Come immaginato e temuto, la ricapitalizzazione precauzionale dei due ex gioielli veneti non è piaciuta a Bruxelles: poco evidenti, o del tutto ingiustificati, i timori di contagio e di instabilità, e men che meno devono essere state ritenute ‘sistemiche’ le due banche, neppure in logica regionale, benchè l’ad Viola avesse cercato -maldestramente- di far credere che il bail in implicasse il credit crunch come se si trattasse di una liquidazione coatta amministrativa.
Ma quello che ha definitivamente fatto naufragare il progetto, sostenuto con mirabile convinzione masochista e autolesionista da Padoan, deve essere stato piuttosto l’assenza di cavalieri bianchi che si sobbarcassero il miliardo e 250 milioni di costi per ricapitalizzare le due venete e coabitare infelicemente con uno Stato azionista per almeno il 50%.
Il vecchio piano era arrivato a cifre straordinario: 6,4 miliardi, divisi in 1 miliardo circa a carico di Atlante, 700 milioni di burden sharing di subordinati, 1,25 miliardi dagli introvabili cavalieri bianchi e 3,45 miliardi dallo ricapitalizzazione precauzionale pubblica. Il doppio di quanto solo nell’ultimo anno ha bruciato Atlante nel vano tentativo di salvare le due carrette.
E così, di fronte all’improponibilità di un piano che a costi proibitivi sarebbe servito solo a tenere tutto in silenzio (leggasi, non bruciare il risparmio delle famiglie investito fraudolentemente in obbligazioni e azioni tramite MiFID adulterate), si è rimasti soli e nudi con la realtà.
La realtà è che le due banche sono tecnicamente sull’orlo del dissesto, perchè nessuno ci vuole investire, sarebbero a rischio liquidità se non ci fossero stati 10 miliardi di bond controgarantiti dallo Stato, e non riescono a trovare un acquirente per i loro NPL che accetti di pagare prezzi fuori mercato, necessari a mantenere a galla i loro magri bilanci.
Di fronte a realtà così misere, la stessa BRRD non lascia scampo: il burden sharing da solo non garantisce né di rimediare al rischio di dissesto, né di rispettare i requisiti regolamentari di capitale, come vi dicevo commentando il bilancio della Vicentina.
Resta legalmente solo la strada della risoluzione. E questa si è infatti imboccata. Da ieri si parla di dividere le due banche in una bad bank, cui affidare i npl, e due good ( o bridge) banks, per le quali addirittura ci sarebbero già dei compratori (in realtà, martedì sera si apprende che Iccrea avrebbe già fatto dietrofront, e rimarrebbe solo IntesaSanpaolo in corsa per l’acquisto).
Si noti, con ironia amara, che la soluzione per cui abbiamo tanto Penato (ogni riferimento a persone è casuale), è la stessa applicata per Etruria&Co.
Mi sono divertito a tentare qualche conto, usando i dati ufficiali 2016 e integrandoli con alcuni dati usciti sui giornali nei mesi scorsi. Sono perciò numeri non definitivi, ci tengo a precisarlo. Lo scopo è confrontare quanto costerebbe questa soluzione rispetto al vecchio piano.
Prima di tutto, ricordiamoci che la cessione degli NPL alla badbank non avviene a prezzi dati a casaccio ma in base ad una valutazione tecnica a condizioni di mercato, e che eventuali perdite dovute alla ulteriore svalutazione dei crediti deteriorati andranno coperte dall’azzeramento di azioni e subordinati (bail in) e, se non sufficienti, dall’intervento del Fondo di Risoluzione o della Autorità Pubblica, esattamente come successo per le quattro banche regionali nel 2015.
Le più accreditate stime della Banca d’Italia parlano di un 25% di recuperabilità per i crediti collateralizzati e un 8% er quelli chirografi, quindi, facendo una media di Trilussa, dobbiamo svalutare i NPL al 16,5% circa. Numeri che tutto sommatto tornano con le cronache.
Veneto Banca ha un corposo portafoglio di NPL di 5,1 miliardi, svalutato del 50,5%. Il deficit di capitale è perciò pari a 1,7 miliardi circa, mentre il totale dei Fondi Propri (azioni, riserve e subordinati, anche comprendendo le poste non comprese nel patrimonio regolamentare come recita l’art. 28 comma 3 del d.l. 180/2015) è di 2 miliardi (di cui azioni e riserve 1,5 miliardi). Aggiungiamo che Atlante a inizio gennaio ha gettato dentro alla buca di Montebelluna altri 300 milioni circa.
Perciò, il bail-in della Veneto dovrebbe garantire la completa copertura delle perdite, di fatto riducendo significativamente il patrimonio di Vigilanza.
Popolare di Vicenza ha un altrettanto corposto portafoglio deteriorato di 5,6 miliardi, svalutato del 48,5% perciò il deficit è di poco meno di 2 miliardi, a fronte di Fondi Propri per 2,4 miliardi, di cui 2,1 di CET1, cui aggiungere 146 milioni di rabbocco di Atlante per l’Epifania.
