Buena innovacion social club

Ormai è diventata una splendida consuetudine quella di accogliere l’invito degli amici di Imola per raccontare ai miei concittadini cosa ho visto di rilevante nel corso dell’anno; ecco quindi la sintesi – comunque lunga – del mio intervento dello scorso settembre a Palazzo Sersanti. Intervento incentrato sul mio focus del momento: l’innovazione.

Difatti sapete tutti che reputo il progresso tecnologico l’unico fattore realmente positivo, direi anche entusiasmante, che ci sia oggi nel mondo, con sviluppi che lasciano letteralmente sbalorditi.
Dall’immigrazione alla Libia, dal surriscaldamento del pianeta alla Corea con la bomba atomica del dittatore-bimbominchia, dalle tensioni espansive della Cina nel Mar Cinese Meridionale all’estremismo Islamico, fino alla criminalità crescente, le criticità attuali preoccupano tutti.
Inoltre l’economia non va, per un trend che arriva dagli anni passati e che per il presente e il futuro prefigura una stagnazione secolare dove senza crescita, inevitabilmente, cresce soltanto il debito. Vi sono troppe strutture produttive di ogni tipo, soprattutto in Asia, che portano a bassi investimenti e bassi ritorni. Da noi causati anche dal Quantitative Easing che comprime il ritorno sugli investimenti finanziari: nel senso che il cittadino Forchielli è contento che l’Italia non faccia default ma i suoi risparmi non sa dove metterli per farli fruttare. I mercati sono ai massimi perché gli interessi sono ai minimi e la gente ha messo i soldi in Borsa che però resta fiacca. L’immobiliare con l’economia che non tira è depresso. E le materie prime sono ai minimi sempre per via della produzione eccessiva. In sintesi, per usare un eufemismo, il quadro non è felice.
Dinanzi a tutto ciò, cosa ho notato nel corso dell’ultimo anno?
Che nelle città dove il tasso di occupazione nei settori innovativi è alto, la ricchezza tende all’infinito. Gli immobili sono alle stelle e non si trova casa neanche a morire e non c’è disoccupazione. Insomma, tutto va benissimo, perché dove c’è forte investimento in tecnologia, c’è allo stesso tempo forte benessere. I modelli sono noti: Boston, la Silicon Valley, Berlino, Tel Aviv, Shenzhen in Cina, confinante con Hong Kong, dove, per esempio, quattro ragazzini sono diventati stramiliardari in dollari in qualità di maggiori produttori mondiali di droni. In queste città la ricchezza è smisurata e, soprattutto, è collettiva perché l’investimento in tecnologia si trascina dietro anche le altri componenti dell’investimento tradizionale: dall’alberghiero ai servizi.
Come mai funziona così? Perché l’innovazione tira così tanto?
Per gli enormi benefici che vediamo all’orizzonte. Per esempio è grazie anche alla biotecnologia e alla genetica in generale se la vita media si sta allungando e gran parte dei tumori si riescono a gestire. Le nuove medicine non sono chimiche ma biotecnologiche andando a interagire direttamente con il DNA per combattere le patologie tumorali. Fra cinque anni probabilmente gestiremo l’alzheimer e la sclerosi multipla. L’aspetto negativo è legato al fatto che i medicinali sono ancora molto costosi.
Altrettanto potente è l’“Internet delle cose”, ossia la possibilità di comandare la tecnologia a distanza, dalle “sciocchezze”, come gestire la lavatrice di casa dall’ufficio, all’ottimizzazione delle risorse in campo industriale. O l’Intelligenza Artificiale che, incredibilmente, auto-impara. In questo caso l’aspetto negativo è a livello occupazionale, con categorie professionali in forte contrazione nel futuro, come avvocati, medici, financial advisor, bancari, eccetera, perché tali categorie verranno largamente soppiantate dalle macchine. Mentre i lavori dalle grandi capacità manuali – come il giardiniere, tanto per dirne uno – sono ancora salvi perché replicare queste abilità è ancora troppo costoso.
Poi c’è l’“economia condivisa” di Uber nei trasporti e di Airbnb nell’ospitalità. E ancora i nuovi materiali compositi leggeri e resistenti. La robotica, che va fortissimo sia in Cina sia in Germania. La Fintech, che è la finanza che lavora senza l’intermediazione umana. La diretta del Live Streaming. I Big Data con le sue enormi potenzialità di analisi. La stampa in 3D con una precisione assoluta anche nel medicale. Le energie rinnovabili e l’Energy Storage. I droni in tutti i campi e, ultimo ma non ultimo, i nano-materiali.

