Il buco nell’acqua di Jackson Hole

Ieri a Jackson Hole si è consumato l’annuale show della politica monetaria internazionale, uno spettacolo atteso per le tante incertezze che spirano dai quattro punti cardinali del globo terracqueo. Ci si attendeva quindi dai big, fra i quali era pur assente Mario Draghi, un segnale chiaro piuttosto che un lancio di dadi, e in particolar modo lo si attendeva dalla chairwoman della Federal Reserve, Janet Yellen.
Non mi sembra sia andata come atteso, anche se per certi versi paradossalmente è andata come temuto. Nessuna nuova braciola sul fuoco, tanto storytelling e qualche timido passo avanti compensato da altrettanto timorosi passi indietro.
Ci si attendeva che Ms Yellen parlasse di rischi globali e quindi di economie emergenti e pure di bolle speculative e della dimensione del bilancio fed. Nessuna o poche erano le attese su annunci di rialzi dei tassi o di vigorose prese di posizione relativamente alla robustezza della ripresa economica USA, in primis mercato del lavoro e salari.
Nella realtà Yellen ha parlato della nuova strumentazione della politica monetaria USA, specialmente per rassicurare i mercati della futura capacità reattiva della Fed se dovesse trovarsi nuovamente ad affrontare una crisi. Ma di questo parliamo dopo.
Dicevamo che ci aspettavamo altro dal discorso della Yellen, molte più informazioni che tranquillizzassero sugli outlook dell’economia mondiale. E invece Yellen ha precisato che la ripresa USA, benchè ad un passo inferiore a quanto previsto, è comunque ora sufficiente per avviare il ciclo di rialzo dei tassi, e che le attese sono per un rialzo, da qualche settimana a qualche mese, e che i tassi nel 2017 staranno in un intervallo fra zero e 3,25%….che insomma è come dire “non me lo chiedete, non lo so”.
Non lo sa per il solito motivo: serve che i prossimi dati confermino la buona situazione che pare quelli attuali comunichino, la solita data dependency che nei quasi due anni passati ci fa attendere trepidanti e poi ci delude di continuo. Si obietta, non a torto, alla Fed di alimentare essa stessa questa incertezza: dice che alzerà i tassi, ma solo se i dati ne confermeranno l’opportunità, allora i mercati finanziari (drogati da anni di investimenti a tassi risicati o nulli, con duration preoccupanti sui bonds) reagiscono con preoccupazione, quindi le condizioni finanzarie si restringono e la liquidità comincia a segnalare difficoltà, perciò la Fed non interviene più. Il serpente che si morde la coda.
Yellen nel suo discorso dà l’impressione spiacevole che è conscia di queste reazioni del mercato, e che sia ancor più consapevole della indesiderabile aumentata reattività della ripresa USA agli shocks esogeni. A casa mia si chiama markets dependency.
Tutto nel suo discorso lascia supporre che queste siano le sue preoccupazioni, ma si guarda gran bene dal fare affermazioni vincolanti relativamente alla solidità della ripresa globale, sulla solidità delle finanze dei partners commerciali e finanziari americani, in primis le economie emergenti pesantemente indebitate in dollari e dipendenti dai capricciosi flussi di investimento delle economie afflitte da ZIRP e NIRP. Forse non vuole farlo per ragioni istituzionali e diplomatiche, io penso invece non possa farlo per obiettiva incapacità previsionale delle banche centrali. I loro modelli si stanno rivelando molto realistici nelle assunzioni microeconomiche, e altrettanto complessi e difficili da maneggiare, quando pure incapaci di fare previsioni con obiettiva determinatezza.
E se l’economia USA è in ripresa ma ad una crescita ancora sotto il desiderato, ed è diventata più sensibile agli shocks interni ed esterni che la Fed non riesce a prevedere o a cautelarsi dai quali, cosa rimane al Board dei Governatori se non rassicurare che – dovesse andar male – la Fed ha ancora munizioni da sparare? Questa è la comunicazione da Jackson Hole, il resto è fuffa
Ed ecco che Janet parte ad elencare questi strumenti, pur lasciando il pubblico ancora all’oscuro se esistono previsioni sull’economia globale fatte da uno dei più accreditati centri studi planetari, e di quale tenore siano.
Post-2008 la Fed avviò alcune novità per sminare la crisi: il tasso di remunerazione dei depositi bancari presso la Fed (IEOR rate), le operazioni overnight di reverse repurchase fra Fed e varie controparti fra cui banche, fondi monetari, brokers-dealers, aziende governative (ON RRP), il quantitative easing (QE) e una esplicita Forward Guidance (FG).
