Le origini della crescita

Tutti ormai sanno che il Prodotto Interno Lordo (PIL) è la somma dei consumi di famiglie (C), imprese (I) e del governo (G), a cui aggiungere le esportazioni nette (NX). La formula è ormai usata anche per le t-shirt personalizzate: PIL=C+I+G+NX.

Secondo questa prospettiva basterebbe spingere un po’ consumi o detassare gli investimenti per far lievitare il PIL; per non parlare della leva della spesa pubblica. No, purtroppo non funziona così. Il modo in cui si trasmettono gli stimoli e gli shocks in un’economia è ben più complicato. Per esempio, guardate cosa ne pensa la Federal Reserve di New York in una descrizione stilizzata di un modello economico:

RTIF_DSGE

 

Confusi? sì, anch’io. Allora dimenticatevi della Fed e passiamo ad un metodo relativamente meno complesso e comunque significativo delle determinanti profonde della crescita: quello che scompone il PIL nelle sue determinanti demografiche. Non fatevi impressionare dalla parola “demografia”, non ho alcuna intenzione di fare delle proiezioni a 50/100 anni o riempire l’articolo di piramidi della popolazione. Tuttavia vorrei concentrarmi sul modo in cui reddito nazionale di un paese (PIL) dipende fattori più propriamente collegati alle decisioni che ogni individuo prende nell’arco della propria vita. Trasformiamo l’equazione:

PIL = C+I+G+NX = WPOP*LU*LP

Vale a dire che la crescita del PIL dipende da:

  • il tasso di crescita della popolazione attiva (WPOP): si tratta di nascite, politiche della famiglia, immigrazione;
  • Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro (LU): si tratta di occupazione, soprattutto giovanile e femminile, nonché di età lavorativa media e massima;
  • Il tasso di crescita della produttività del lavoro (LP): riguarda la capacità di produrre per ogni singola ora lavorata.

[tweetthis]Da questa angolazione il PIL acquista fascino e consente approfondimenti[/tweetthis]

Da questa angolazione, il PIL acquista fascino e consente approfondimenti sul modo in cui si può effettivamente modificarne la sua dinamica. In pratica questa trasformazione consente di capire una volta per tutte che la crescita e l’occupazione non si creano dal nulla; e soprattutto non si creano per decreto ministeriale o per volontà sindacale.

Questa rimodulazione del PIL rende ancora più facile valutare le scelte di politica economica di un governo. Come spuntare la lista della spesa: “questo supporta”…”questo va bene ma è solo una promessa”…”questo va proprio dall’altra parte”. Insomma, diventa più facile puntare il dito su ciò che allontana dagli obiettivi economici più appropriati.

[tweetthis]crescita e occupazione non si creano per decreto ministeriale o volontà sindacale[/tweetthis]

Provo ad elencare cosa potrebbe fare un governo lungimirante: sul punto 1) avere degli obiettivi di crescita della popolazione attraverso delle politiche che favoriscano la natalità (non bonus bebe’ una tantum) supportato da politiche di immigrazione adeguatamente calibrate; limitare l’uscita prematura dal mercato del lavoro attraverso prepensionamenti e favorire l’ingresso dei giovani immediatamente dopo il termine degli studi. Sul punto 2) facilitare e stimolare l’accesso al mercato del lavoro a tutte le categorie di individui abitualmente sottoutilizzati (lavoro giovanile, lavoro femminile); allo stesso tempo dovrebbe riconoscere ed affrontare il problema crescente dei cosiddetti “dispersi” (in Italia oltre 2 milioni di persone), quelli che non frequentano corsi e che non cercano lavoro o che sono occupati (NEET o “né-né”: né studio, né lavoro, né formazione) attraverso delle politiche sociali inclusive e di sostegno, puntando su una maggiore integrazione fra scuola e lavoro o attraverso percorsi culturali alternativi.

Infine, sul 3° punto una breve premessa: la produttività del lavoro dipende essenzialmente dagli investimenti in capitale fisico e innovazione, capitale umano e l’interazione di questi due fattori. Per esempio, la produttività aumenta se, in media, le imprese investono di più in macchinari ed attrezzature, nuove tecnologie, ricerca e sviluppo, innovazione di processi. Tale produttività è direttamente collegata al livello di istruzione, competenza e esperienze professionali accumulate durante il percorso educativo e professionale. Ma non è tutto. La cosa che rende tutto ciò imponderabile, quello che trasforma una semplice addizione in una moltiplicazione, è l’interazione dei due: alti investimenti e alti livelli di capitale umano insieme creano un fattore additivo, un ingrediente speciale, che rende unica la combinazione dei due fattori produttivi: la produttività totale dei fattori (TFP o “residuo di Solow”).

Torniamo quindi alla lista della spesa: un governo lungimirante dovrebbe creare le condizioni perché ci siano investimenti necessari sia per evitare l’obsolescenza del capitale fisico sia per garantire l’innovazione. E dovrebbe concentrarsi sull’istruzione e formazione per costruire il capitale umano e creando le condizioni perchè non si deteriori il capitale formativo e di esperienza accumulato negli anni. Continuare a pensare che gli investimenti sia in innovazione che in formazione siano solo dei costi porta inevitabilmente ad un deterioramento delle potenzialità nella creazione del reddito.