Questa panoramica di innovazioni porta qualcosa a noi nel concreto?
L’Italia è indietro nell’innovazione. Bisogna spingere sull’università e sui distretti e noi abbiamo perso il treno, anche perché non sappiamo fare sistema. I nostri eroi sono i gruppi d’assalto di 30 uomini sui “Maiali” della Seconda Guerra Mondiale che peraltro i Navy Seals ci hanno copiato nella metodologia operativa. Invece la nostra Marina era più strutturata di quella britannica ma ci hanno fatto il culo proprio perché noi italiani non siamo capaci di fare sistema.
In Italia manca anche la cultura del nuovo e la struttura educativa di supporto: il liceo classico andrebbe ridimensionato ulteriormente o forse abolito. Siamo molto attaccati alla cultura, ai classici e al passato dei nostri avi. I Romani – quelli dell’Impero – erano dei giganti. Gli italiani di oggi sono dei nani.
Perciò non aspettatevi da me una risposta di sistema, semplicemente perché da noi il sistema non esiste. Credo però nei piccoli distretti, nelle famiglie e nei micro-gruppi di lavoro. Credo nella risposta individuale e in quella di impresa, nella consapevolezza che i nuovi imprenditori sono più scienziati che uomini di business.
Il piccolo distretto può aggregare e portare avanti piccole iniziative private (anche di volontariato) senza i soldi pubblici, che sono finiti o sprecati altrove.
In questo senso, ho invitato gli amici di Imola a smettere di andare alle cene del Rotary, dei Lions e dei Massoni, per risparmiare e investire in un fondo per l’innovazione. Dove si potrebbero creare borse di studio per ragazzi meritevoli che non hanno i mezzi, coinvolgendo le banche, che sono piene di soldi e che tanto non sanno a chi prestarli.
Dovremmo sempre di più coltivare i talenti e aiutarli con i punti di contatto; infatti, il mondo con Internet si è ristretto. Con la fibra si può lavorare a distanza. Dobbiamo modificare il nostro modo di essere. Apriamoci al mondo. Cambiamo la testa dei nostri ragazzi. Investiamo diversamente. Ripeto, gli italiani sono forti per la loro individualità e creatività. Sarebbe bello riuscire a crescere nella condivisione. Servirebbe una consapevolezza condivisa.
Io stesso ho cambiato le mie abitudini. Anni fa per tutti ero “Mister Cina”. Adesso non più. Mi sono spostato a Boston per puntare sulla tecnologia e sono entrato nel consiglio di amministrazione del MIT perché il futuro è lì. Purtroppo, a 60 anni, sono ormai troppo vecchio. Certe volte al MIT non capisco neppure di cosa stanno parlando ma resto lì con grande fatica per imparare qualcosa sulla scienza e cogliere la possibilità di investire in tecnologia.
Ai giovani non mi stancherò mai di dire che si deve studiare in funzione di un lavoro. Non vuoi studiare matematica? Impara a fare il cuoco, il pizzaiolo. Il paramedico lavora ovunque!
Ed io, comunque e alla fine, non andrò in pensione in Florida ma tornerò a Imola, dove, come ho detto, cercherò di chiudere la Massoneria, il Rotary e il Lions e concentrarci tutti su un Club dell’Innovazione o anche soltanto su un Comitato per i Giovani. Comportiamoci da signori rinascimentali e incoraggiamo i giovani per orientarli al futuro in questo mondo tanto piccolo quanto innovativo.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

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