Lo scopo delle ultime due ci è noto e lo viviamo quotidianamente, nella compressione dei tassi reali e dei premi al rischio, nel (finora poco fortunato) tentativo di stimolare inflazione e (specie per l’Europa) l’attività reale tramite canale del credito e effetto-ricchezza.
Le prime due invece, che vivono in simbiosi nel garantire un solido floor ai fed rates, saranno l’asso nella manica della Fed nel futuro, se e quando la restrizione monetaria partirà. La Fed infatti, dopo le operazioni di iniezione torrenziale di liquidità nel 2008, si era accorta che l’impressionante dimensione delle riserve bancarie in eccesso aveva reso difficile controllare i tassi del mercato interbancario e da questi quelli di mercato monetario (vds nota 1).
Il problema è che appena iniziasse il ciclo di rialzi, l’eccesso di liquidità ne smorzerebbe la carica, trattenendo i tassi dell’interbancario su livelli minori di quanto desiderato. L’introduzione del tasso IEOR e delle ON RRP garantisce invece un minimo rendimento sotto il quale sarebbe assurdo prestare soldi sull’interbancario. Perciò i rialzi dei fed funds saranno coniugati a rialzi del tasso IEOR e ON RRP per garantire che la trasmissione della restrizione monetaria si trasmetta efficacemente a tutti i mercati e alla struttura dei tassi.
Questo nuovo strumento, insieme con la sfortunata vicenda del taper tantrum, ha condotto la Fed a impostare la sua futura politica monetaria secono uno scheduling preciso: alzare i tassi su prestiti e depositi, non reinvestire più i titoli acquistati con il QE che giungono a scadenza, e aspettare placidamente che il bilancio della banca centrale si sgonfi.
Ricordo ancora quando il Gran Venerabile del neokeynesianesimo M.Woodford e un altro tipo del FMI scrissero anni addietro che la dimensione del bilancio di una banca centrale era indifferente per la trasmissione della politica monetaria e per la sua exit strategy. Fuffa.
Il problema è che Janet spiega benissimo come ha fatto finora la Fed a stimolare economia e rassicurare mercati nervosi e poco liquidi, ma non dice in verità molto su come sarà possibile farlo nell’immediato futuro, specie su uno shock esterno inatteso e da loro imprevedibile dovesse abbattersi prima della fine del ciclo di rialzi. Yellen fa molto affidamento al passato e alla credibiltà della Fed, stimolando le aspettative adattive dei suoi interlocutori, ma viviamo in un mondo di aspettative razionali, sorry…
Se uno shock dovesse accadere prima che i rialzi siano sufficienti a dare spazio per ulteriori allentamenti (tagli efficaci si misurano storicamente in circa 2,5 punti percentuali almeno), la Fed non potrà usare l’arma dei tassi. Potrebbe continuare il QE, addirittura estenderlo ad altri strumenti finanziari, ma quest’ultimo implica dei passaggi legislativi per autorizzare la Fed di cui oggi non si vede traccia.
Insomma, la Fed sta dicendo che ha modo di contrastare un downturn, attualmente solo con i mezzi che ha già a disposizione, e amen se facendolo dovrà espamdere ulteriormente il suo bilancio e quindi i tempi di normalizzazione cresceranno più che proporzionalmente, rendendo la Fed stessa ancor più influenzabile dai capricci dei mercati e dall’avvicemdarsi dei cicli economici.
Questa, a mia opinione, è la comunicazione arrivata da Jackson Hole. Il resto è fuffa.

Ora lancio un pronostico, a lunga scadenza: fra qualche anno, quando ci renderemo conto che ci siamo impelagati in un brutto guaio con tassi così minimi e questa politica mometaria, sentirete risuonare ancora le campane delle vecchie dottrine liberiste e del laissez-faire.

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(nota 1) semplificando, se sul mercato interbancario c’è un surplus di fondi, perchè le banche liquide sono piene di riserve in eccesso, i tassi interbancari per prestare alle banche che necessitano di liquidità saranno spinti in basso dall’eccesso di offerta sulla domanda. La spinta verso il basso si riverbera poi a tutta la struttura dei tassi.

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Pubblicato da Beneath Surface

Alla soglia degli anta decide di tornare alla sua passione giovanile: la macroeconomia. Quadro direttivo bancario, fu nottambulo ballerino di tango salòn, salsa cubana e rueda. Oggi condivide felicemente la vita reale con le sue due stupende donne.

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