Ignorare questi fattori, crea una miscela negativa che non fa funzionare quella magia che porta alla creazione dell’occupazione, dei salari reali e dell’intera economia. Perseverare nell’ignoranza, crea disordini sociali e devastazione economica.

Traduciamo tutte queste belle parole in numeri:

product

 

Dal grafico possiamo trarre alcune conclusioni:

  • Il calo generalizzato della crescita nei decenni considerati è dovuto ad un calo generalizzato della produttività;
  • I paesi che hanno adottato l’Euro non mostrano una dinamica peggiore rispetto ad altri (es. UK);
  • In Italia si distingue un azzeramento della produttività, derivante dal forte calo di tutte le componenti: lavoro, capitale e TFP;
  • In Italia, l’unico fattore in miglioramento è l’aumento della popolazione in età lavorativa, grazie all’immigrazione;
  • La Germania ha accusato un calo della popolazione nonostante l’immigrazione degli ultimi anni;
  • La Francia ha un progressivo e continuo calo dell’utilizzo del fattore lavoro, risultato delle politiche economiche.

Risulta evidente che ogni paese deve introdurre dei correttivi diversi in modo da contrastare il lento e progressivo deterioramento della crescita. Per esempio, se la Francia ha una politica della famiglia ed un tasso di crescita della popolazione migliore rispetto agli altri; allo stesso tempo ha un mercato del lavoro che limita l’utilizzo del fattore lavoro come risorsa. In Germania, a fronte di una buona dinamica della produttività, si nota un calo della popolazione risultato del tasso di natalità penalizzante. In Italia, si deve lavorare su tutti i fronti, ma è fondamentale ripristinare il meccanismo virtuoso di investimenti in capitale fisico e in capitale umano.  Già in passato ho fatto riferimento al gap di produttività con la Germania negli ultimi decenni, totalmente indipendente dall’adozione di un tasso di cambio fisso (qui).

I nostri governanti, ma anche selezionati economisti, pensatori e giornalisti, sono concentrati su politiche della domanda, nella speranza che gli €80 (et similia) traslati dal pubblico al privato possano ravvivare la crescita. Niente di più inutile e controproducente: il deficit non produce crescita, la sposta nello spazio e la trasla nel tempo, con un costo netto negativo. Deve essere usato con accortezza e solo in maniera anticiclica.

[tweetthis]Ripristinare il meccanismo virtuoso di investimenti in cap fisico e cap umano[/tweetthis]

Concludendo, il fallimento del modello di crescita è tutto italiano. A nulla serve incolpare l’Euro, l’Europa, Angela Merkel e la Germania. A nulla serve cercare i cavili nei calcoli del PIL potenziale, per il decimale del deficit strutturale, se poi il potenziale è totalmente compromesso da decenni di politiche miopi e vessatorie. E’ necessario riportare l’attenzione sulle riforme strutturali che, agendo su ognuno dei fattori qui considerati, possano invertire il lento scivolamento dell’Italia nel baratro della stagnazione secolare.

[tweetthis]E’ necessario riportare l’attenzione sulle riforme strutturali [/tweetthis]

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Pubblicato da liukzilla

Wealth/Asset manager. Ha sposato la causa dei bond ed è ossessionato dalle banche centrali.

20 Risposte a “Le origini della crescita”

  1. Caro LI_UK,

    purtroppo, “sbagli”.

    Bisogna, invece, che le Persone in Italia s’IMPRESSIONINO – eccome e SEMPRE DI PIU’: ancora DORMONO, di brutto! – dalla parola “demografia” (non solo, da questa – ma Mi fermo ad essa e da quanto da Te scritto – come sai).

    -[Camillo Linguella (Previdenza complementare):

    -1- “Se l’andamento del Pil deprime la pensione” – Novembre 10, 2014

    http://previdenzacomplementare.finanza.com/2014/11/10/se-landamento-del-pil-deprime-la-pensione/

    -ET-

    -2- “Correggere il calcolo dei coefficienti per le pensioni” – Novembre 14, 2014

    http://previdenzacomplementare.finanza.com/2014/11/14/correggere-il-calcolo-dei-coefficienti-per-le-pensioni/ ]-

    Tutto diventa/erà SEMPRE PIU’ COMPLICATO – ebbene che Lo sappiano, chi dorme – e si rischia una “sterilizzazione” – né genetica, né naturale – di massa; bensì volontaria – ed ahi-Noi indotta dall’ignoranza che “sembra” pervadere gl’Italici (non a caso, proprio l’ignoranza è la peggiore delle povertà).

    [Noi] Dobbiamo fare il Nostro – piccolo – “compito”: cercare di aprire le menti – intorpidite e non pensanti-, ricordando sempre il famoso detto:

    “faber est suae quisque fortunae” -[gergalmente e storicamente viene attribuito ad Appio Claudio “il Cieco” (350 a.C. – 271 a.C.) – Ci aveva visto, e meglio, degl’Altri; prima dei “profeti” (attuali), tra l’altro!].

    Surfer [Ciao a Tutti … anche a Times (sei sparito!)]

  2. “Già in passato ho fatto riferimento al gap di produttività con la Germania negli ultimi decenni, totalmente indipendente dall’adozione di un tasso di cambio fisso (qui)”.

