armistizio, è di nuovo a Roma da dove fuggirà verso Sud, nei territori liberati, per collaborere ad iniziative di Resistenza; nel 1944 fonda la rivista Mercurio, a cui collaboreranno Moravia, Luzi e Montale, fra gli altri, mentre successivamente viene chiamata da Enzo Biagi a Epoca dove, come Scerbanenco in anni non molto lontani, curerà una rubrica di ascolto (Dalla parte di lei) che le consentirà di leggere e commentare storie di donne, di vita, di amore e di morte.

IL LIBRO

Fatta questa doverosa introduzione, il libro che commentiamo oggi è certamente nel solco di quanto abbiamo accennato sin qui sulla poetica di Alba de Céspedes: si tratta di Quaderno Proibito di cui Mondadori ha recentemente curata una riedizione, con la prefazione di Nadia Terranova (Mondadori Oscar Cult, pagg. 251, Euro 13,50).

quaderno proibito -Alba de Cespedes

Siamo di fronte ad un diario, scritto naturalmente in prima persona da Valeria Cossati, una donna poco più che quarantenne con due figli grandi, Riccardo e Mirella, universitari, ed un marito, Michele, funzionario di banca: è un contesto famigliare e piccolo borghese dove De Céspedes fotografa, come in altre sue opere, un’oppressione femminile non già derivante dal lavoro fuori casa, o generalmente dalla società, ma dalla famiglia, dentro la casa, nelle faticose faccende (appannaggio solo della donna, ovviamente), nei rapporti stanchi e annoiati col marito e conflittuali con i figli.

Il racconto si apre con Valeria che in tabaccheria nota un quaderno nero e, quasi istintivamente, lo acquista per farne il suo diario: per fare cioè una cosa quasi proibita, rubare tempo ai suoi “doveri” per scrivere di sé, per trovare il tempo di dirsi la verità su come vive una vita schiacciata dal quotidiano, dal lavoro d’ufficio e da quello domestico fra le mura amiche, con un rapporto ormai routinario con il marito Michele, che la chiama “mammà”, quasi privandola del suo ruolo di donna piacente e di partner:

“Mi piacque tanto, sul principio, perché così mi pareva di essere io la sola persona adulta, in casa […] Però adesso capisco che è stato un errore: lui era la sola persona per la quale io fossi Valeria”.

Raccontare di questa vita diventa una vera necessità per Valeria, oltre ad essere l’espediente narrativo con il quale l’autrice ci fa conoscere questa storia di una donna che prova a trovare se stessa. Dice Valeria:

“Mi sembra di essere giunta ad un punto in cui sia necessario tirare le somme della mia vita, come mettere ordine in un cassetto in cui, per lungo tempo, tutto è stato gettato alla rinfusa”.

E questo mettere ordine significa riflettere insieme a noi su quanto (poco) Valeria si senta felice in questa vita, con i due figli avuti da giovanissima, il marito sempre più lontano, ancorché fisicamente lì, vicino a lei, sul divano, a questi ragazzi problematici, Riccardo irrisolto e sognatore, Mirella ribelle, che si vede con un facoltoso avvocato, che va a lavorare presso il suo studio, rincasa tardi, il tutto all’insaputa del padre.

Valeria tira le somme, quindi, e fa i conti con la sua insoddisfazione, e con un sentimento verso il direttore dell’ufficio in cui lavora, con quello che capita ai suoi figli, con una conflittualità che cresce:

“…mi sembra che, pur volendoci tanto bene, ci difendiamo l’un l’altro come nemici”

annota ad un certo punto Valeria, fotografando perfettamente quell’oppressione dentro la famiglia che, pur datata di una sessantina d’anni, è così moderna, consueta nelle storie dei romanzi contemporanei.

Fu addirittura Eugenio Montale, il 12 febbraio del 1953, a recensire Quaderno Proibito per il Corriere della Sera, descrivendo la “delicatezza di passo e di accento” dell’autrice romana e la sua “acuta, chiara, signorile intelligenza”.

E questa lunga introspezione, questa ricerca di verità sulla propria condizione ci restituisce effettivamente un romanzo godibile, scritto in maniera chiara, lineare, precisa, dove ritroviamo, come già ci era capitato con Scerbanenco, molte parole ormai desuete, come “modistina”, “in appresso”, “iersera”, “frivolità”, “ripicco”, “non ho potuto a meno”.

Come anche nel caso di Edna O’Brien, abbiamo di fronte una donna forte, moderna, emancipata che ci racconta di altre donne, e di come, citando le parole che Alba de Céspedes scrive a Natalia Ginzburg, esse abbiano questa capacità “di tornare in superficie” tutte le volte che cadono in un pozzo: anche se questo pozzo è, come spesso accade, solo la normale, opprimente, quotidianità.

 

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Pubblicato da Leonardo Dorini

Manager, consulente, blogger. Mi occupo di finanza ed impresa, amo lo sport. Ma sono qui per l'altra mia grande passione: la letteratura.

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