Oggi torniamo a parlare di Alessandro Piperno, nato a Roma nel 1972 e certamente fra i narratori italiani più interessanti e talentuosi della sua generazione; il suo penultimo romanzo, Di Chi è la Colpa, aveva richiesto non una ma due puntate delle #LettureInclinate (le trovate qui e qui), mentre oggi ci occupiamo del romanzo che completa questo dittico, Aria di Famiglia (Mondadori, 2024, pagg.405, Euro 21).
Prima di addentrarci nella nuova fatica dello scrittore romano, un piccolo ripasso: Piperno insegna letteratura francese all’Università Tor Vergata e, con il suo romanzo d’esordio (Con Le Peggiori Intenzioni, Mondadori, 2005) fece la sua folgorante apparizione anche come narratore; egli prosegue anche un’onorata carriera di critico (a lui ci siamo spesso affidati con le sue recensioni su La Lettura), di conferenziere (memorabile questa sua lezione sul Lamento di Portnoy di Philip Roth) e dal 2020 dirige la collana Meridiani di Mondadori.
Un dittico, si diceva, e infatti Aria di Famiglia prosegue là dove Di Chi è la Colpa si era fermato: Alessandro Sacerdoti, di cui avevamo seguito l’infanzia e la giovinezza nel primo romanzo, ora è un cinquantenne professore universitario di letteratura francese, scrittore di fama, in forte crisi esistenziale e creativa. Il romanzo si apre con due avvenimenti traumatici: la morte improvvisa di Veronica, una compagna di scuola del liceo, e un attacco virulento da parte dell’Ateneo in cui insegna a causa di alcune frasi sessiste che il nostro avrebbe pronunciato durante una lezione: ancorché fossero citazioni letterali di Flaubert, Alessandro non può evitare la convocazione presso la competente Commissione dell’Università.
La morte di Veronica è un modo per ricordare gli anni al liceo, per riportarci alla giovinezza a dir poco rocambolesca del nostro, rimasto orfano della madre, caduta dal balcone, il padre spiantato incarcerato per uxoricidio e lui affidato alle cure dello zio, Gianni Sacerdoti, flamboyant principe del foro (tutti fatti raccontati nel primo libro di questa dialogia).
La disavventura del professor Sacerdoti è in realtà una traccia narrativa che Piperno aveva già usato in un’altra coppia di romanzi (Il Fuoco Amico dei Ricordi) con il dottor Pontecorvo alle prese con l’accusa di molestie da parte di una giovane ragazza, figlia di amici: e quindi, a onor del vero, questa prima parte del romanzo ci ha dato sensazioni un po’ di déja-vu, non ci è parsa così convincente.
Poi però, dopo circa un terzo delle sue quattrocento pagine, il racconto cambia marcia, quasi come se questi avvenimenti fossero un modo per prepararci al piatto forte, al cuore del racconto: l’avvocato di Alessandro, Valentina, lo convoca in studio, anticipandogli che si tratta di una questione “tremendamente delicata”, che riguarda un bambino di otto anni, Noah Meisner, figlio di Myriam Sacerdoti, una cugina, improvvisamente scomparsa insieme al marito (un ebreo ortodosso londinese). Siamo alla svolta del racconto e della vita di Alessandro, con vicende che ora non vogliamo anticipare ma che toccheranno le corde più profonde, i nervi più scoperti del nostro protagonista, mancato padre, anche lui rimasto orfano da ragazzo, anche lui bisognoso della cura di altri, di coloro che fanno parte di quel tormentato concetto di “famiglia” che è un tema probabilmente fondante di tutta la narrativa piperniana:
“Per quanto mi turbasse ammetterlo, le famiglie erano il luogo privilegiato della farsa che mi aveva forgiato. Per questo erano tanto interessanti”
Anche questo romanzo è pieno di avvenimenti, di persone, di luoghi ed è in presa diretta sui nostri giorni, essendo collocato grossomodo nei 4/5 anni dalla pandemia ad oggi; anche in questo libro, l’autore prende posizione su molte delle questioni così vive di questa nostra società, oltre che su alcuni temi di grande attualità, come il conflitto israelo-palestinese ed il rigurgito di antisemitismo che è uno dei peggiori esiti cui siamo oggi costretti ad assistere.