    Ma chi vuol prendere in giro? Cosa è successo nel 1997 perché la produttività abbia cominciato a scendere? Non corrisponde a quell’anno l’istituzione del cambio fisso (1993,27), poi sfociato nell’euro, qualche anno dopo? Che pena!
    Se vuole lei può calcolare la produttività anche negli anni dei vari serpenti monetari, così si convince definitivamente. Possibile che un sedicente economista ignori queste cose? Non potendo dubitare della sua buona fede, da bravo, si occupi d’altro.

    1. Da buon osservatore avresti dovuto guardare che nella prima parte dell’articolo ho preso come paragone altri due grandi paesi euro, ed uno ex euro. Al netto di un comune calo di produttività, l’Italia mostra un comportamento specifico.
      Poi ovviamente chi vuol vedere per forza che è colpa dell’euro, della convergenza, degli altri insomma, allora piega tutto al proprio servizio. Io mi limito ai dati, il resto è aria fritta.

  3. Liuk il tuo ultimo paragrafo riflette l’Italia purtroppo. Dare la colpa sempre a qualcuno e’ nel dna dei baby “s”boomer che lo hanno trasmesso al’ingiu’….
    Surfer ci sono ma molti articoli mi annoiano. Finiti i bei tempi BA e basta…
    Anche tu xo’ sei stato assente…

  4. Per contribuire alla comprensione della perdita di competitività italiana, e tanto per contestare che non siamo poi così brutti, sporchi e cattivi proporrei, tratto dal “The Dynamic Effects Of The Common Market” di Nicholas Kaldor, pagina 192, questa nota :
    Myrdal ha coniato la frase “nesso di causalità circolare e cumulativa” per spiegare la ragione per cui il ritmo di sviluppo economico delle varie aree del mondo non tende ad uno stato di equilibrio costante ma, al contrario, tende a cristallizzarsi in un numero limitato di aree in rapida crescita, il cui successo ha un effetto inibitorio sullo sviluppo di altri.
    Questa tendenza non potrebbe verificarsi se i cambiamenti nei salari monetari fossero sempre tali da compensare la differenza nei tassi di crescita della produttività. Tuttavia ciò non si verifica.
    Per ragioni che non sono forse pienamente comprese, la dispersione nella crescita dei salari monetari, tra le diverse aree industriali, tende ad essere – sempre – notevolmente inferiore alla dispersione nei movimenti della produttività.
    E’ questa la ragione per cui, all’interno di un’area monetaria comune – o nell’ambito di un sistema di valute convertibili a tassi di cambio fissi – zone in relativa rapida crescita tendono ad acquisire un vantaggio competitivo cumulativo rispetto ad aree in crescita relativamente lenta.
    Livelli di salario “efficienti” (ovvero salari monetari divisi per la produttività) sarebbero quelli che, nel corso naturale degli eventi, tendono a diminuire nel primo caso (aree in crisi, ndt), rispetto al secondo (aree in crescita, ndt) – anche quando i salari tendono ad aumentare, in termini assoluti, in entrambi i casi.
    In ragione dell’aumento delle differenze di produttività (perché non siamo in presenza di salari “efficienti”, ndt), i costi comparati di produzione, nelle aree in rapida crescita, tendono a cadere – nel corso del tempo – relativamente a quelli delle aree a crescita lenta, e migliorano, di conseguenza, il proprio vantaggio competitivo sulle seconde.

    1. Quindi la perdita di competitività in Italia è stata causata dalla mancanza di crescita dei salari in Germania…
      Invece non c’entra nulla il fatto che l’Italia è fra gli ultimi in tutte le classifiche relative all’istruzione: comprensione testo, scienze matematiche ecc ecc. Nulla a che fare con le competenze della forza lavoro http://www.pianoinclinato.it/wp-content/uploads/2014/03/12.-4-labor-skills.jpg
      E nulla con gli investimenti privati, ai minimi da 3 decenni, come nulla sulla capacità di attrarre nuovi investimenti http://www.pianoinclinato.it/wp-content/uploads/2014/03/12.-3-doing-business.jpg (Entrambi presi da http://www.pianoinclinato.it/malato-di-crescita/).
      Insomma, tutta colpa della Germania, come al solito.
      Ok, ne prendo atto.
      Buona serata.

