Siamo nell’epoca della neo-costruzione della Torre di Babele.
Gli atomi di cui sono fatti i materiali iniziano a parlarsi e cercano di arrivare a un linguaggio comune (standard). Se per chiare ragioni tecniche e di efficienza economica le imprese si svuotano di personale e si riempiono di robot e computer, allora è evidente che queste macchine devono comunicare tra loro.
L’Internet delle Cose (IoT) è un mondo di oggetti tenuto insieme dai bit, che forniscono la colla digitale. D’ora in poi ogni oggetto sarà immerso dentro questo collante immateriale. Si avvia così una nuova esistenza, una nuova dimensione immateriale, che circonda la materia. Grazie a tale colla ogni oggetto può collegarsi con gli altri, sia vicini sia lontani.
Più che vicini, più che lontani, saranno invisibili.
Sono oggetti già piccoli e, una volta raggiunto un trasferimento di energia rapido e senza fili per ricaricarli, saranno dentro di noi; e poi in casa, per strada, sui posti di lavoro e nei luoghi pubblici.
Pericoli, opportunità e cosa aspettarsi
In termini di sicurezza e di privacy si aprono scenari da incubo. Con la miniaturizzazione e il crollo dei costi, seguendo le classiche tendenze della tecnologia, la progressione delle comunicazioni macchina con macchina (M2M), data la numerosità degli oggetti, è geometrica. Quella tra le persone è aritmetica.
In altre parole, se l’impresa è una macchina che esegue istruzioni gerarchiche, gli oggetti in rete sono un organismo che si evolve senza un comando deciso, almeno all’inizio. Ora che le macchine hanno più potenza computazionale, e più dati a disposizione, per mezzo degli algoritmi probabilistici si riprogrammano continuamente. E migliorano più velocemente rispetto agli umani.
Non tutto è negativo, nascerà un numero inimmaginabile di nuovi tipi di lavori, a patto di inventarseli e costruirci al di sopra una professionalità. Altrimenti saranno altre persone al servizio delle macchine.
La preoccupazione è forte perché poche imprese cattureranno il valore, quelle che sapranno non solo raccogliere ma interpretare meglio i dati creati in real-time dagli oggetti.
Lo scenario competitivo nell’IoT è ancora molto fluido, perché:
– i clienti ancora non hanno fatto delle scelte precise;
– i fornitori devono ancora scegliere il modello di business;
– c’è la forte minaccia di nuovi entranti, ancora sconosciuti;
– non si è ancora innescato l’effetto rete e il conseguente lock-in.
È un momento in cui non ci sono ancora dominatori con posizioni monopolistiche, ma è facile aspettarsi il successo di piattaforme orizzontali sulle quali altri soggetti investiranno. Perché la natura dell’IoT contiene all’interno un forte potenziale disaggregante in termini di proprietà (cioè di asset, così tanto evitati da Uber, Airbnb, eccetera). Tanto le piattaforme guadagnano con gli algoritmi, a spese dei possessori di taxi o case da affittare.
La morale è che la colla unisce, e i confini aziendali e geografici spariscono.
Chi siamo noi?
Anche se oggi spesso esageriamo nelle definizioni degli oggetti che ci circondano, li chiamiamo smart, ossia intelligenti, arriveremo al punto che i miliardi di oggetti saranno i target delle campagne pubblicitarie.
Non più noi.
Perché i pubblicitari dovrebbero pensare agli umani quando ci sono le macchine che lavorano per noi e sono svariati ordini di grandezza più numerose?
Esse avranno capacità elaborative e informazioni a sufficienza, saranno loro i nuovi clienti, che prenderanno le decisioni su cosa acquistare. Le macchine si parleranno; poi ci informeranno, forse.
Il messaggio che ci è stato tramandato racconta che la costruzione della Torre di Babele fu impedita dall’Alto, ma chi siamo noi per bloccare la neo-costruzione?
Twitter: @massimochi
Articolo pubblicato sul Sole24Ore http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2015/07/21/linternet-delle-cose-e-la-nuova-torre-di-babele-e-la-pubblicita-mira-alle-macchine/