Riprendiamo dal mio warning di luglio proveniente dai dati del commercio mondiale: agli evidenti segnali di fragilità degli emergenti, si è aggiunta la Cina,il cui intervento sul tasso di cambio ha messo benzina sul fuoco alimentando l’incendio invece di spegnere il focolaio. Siamo stati balzati nel bel mezzo di una crisi valutaria su emergenti con riflessi evidenti sul mercato azionario globale. La mia mente è subito andata al 1998: crisi asiatica senza recessione globale e con buoni fondamentali dell’economia USA. Infatti, nel 2ndo trimestre 2015 gli americani sono cresciuti del 3.7%, compensando un inizio anno deludente: al netto della variabilità trimestrale (linea blu) la domanda domestica sta accelerando progressivamente (linea rossa, area cerchiata).
Tuttavia il rallentamento dei paesi emergenti e della Cina in particolare, rappresenta un fattore di rischio sulle previsioni dei paesi sviluppati. BCA Research misura questo effetto in 0.2% per gli USA, ipotizzando una ulteriore recrudescenza della crisi stile 1998 (ulteriore deprezzamento del 10%). Tuttavia, rispetto a quel periodo si devono riscontrare due differenze:
- politica monetaria USA: divenne prontamente espansiva (Fed tagliò i tassi 3 volte da 5.50% a 4.75%), per poi ritornare ad alzare appena qualche mese dopo; adesso la Fed potrebbe modulare il primo rialzo in funzione della gravità della crisi, ma non rimandare al 2016.
- petrolio: il cui squilibrio fra domanda e offerta è ancora fortemente sbilanciato (circa 2.5mln di barili al giorno in eccesso) e rappresenta un fattore di rischio per la stabilità finanziaria di molti paesi emergenti.
In definitiva, è probabile che questa turbolenza dei mercati, derivante da un inevitabile aggiustamento nei paesi emergenti, possa tradursi in effetti macro USA e globali limitati. Tuttavia saranno necessari ulteriori aggiustamenti, sia su tassi di cambio sia su tassi di interesse, funzionali alla stabilizzazione delle economie dei paesi emergenti.

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