  5. Se non basta Nicholas Kaldor (premio Nobel), ci provo con Paul Krugman (anch’egli premio Nobel). E dire che già dall’equazione per il calcolo del PIL, ad esempio per il 2013, lei dovrebbe aver compreso che, con il PIL che cresce di un punto, i consumi delle famiglie e dello stato che valgono più o meno un paio di punti, se (export – import) vale 8 punti, non resta che concludere che gli investimenti sono diminuiti di 5 punti, giusto?
    Altro che investimenti! La produttività tedesca si basa tutta sull’istituzione dei minijobs attraverso le riforme Hartz (oltre 9 milioni di persone a 400-450 euro/mese, senza contributi), in pratica la legalizzazione del lavoro nero, e sullo sfruttamento della manodopera proveniente dall’Est.
    Lo stesso DIW (mi scuso se è poco, ma è l’istituto di ricerca più autorevole in Germania) si lamenta come una iena perché da quasi venti anni gli investimenti in Germania sono fermi. Il Financial Times, invece, prima dell’introduzione dell’euro, sosteneva che Francia e Italia erano a posto, e che la Germania era il malato d’Europa (coraggio, l’articolo, se vuole, può trovarlo su Internet).
    Riguardo il livello dei nostri studi, poi, se lei crede alle classifiche non so che farci, ma se al CERN di Ginevra la nettissima maggioranza degli scienziati è italiana, allora vuol dire che forse non è così basso (faccia un giro per gli istituti di ricerca nel mondo, chieda cosa pensano dei ricercatori italiani. Semmai lo scandalo è che debbano migrare!).
    Continuo a pensare, invece, che la “Normale di Pisa” sia la migliore università al mondo per le facoltà scientifiche, a prescindere dalle classifiche anglosassoni (loro sono sempre primi, ma poi non saprebbero che cosa fare senza gli scienziati d’importazione. Guardi quanti indiani ci sono alla Silicon Valley, non è una questione di costi, ma di preparazione!).
    §§§
    ALTRE CONSIDERAZIONI SULLA GERMANIA – Paul Krugman per “The Conscience of a Liberal”, rubrica del New York Times – Traduzione di Franco
    C’è qualcos’altro da dire, sia sul surplus commerciale della Germania, che sulle successive considerazioni degli Stati Uniti, nelle quali si dice, correttamente, che questo surplus è dannoso per l’economia mondiale.
    La cosa peggiore, se me lo chiedete, è l’affermazione del Ministro dell’Economia tedesco – riportata nell’articolo dello Spiegel – che il surplus della Germania è segno sia della competitività dell’economia tedesca, che della domanda globale di prodotti di qualità provenienti dalla Germania.
    Gli economisti di tutto il mondo, leggendo questa dichiarazione, non potrebbero che mettersi a piangere! Nei principi contabili di base sta scritto che:
    Saldo = Risparmio – Investimenti
    Qualsiasi storia vogliate raccontare sulla determinazione del saldo della bilancia dei pagamenti, dovete prendere in considerazione questo principio elementare.
    Supponiamo che voi abbiate dei prodotti meravigliosi, che tutto il mondo ama. Anche così, se avete dei bassi risparmi e degli investimenti elevati, andrete in deficit. Com’è possibile che questo accada? E’ semplice: perché aumenta il valore della vostra moneta e/o aumentano i vostri salari, in relazione a quelli dei concorrenti.
    Così, mentre è impressionante, da un lato, che la Germania possa conseguire un surplus così grande, nonostante i costi elevati della sua manodopera [rispetto a molti paesi nel mondo, certo non a quelli dell’Eurozona. Il riferimento è ai Mini Jobs, ndt] – e questo testimonia senz’altro la qualità dei suoi prodotti – non si può non rilevare, dall’altro, che questa eccedenza riflette gli elevati risparmi, rispetto agli investimenti [ovviamente l’equazione va letta anche al contrario, ovvero scarsi investimenti rispetto ad un risparmio costante. E’ il caso della Germania, come rilevato dallo stesso Spiegel nell’articolo “Ailing Infrastructures”, basato su uno studio del DIW, http://www.spiegel.de/international/germany/diw-weak-infrastructure-investment-threatens-german-future-a-907885.html, o da Alberto Bagnai nel suo blog, nell’articolo “Eh, ma i tedeschi hanno investito!, ndt]
    Siamo in un mondo inondato di risparmio – come ho detto giusto l’altro giorno, in un contesto diverso – un mondo dove chi decide di spendere di meno e risparmiare di più, rende più poveri tutti gli altri. Questa situazione non è normale, ma è quella in cui noi ci troviamo, quella dove siamo stati per cinque anni.
    Veramente il Ministro dell’Economia tedesco non capisce tutto questo? La mia ipotesi è che egli non lo capisca – ovvero che la Germania consideri davvero se stessa come un modello. E’ convinta, in altre parole, che tutto sarebbe andato per il meglio, se tutti si fossero comportati al suo stesso modo.
    Non è in grado di capire, evidentemente, un concetto veramente elementare: un mondo dove tutti i paesi conseguono dei grandi surplus commerciali, sarebbe quanto meno un mondo problematico [in altre parole, se tutti i paesi volessero conseguire dei surplus commerciali, non ci resterebbe che esportare su Marte, ndt].
    ———————————————————————————————————————————–http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/11/01/more-notes-on-germany/?_r=0
    ———————————————————————————————————————————–
    Non è necessario rispondere. La saluto e le auguro buona notte.

  6. Ocnarf,

    anche Barack Hussein Obama ha vinto il premio nobel – per la pace (il Ottobre 9, 2009) -, come Paul Robin Krugman – per l’economia (il Ottobre 14, 2008).

    Tanto per dire.

    Della serie: “scarta fruscia che esce primera”.

    Surfer [LI-UK devi sapere – non conoscendoLo bene – che Times (!sei sparito, invece!) è perfido – ama il “ditino” – ma è buonissimo ed è onestissimo. Gli AMICI NON Li tradisce/tradirà MAI; nella VITA, soprattutto. Avercene, sempre – oggigiorno, in particolare]

  7. Ocnarf oppure Franco e’ semplicemente la dimostrazione dell’italiano medio. Critiche ottuse da e’ tutta colpa degli altri e basta. Non aggiungo altro.
    Ditino perfido.
    Grazie Surfer e’ vero 🙂
    Abbraccio

  8. Caro Times Fly perché invece di ricordare i miei limiti, lei non va a contestare nel merito quello che Kaldor e Krugman hanno detto? Ma non solo loro, Stiglitz, Roubini, Spaventa ……. Non c’è economista indipendente che non abbia detto più o meno queste cose (mi fa qualche esempio contrario?).
    Per fortuna, però, che c’è gente in gamba come lei e l’autore dell’articolo che (a differenza di tutti questi economisti, che evidentemente non capiscono niente) ha capito tutto. Siamo esseri inferiori!
    Abbiate rispetto, almeno, per quanti stanno morendo di fame, o si buttano dalla finestra, conseguenza dell’introduzione dell’euro.

