Ciò che è mio è tuo: l’uso collettivo ed il suo valore

C’è una combinazione di azioni collettive che portano a risultati inaspettati, proviamo a guardare oltre i nodi interconnessi in rete.

Il Principio secondo cui le azioni umane possono portare al conseguimento di fini diversi da quelli prefissati” è la descrizione che troviamo nel dizionario De Mauro Paravia alla voce Eterogenesi dei fini. Wikipedia articola il concetto facendo riferimento a un campo di fenomeni i cui contorni e caratteri trovano più chiara descrizione nell’espressione «conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali».

Tale espressione rende evidente che essa non si riferisce a semplici accadimenti naturali, ma riguarda più specificamente il campo dell’azione umana, tanto individuale quanto, più spesso, collettiva.

Si può osservare che la tecnologia, quando è usata da un gran numero di persone, si trasforma in termini qualitativi. Ed è davvero gratificante rilevare quali inaspettate conseguenze si possano ottenere a partire da fini o scopi che prevedevano tutt’altri risultati. Riutilizzando gli stessi strumenti per altri fini e ricombinandoli con le azioni collettive, si raggiungono talvolta risultati persino paradossali, non calcolabili né con regole né con l’esperienza. Del tutto imprevedibili, e in antitesi rispetto ai fini originari.

È facilmente riscontrabile come l’informatica abbia “virtualizzato la mente dell’Uomo” nel senso che ha ampliato sia l’orizzonte delle sue opportunità, sia quello delle relazioni sociali; ci ha trasformato da spettatori a utenti attivi, e questo non è un mero fatto tecnologico, ma ha formidabili implicazioni sul nostro futuro.

Se la tecnologia è un’estensione o virtualizzazione delle nostre capacità, come afferma il filosofo francese Pierre Lévy, allora queste nuove risorse si potrebbero assimilare a sinapsi appena nate — tra persone vicine ma anche lontane — con inediti e inattesi livelli cognitivi.

Viene allora in mente la blogosfera formata da schegge d’informazione, come i pixel dell’alta definizione. Al pari di un grande mosaico, visto da lontano non se ne vedono le singole tessere bensì una visione d’insieme ricca di colori. Da vicino, invece, ognuno con la propria fantasia, passione e creatività dona una ricchezza di dettagli; alquanto miracolosa considerando la varietà e la complessità dei temi in oggetto. E così i blogger sono diventati parecchi ordini di grandezza più numerosi dei media tradizionali.

Ecco come un fine da raggiungere con la tecnologia (migliorare la comunicazione) sconvolgendo le regole dell’economia (non più solo limitato dagli scambi monetari) potrebbe procurare, in maniera inaspettata, benefìci in termini sociali.

La chiave di volta per comprendere il motivo del successo di tali strumenti è che essi rispondono a un bisogno primario delle persone: comunicare (come rapprensentato in figura).

effetti-tempo

Ma la tecnologia da sola non ha alcuna possibilità di successo: solo quando si combina e s’interseca con un’alta accessibilità –in termini economici- può sfociare in qualcosa che modifica il modo in cui le persone si relazionano, diventando un bene di massa. E la società non è più la stessa, è mutata, molti credono in meglio, e in ciò sta il significato dell’eterogenesi dei fini.

Oggi viviamo in un’epoca in cui la tecnologia ha tempi d’adozione esponenziali, basti pensare che per raggiungere 50 milioni di utenti la radio ha impiegato 38 anni, la televisione 13, internet 4, l’ipod 3, Facebook 2 e le conseguenze sono imprevedibili quando tali strumenti sono messi a disposizione della creatività di miliardi di persone. Anche perché le azioni sono correlate ai comportamenti e alle reazioni di altri soggetti, per definizione non lineari ma discontinue e non proporzionali tra causa ed effetto. In un sistema complesso, quindi, tali relazioni non sono mai prevedibili.

Rimaniamo nel frattempo ottimisti lasciando le persone al centro dell’azione; la tecnologia è uno strumento certamente importante e degno di rilievo in questo XXI secolo, ma non possiede una propria azione liberalizzante. D’altra parte la tecnologia non ha niente di naturale, non la troviamo allo stato puro, libera. Ma è solo opera dell’inventiva umana.

Il più grande esempio dei fenomeni descritti è senza dubbio quello che va dall’idea che ha sviluppato internet alla realizzazione del World Wide Web e le sue applicazioni come le conosciamo oggi. Nessuna impresa avrebbe potuto cooptare migliaia di geni per sviluppare formidabili algoritmi per creare qualcosa di lontanamente comparabile allo sviluppo odierno della rete.

L’azione dei soggetti attivi nel creare le informazioni da condividere non è stata la risultante ma una precondizione. Non è stata la tecnologia ad assicurare l’armonia dei risultati, ma sono state le azioni individuali che, eseguite per altri fini, sono state convergenti –per mezzo dei protocolli aperti- verso gli attuali risultati.

Twitter: @massimochi

Originally published at massimochiriatti.nova100.ilsole24ore.com

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Pubblicato da massimochi

Massimo Chiriatti è un tecnologo con Master nella gestione dell’ICT, descrive l’economia digitale e osserva le conseguenze sulle persone, in particolare sull’occupazione. Collabora con il Sole24Ore-Nòva100.

Una risposta a “Ciò che è mio è tuo: l’uso collettivo ed il suo valore”

  1. Mi affascinava l’utopia dell’immaginazione al potere. La creatività potrebbe essere intesa come l’espressione concreta dell’immaginazione. Pensare poi che differenti creatività, che si esprimono in maniera individuale, interagendo con altre possano produrre effetti non previsti né prevedibili e’ meraviglioso e preoccupante al tempo stesso. Naturalmente la tecnologia non è né buona né cattiva, tutto dipende dall’utilizzo che se ne fa e ciò è a maggior ragione vero quando diviene facilmente accessibile. Io preferisco pensare all’enorme potenziale positivo di un pensiero collettivo fluido, in costante movimento e variamente composto, che si arricchisce e si evolve alimentandosi del contributo e del confronto dei singoli. Sperando che non sia un’altra utopia.

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