Salvo mio errore, sembra che il quasi totale azzeramento del patrimonio delle due venete copra le esigenze legate alla cessione degli NPL alla badbank. Certo, poi la società-veicolo dovrebbe trovare i mezzi per coprire il 1,8 miliardi di NPL in pancia, ma senza richiamare necessariamente le risorse del Fondo di Risoluzione, potrebbe riuscirci elegantemente emettendo bond magari con la garanzia dello Stato.
L’intervento del Fondo di Risoluzione significherebbe infatti richiamare i contributi dal Sistema Bancario, ma dato che, come vedremo, l’operazione sembra privilegiare un solo attore (il più furbo e spregiudicato), allora non credo che gli amministratori delegati degli altri istituti ne sarebbero felici.
Infatti, ho l’impressione che il colpaccio lo farà Intesa, ma poi tutto dipenderà dai piani industriali e come verranno implementati.
Intesa si è offerta di comprare le good banks, immagino alla folle cifra di un euro cadauna, specialmente perchè si troverebbero ciascuna con patrimonio nullo e costi operativi altrettanto folli ancora da sistemare. Per questo motivo non credo che il Sistema Bancario starà a guardare, e infatti vedo già che il presidente di Unicredit, Vita, si è riscosso dal suo torpore e ora fa anche lui, come Mustier, il tifo per l’Italia, anzi il tifo per la soluzione di Sistema, in una girandola di ipocrisia che maschera maldestramente l’incapacità di aver colto un affare.
(Apro un parentesi tecnica, saltate questa parte se non siete interessati: secondo me non verranno create due bridge banks, ma si passerà direttamente alla ‘cessione a terzi’, un business sale simile a quanto visto in Spagna per il Banco Popular. Questo perchè la soluzione dellancessione diretta eviterebbe di dover chiedere una specifica deroga – ancora??? – a Francoforte per permettere alle bridge banks di esistere temporaneamente senza un capitale regolamentare adeguato, vedasi art. 42 comma 7 d.l.180/2015.)
Ciliegina sulla torta, per favorire le uscite di migliaia di dipendenti dei due gruppi bancari, si vocifera da giorni che lo Stato metterà fra i 200 e 300 milioni di denaro fresco nel Fondo Esuberi di categoria.
Vi confesserò che sono particolarmente orgoglioso di aver previsto già a maggio questa eventualità.
Proviamo perciò a fare dei confronti numerici, e vediamo poi quelli, come dire?, etici.
Il vechio piano sarebbe costato 6,4 miliardi, cui aggiungere i 3,44 miliardi già bruciati da Atlante. Totale 9,84 miliardi….[sociallocker].[/sociallocker]
Il nuovo piano prevede l’azzeramento di 3,7 miliardi di patrimonio (al massimo di 4,84 miliardi se tutto andasse riversato nella bad bank per ricapitalizzarla); aggiungiamoci 200/300 milioni di fondo esuberi e 1,8 miliardi di nuove garanzie pubbliche per la badbank. A queste somme va poi aggiunto il fabbisogno di capotale che Intesa affromterebbe per acquisire una trentina almeno di miliardi di crediti in più e rispettare il requisito CET1 del 12,5%, e sono altri 2,5 miliardi.
(Tanto per essre precisi, Intesa potrebbe evitare questa ricapotalizzazione che Messina ha sempre rigettato come idea, semplicemente non distribuendo dividendi nel 2017. Siceramente non so quale delle due idee sia meglio nella testa dell’amministratore romano trapiantato fra Milano e Torino).
Insomma, il totale dei costi della nuova operazione sono 8,3 miliardi. Ma quello che è buono, almeno secondo i parametri della DgComp, è il ridotto intervento statale a soli 1,8 miliardi contro i 3,45 precedenti. Intervento per altro neppure necessario del tutto o in parte.
Sì, sì, lo so, poi ci sarebbe anche da contare i costi che affronterà la nuovissima IntesaSanpaoloVeneto per amalgamare in una unica realtà le reti acquisite, deducendo i guadagni della vendita di alcuni assets non necessari come la bancassurance per esempio. Ma bisogna essere dentro agli uffici dove si puote ciò che si vuole per saperlo.
Eticamente, diciamo che ci resta solo di raccogliere cocci: un anno buttato via, miliardi bruciati (più di tre) e la fiducia e il brand di due isitituti distrutto dalle lungaggini burocratiche nella vana ricerca di soluzioni fantasiose.
Ho l’impressione che la vicenda si sia conclusa come una profezia auto avveratasi.
Inoltre tanto daffarsi non salverà nè gli azionisti nè gli obbligazionisti subordinati, con buona pace dei poveracci vittime dei ‘finanziamenti baciati’, che potranno però chiedere il rimborso all’apposito Fondo già attivato per i danneggiati da Etruria&Co, così facendo ulteriormente aumentare i costi a carico della fiscalità pubblica.
Ma ho l’impressione che la fattibilità dell’operazione, la sua quadra e la sua celerità farà improvvisamente diventare lepre la lenta tartaruga europea.
(PS: prima che qualcuno pensi male, lungi da me voler dire che gli azionisti e obbligazionisti danneggiati non debbano giustamente chedere i risarcimenti dovuti. Mi limito a fare conti e evidenziare costi.)