  9. Questo tipo di polemiche “sottovuoto con niente dentro”, dove si fronteggiano atteggiameni equamente presuntuosi, mi hanno spinto a chiudere il profilo su twitter ed a decidere di non parlar mai più di politica ed economia.

    Sull’atteggiamento che vede sempre e comunque altrove “le colpe” e mai riflette sulle proprie responsabilità in prima persona, ho trovato interessante questo spunto legato all’attualità: http://www.glistatigenerali.com/articoli/piove-e-tanto-ma-basta-dire-governo-ladro/

    L’euro è una moneta Europea senza un’Europa che possa dirsi tale. L’UE è attraversata da spinte nazionalistiche (per non dire fasciste…) sempre più forti a cui è del tutto aliena qualsiasi forma d’integrazione, anzi le spinte sono contrarie e di chiusura. Ormai anche al bar o dal macellaio si parla di “sovranità nazionale”: siamo noi “Europei” a non volere l’Europa unita.

    Senza Europa, senza una Costituzione vera e propria, un regime fiscale omogeneo (Lussemburgo? No party) e senza emissione di debito pubblico Europeo (eurobond), l’euro quali speranze può mai coltivare?

    I vari Salvini, Le Pen, Farage, Orban, Grillo & friends impazzano, e questi “bravi ragazzi” chi li vota? Qualcuno li voterà pure…almeno a giudicare da sondaggi ed elezioni varie.

  10. Ocnarf,

    altro giro, altra infornata di nomi: Roubini, Spaventa. Azz! – [poi] (scrivi) anche (di) “economisti indipendenti” – ri_AZZ!!!

    I_N_D_I_P_E_N_D_E_N_T_I? Ma in che “mondo” vivi?!?!?!

    Sei troppo in-dottrinato, ahimé. Troppo, purtroppo. DAVVERO.

    …” Riguardo il livello dei nostri studi “…

    I dati relativi all'”istruzione universitaria” posizionano l’Italia agli ultimi posti tra i principali Paesi OCSE nelle graduatorie relative alla diffusione del “diploma di laurea” tra la Popolazione, anche nelle fasce di età più giovanili.

    Prendendo in considerazione la Popolazione tra i 15 e i 64 anni in Italia i laureati sono SOLO il 14% a fronte di una media UE del 25%, di valori compresi tra il 25%-30% per Germania, Francia e Spagna e del 35% per il Regno Unito.

    Anche nella fascia d’età 25-34 anni i laureati ammontano SOLO al 21% della Popolazione a fronte di una media OCSE del 38%.

    Il dato, pari a meno della metà rispetto a quelli Francese, Statunitense e Britannico, colloca l’Italia al PENULTIMO POSTO tra i 34 Paesi dell’OCSE, davanti SOLO alla Turchia – per il momento, avendo visto gli ultimi dati “ufficiosi”, è previsto anche il sorpasso.

    Le difficoltà incontrate dai giovani laureati nell’inserimento nella “vita professionale” sembrano – poi – in parte aver contribuito a demotivare i neo-diplomati ad investire ulteriormente in Loro stessi e nella formazione.

    Alcune indagini hanno evidenziato come un numero crescente di giovani consideri il “percorso universitario” come un differimento del momento di confronto col mondo professionale e NON nutra particolare fiducia nel titolo universitario come elemento abilitante per un più facile accesso al mondo del lavoro.

    I laureati, pur potendo contare su un vantaggio relativo in termini occupazionali rispetto a chi ha conseguito un titolo di studio inferiore, stanno sperimentando un generalizzato PEGGIORAMENTO della Loro condizione occupazionale, non solo nella fase d’ingresso nel mondo lavorativo, ma anche a distanza di alcuni anni.

    I giovani che si apprestano O_R_A ad entrare nel mondo del lavoro devono confrontarsi, oltre che con una base retributiva più bassa rispetto a quella dei colleghi degli anni precedenti, anche con dinamiche reddituali che al trascorrere del tempo evidenziano un progressivo RIDIMENSIONAMENTO.

    L’importanza della “laurea” come elemento qualificante per carriere professionali meglio retribuite si è ridotta CONSIDEREVOLMENTE nel corso degli anni.

    A livello aggregato il vantaggio di un laureato rispetto a chi detiene un titolo di studio secondario è pari al 48%, circa 10 punti percentuali in meno rispetto alla media OCSE.

    Il dato aggregato presenta tuttavia valori diversificati tra le diverse fasce di età.

    I laureati nella classe di età 25-34 anni guadagnano in Italia SOLO il 22% in più rispetto a chi nella stessa classe di età ha conseguito un “diploma di maturità”, a fronte di un media OCSE superiore al 40%.