La scrittura di Piperno è sempre molto elegante, precisa, ricca, talvolta persino troppo preziosa e ci consente di seguire la vita del nostro protagonista, che, come avrete compreso, si intreccia con quella di Noah, fino ad un flash-forward che ci porta a circa dieci anni da oggi, per concludere un crescendo di tensione emotiva che era iniziata con l’ingresso in scena del bimbo.
E, pur non volendo anticipare troppo della trama, possiamo confermare che certamente questo è il fulcro del romanzo: l’incontro fra un burbero, misantropo, cinquantenne e un bambino, l’orfano Alessandro che incontro l’orfano Noah, il non-padre alle prese con un infante la cui vita è stata distrutta da un lutto devastante.
Ma non è solo questo, perché, come ha dichiarato l’autore in questo incontro presso il Circolo dei Lettori a Milano, in questo romanzo lui ritrova il piacere di narrare, di raccontare avvenimenti, di annotare momenti di vita.
Come quando, in attesa di incontrare una sua ex-allieva al ristorante, Viola, l’io narrante ci racconta del colloquio tra due vicine di tavolo, una madre ed una figlia, e in meno di due pagine squaderna perfettamente, con più efficacia di un intero saggio, il contrasto generazionale (un classico) e l’evoluzione dei temi caldi della nostra società. O come quando apre una lunga parentesi sul suo maestro, il prof. Charcot, tracciando il ritratto spietato e affascinante di questa specie di genio affabulatore un po’ troppo licenzioso con le sue studentesse.
“Chi non ha avuto figli passa improvvisamente dall’adolescenza alla vecchiaia” ha dichiarato Piperno: questo aspetto diventa centrale nel racconto di Aria di Famiglia, nel rapporto fra Alessandro e Noah e nelle difficili scelte che il primo sarà chiamato a fare; ma il romanzo diventa anche una riflessione filosofica sulla vita, sulla famiglia e anche sulla scrittura, in un rimando fra lo scrittore nella fiction (Alessandro Sacerdoti) e lo scrittore vero (Alessandro Piperno) che sicuramente sarebbe piaciuto a Philip Roth.
“Scrivere per far tornare i conti? Che sciocchezza! E allora per quale altro scopo? Se non credi nell’aldilà, se non trovi conforto nella preghiera, se i sepolcri ti suscitano orrore e niente altro, non ti resta che votarti a questa forma di spiritismo laico e immanente”
scrive Piperno, quasi a confessarci la sua poetica, nell’ultima pagina prima di lanciare il cuore dieci anni più avanti e raccontarci di come finisce questa storia, in una specie di amaro finale quasi happy-end, ma aperto a molte diverse considerazioni che ognuno di voi potrà trarre.
Come ci è capitato in Lezioni, l’ultimo, enorme, lavoro di Ian McEwan, anche questo romanzo ci lascia con il senso di aver vissuto una storia “nostra”, di cinquantenni incerti, di incroci e cambi di rotta che hanno devastato e ricomposto la nostra vita come quella di tanti: e, in fondo, siamo sempre lì, alla letteratura che ci spiega noi stessi, come siamo, come viviamo.
La scrittura di Piperno è tra le più belle, ricche e interessanti del panorama italiano, forse la più preziosa. Le sue analisi e spietate considerazioni del mondo di oggi lo rendono un importante lettore della nostro tempo, soprattutto da quando è riuscito timidamente a esplorarlo al di là del suo personalissimo bozzolo o meglio “triangolo delle bermude” ghetto/parioli/roma nord. Peccato non poter dire lo stesso delle trame, a mio modesto avviso non all’altezza: in questo caso, l’incipit ispirato fin troppo alla trama de “La macchia umana” di Roth è fin troppo scontato per Piperno, riconosciuto come grande estimatore e studioso dello scrittore americano. Per me, una caduta di stile non necessaria. L’alter ego – Alessandro Sacerdoti, fin troppo Nathan Zuckerman – in questo libro resta cinico e distaccato fino a diventare irritante (davvero choccante il modo in cui rinuncia al bambino).