    Nella classe di età 55-64 anni il vantaggio rispetto ai diplomati sale al 68%, un valore solo di poco inferiore al 73% medio dei Paesi OCSE.

    In sostanza, i giovani laureati Italiani hanno un vantaggio retributivo su Coloro che hanno un titolo di studio secondario MOLTO inferiore (-18 punti percentuali) rispetto a quello medio riscontrato nell’area OCSE, mentre i laureati Italiani appartenenti alla fascia di età 55-64 anni presentano un vantaggio retributivo quasi in linea (-5 punti percentuali) con quello prevalente nella media dei Paesi OCSE.

    Il ritardo accumulato dall’Italia rispetto a molti Paesi relativamente all’”istruzione universitaria” oltre ad essere legato alle dinamiche della domanda, passa per un modello di offerta su cui occorre intervenire per stimolare un processo di rilancio verso gli obiettivi Europei.

    I vari dati diffusi dall’OCSE sui sistemi educativi dei Paesi appartenenti all’area hanno evidenziato alcune – e costanti – criticità del sistema dell’”istruzione Italiana”.

    La percentuale di PIL destinata all’istruzione risulta pari al 4.7% a fronte di una media OCSE del 6.3%.

    Si tratta del terzo peggior valore dell’area, superiore solo dello 0.1% a quello del 1995, anno in cui la media OCSE si fermava al 5.4%.

    Per quanto concerne l'”istruzione universitaria”, negli ultimi 15 anni, la spesa per studente è cresciuta del 39%, un aumento più che doppio rispetto al 15% registrato in media dai Paesi OCSE.

    Tale aumento è prevalentemente riconducibile a quello dei finanziamenti provenienti da fonti private.

    L’aumento della percentuale di spesa privata (incrementi delle tasse universitarie) vede infatti l’Italia in quarta posizione.

    I Paesi in cui le tasse universitarie presentano valori significativamente più alti dell’Italia sono quelle caratterizzati da un sistema di finanziamento degli Atenei in buona parte privato, si tratta prevalentemente dei Paesi Anglo-Sassoni, oltre a Cile, Corea del Sud e Giappone.

    Nel complesso, considerando la spesa cumulativa per studente lungo la durata media degli studi, emerge come l’Italia si posizioni al 14-esimo posto tra i Paesi OCSE con un valore inferiore del 25% alla media dell’area.

    Un’altra area di miglioramento per l’Italia riguarda la mobilità internazionale degli studenti universitari.

    A livello Mondiale il numero di studenti internazionali ammonta a circa 4.5 milioni, un valore più che duplicato rispetto a quello del 2000 e pari ad oltre tre volte quello del 1995 (circa 1.3 milioni).

    Provenienti per oltre la metà (53%) dall’Asia, sono ospitati per quasi la stessa percentuale (48%) nelle Università dell’Unione Europea.

    Le principali mete di destinazione sono quelle in Paesi di lingua Anglo-Sassone.

    Le cinque destinazioni principali risultano essere: Stati Uniti (17.8%), Regno Unito (13.6%), Australia (6.7%), Germania (6.4%) e Francia (6.2%).

    Le Università Italiane ospitano SOLO l’1.7% degli studenti internazionali, anche se la mobilità degli studenti Italiani risulta in aumento – PER FORTUNA.

    Nel 2011 studiavano all’Estero circa 63.000 universitari Italiani, quasi 23.000 in più rispetto al 2008.

    A partire dal 2008 il flusso di studenti universitari Italiani diretto in altri Paesi ha ripreso a crescere, in particolare nel Regno Unito, che risulta la meta preferita dai Nostri Connazionali [CIAO MACRO!], con 11.371 presenze nel 2011.

    Tra le altre principali mete troviamo: Germania (8.857 presenze), Austria (7.594), Spagna (6.101), Francia (5.851) e Stati Uniti (4.036).

    – – – – –
    Fonti: AlmaLaurea, ISTAT, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, OCSE, Unioncamere
    – – – – –

    La Silicon Valley è un UNIVERSO che NON fa proprio testo; per tutto e per tutti – in specie, se La valuti o La consideri con i [Tuoi (di)] parametri/occhi di Altri Paesi; c’è/trovi di tutto e di più, in breve.

    I MOLTI/TANTI/PIU’ NE PARLANO E NE SCRIVONO – braccia sprecate per spalare nelle stalle, spesso/mediamente! – SENZA AVERLA MAI VISTA, VISITATA – VISSUTO!!! – E SENZA SAPERE UNA MAZZA!!!

    UN’EMERITA MAZZA – anzi, per darCi un tono.

    Gl’Indiani alla Silicon Valley rimangono al massimo tre/cinque anni: amano/fanno “take and takes away the organizational knowledge” in quanto la Loro aspirazione è di ritornare a Bangalore e “farsi”.

    CHIARO.

    Gl’/ingegneri/Indiani Li trovi maggiormente nel Regno Unito e in Germania – lì-là sono stanziali, poi/soprattutto.

    BASTA CON GLI STEREOTIPI – da dottrina.

    !B_A_S_T_A!

    Ciao.

    Surfer [Times… http://www.localwineevents.com/events/detail/555798/new-york-2nd-annual-nyc-autumn-wine-festival-2-sessions-3-6pm-8-11pm …se sei frEE (o in day-off) e riesCi (specie, per gli orari), VACCI. MERITA – anche per l’ambiente. MI-AMI!]

  11. Coloro che coltivano la malapianta della “sovranità nazionale”, cara a Borghi e Bagnai , auspicherebbero naturalmente la svalutazione come opzione competitiva di una moneta nazionale.

    Fra gli esempi virtuosi e da imitare sbandierati dal Professor Borghi al sottoscritto in persona c’era il Giappone.
    http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-11-17/il-giappone-abenomics-cade-recessione-pil-04percento-tokyo-elezioni-anticipate-14-dicembre-072505.shtml?uuid=ABE86hEC

    Direi che, visti i risultati, è il caso di riflettere sulle ricette del Professor Borghi e del Professor Bagnai, e temo che il peggio debba ancora arrivare per il paese del Sol Levante…

  12. Ricapitoliamo? Apro la mia casella postale e ci trovo un invito alla lettura di Piano Inclinato. Ben volentieri clicco sul primo articolo. Trovo un articolista (@liuk) che sostiene, più o meno, che se l’euro va male (sintetizzo) non è colpa dell’euro, ma delle nostre palesi deficienze culturali e organizzative. A prova di questa affermazione presenta un diagramma sulla competitività e la nota formula per il calcolo del Pil, con alcune considerazioni al riguardo.
    Son balzato sulla sedia. QUEL DIAGRAMMA PROVA ESATTAMENTE IL CONTRARIO! Se si guarda la linea della competitività, si vede che questa prima si ferma, e poi si riduce, a partire dal 1997. Mi affretto a scrivere, ma cos’è successo nel 1997, se non il fix del cambio euro/lira a 1936.27, che da quel momento è rimasto bloccato?
    Vedete? Dimostra il legame inscindibile fra competitività e tasso di cambio. Concetto evidente anche andandosi a guardare il diagramma della competitività in relazione al cambio, nei precedenti casi in cui questo è stato bloccato entro una certa banda di oscillazione (i vari serpenti monetari). Solo causalità?
    Ma poi, è solo una questione di cambio? E chi l’ha mai detto? Si convenga, però, che è il parametro più importante. Il ritorno alla flessibilità del cambio, per recuperare competitività, non sarà una condizione sufficiente, ma è senz’altro necessaria.
    Ad ulteriore prova ho citato Nicholas Kaldor (per sapere chi è, senza sforzarsi troppo, basta cliccare su wikipedia). Egli ci dice, in estrema sintesi, che lo sviluppo economico non tende ad uno stato di equilibrio costante, ma che invece tende a cristallizzarsi in un numero limitato di aree in crescita, il cui successo inibisce quello degli altri.
    Considerando che la crescita dei salari “non è efficiente” (ovvero non segue l’aumento della produttività), le zone in crescita tendono ad acquisire un vantaggio competitivo. In Germania ci sono 7 – 8 punti di PIL CHE NON SONO STATI DISTRIBUITI AL MONDO DEL LAVORO. Permettendo alla Germania di acquisire un illecito vantaggio competitivo (illecito perché non concordato con gli altri partners europei, contrariamente, mi sembra, al trattato di Maastricht, che un coordinamento lo prevederebbe, per le azioni economiche importanti).
    La Germania, in altre parole, con una politica deflattiva generata dalla pressione al ribasso sui salari (oltre 9 milioni di mini jobs a 400 euro/mese senza contributi), e con il blocco dei cambi (euro), da un lato ha acquisito un vantaggio competitivo, e dall’altro ha legato le mani agli altri paesi (che non possono reagire, non avendo più l’arma del cambio). Capito quello che intendo dire?
    Ma poi, spinto da un’osservazione dell’autore, che ritiene di come il vantaggio competitivo della Germania sia da ascrivere, in sintesi estrema, ai loro investimenti, l’ho invitato a calcolare, per il 2013, di quanto questi siano aumentati rispetto all’anno recedente (ma anche, in generale, negli ultimi 20 anni).
    SORPRESA! E’ VERO IL CONTRARIO. Da quasi un ventennio la Germania ha bloccato gli investimenti. Dello stessissimo parere è il DIW (il più autorevole centro di studi in Germania, chi vuole clicchi su wikipedia), ma anche lo Spiegel On Line, che ne parla nell’articolo “Ailing Infrastructure”, in cui cita lo stesso studio, e si lamenta di come in Germania gli investimenti siano stati ridotti “fino alla morte”.
    A supporto, ho postato un breve articolo di Krugman, quell’oscuro ed incompetente economista di provincia. In altre parole, la competitività della Germania si basa sulla deflazione dei salari e su una moneta debole, in relazione alla forza della loro economia, E NON SUGLI INVESTIMENTI.
    Aggiungerei, inoltre, che i vari Bagnai non propongono loro personali interpretazioni, ma solo teorie già ampiamente conosciute, nel solco del più ortodosso keynesianesimo, commentandole con notevole arguzia e capacità. Gli altri economisti che ho citato sono persone competenti e rispettabilissime, conosciute in tutto il mondo, non solo a livello accademico.
    Facciamo così, qualcuno mi indica gli economisti che sostengono tesi contrarie, per poi valutare insieme la loro capacità ed indipendenza?
    L’autore parla anche di “scuola” come fattore competitivo. Però, mi spiega perché, prima dell’introduzione dell’euro, nonostante le nostre pessime attitudini (tutti, persone ed imprese), l’Italia cresceva (diventando, per capacità industriale, il 4° paese al mondo ed il 2° in Europa), mentre ora non cresce più? PERCHE’ ORA I NOSTRI LIMITI CULTURALI ED ORGANIZZATIVI SONO COSI’ ESIZIALI PER LA CRESCITA, MENTRE PRIMA DEL 1997 NON LO ERANO AFFATTO?
    Ma se, nonostante tutto, in questo blog c’è qualcuno che continua a ritenersi inferiore, faccia pure! Mi ha convinto.
    ———————————————————
    RISPONDO A SURFER: guardi figliolo, che io non ho parlato di diffusione della laurea nella popolazione italiana (parecchio scarsa), né delle problematiche della scuola italiana (notevoli), ma solo di “valore” della laurea italiana. So benissimo che le Università italiane non sono ben valutate dagli estensori delle classifiche di settore, né che sono molto frequentate da studenti stranieri (con un mondo a cultura anglosassone, lei si meraviglia? Suvvia).
    Ho soltanto voluto dire che il valore delle lauree che vengono conferite in Italia è notevole, visto che i nostri laureati sono molto apprezzati all’estero, tant’è vero (come prova) che al CERN di Ginevra costituiscono la netta maggioranza. Ho fatto anche l’esempio della Normale di Pisa, che a livello scientifico è per me la n. 1 al mondo, al di là delle classifiche un po’ addomesticate di origine anglosassone.
    Senza scienziati d’importazione i paesi anglosassoni, ma non solo loro, non saprebbero cosa fare. Perché il “valore” delle loro lauree (a mio parere) è piuttosto basso, anche se i loro atenei sono i primi in classifica.
    Citerei al riguardo un articolo di Gary North (che, da bravo “austriaco”, dovrebbe restarle simpatico), durissimo con il sistema scolastico statunitense, che se la prende, fra le altre cose, con il sistema di esame che è stato implementato negli ultimi 20 o 30 anni (risposta fra tre possibili soluzioni).
    Potrei citarle anche numerosi casi personali, nell’ambito dei quali mi son trovato davanti ad una disperante ignoranza, nonostante il notevole curriculum di studi (anglossassone, of course).
    Ma potrei citarle come esempio anche due miei quasi-nipoti, laureatisi presso delle pessime Università milanesi, dirigenti di multinazionali dell’agroalimentare e dell’aerospaziale, con sede non lontana dalla Silicon Valley (così rispondo anche al dubbio che lei ha espresso se per caso, e a differenza sua, conoscessi la zona. S’immagini, stavo anche comprandoci casa).
    Se lei comunque si sente inferiore, faccia pure. Come ho già detto sopra, mi ha convinto. Resto in fiduciosa attesa che sia lei ad indicarmi gli Economisti indipendenti di cui si fida. Non mi faccia i nomi di Mario Monti o di Giavazzi & Alesina, però, la prego. A sentir parlare di “restrizioni espansive” il conato di riso sarebbe esiziale, per uno della mia età.
    ———————————————-
    Non interverrò più, né su questo tema né in assoluto sul blog. Mi scuso per il tono, dovesse essere stato arrogante, ma le mie sono solo delle obiezioni tecniche, supportate da due premi Nobel.
    BASTA, Signor Surfer, la pregherei di dirlo a se stesso o a sua sorella, se crede. Non credo che il gestore del blog rigetti aprioristicamente i pareri contrari alla linea ufficiale.
    Grazie ed un saluto a tutti.

    1. @Ocnarf

      A sentir parlare di “restrizioni espansive” il conato di riso sarebbe esiziale, per uno della mia età.

      Fantastico, gli italiani sono dei geni in fuffa parolaia; dopo le “convergenze parallele” si inventano pure le “restrizioni espansive”.

      Il conato di riso mi é venuto ma fortunatamente non é stato esiziale. Son un vero duro io! 🙂

  13. Ocnarf,

    grazie del “figliuolo”, innanzi-tutto. GentilissiMo.

    “Parlo” e scrivo per Me – medesimo: che sia ben chiaro. Da SEMPRE – qui (quando ho del tempo).

    Non sono il “fante” o il “paggio” di NESSUNO.

    MAI STATO DI NESSUNO – NELLA VITA; figurarSi qua.

    Io sono una Persona MOLTO franca e DIRETTISSIMA – con Tutti e da sempre (in specie, nella quotidianità); NON MI CONOSCI – ED E’ MEGLIO!

    Amo il confronto – anche “vivace”, ma tutto finisce là – non porto i cd. “rancori-maroni”, della serie [nella Vita, i problemi veri sono altri – ed ho altro a cui pensare: IN SPECIE, se Mi scrivi di Bagnai, Borghi ed affini/similari – hanno “scena” solo nelle terre delle mele e de-sòla-te che NESSUNO – che sa “CONTA-RE” – C_O_N_O_S_C_E! PER FORTUNA!!!].

    Dopo cinque minuti primi: Amici come prima – altrimenti AMEN.

    Andiamo ora, in analisi.

    Altro giro, altra infornata di nomi: Giavazzi ed Alesina – con Monti.

    “ECONOMISTI” INDIPENDENTI – a quel-QUESTO livello, e non solo – NON VE NE SONO.

    Alla Tua giovane età, ancora non l’hai capito.

    Lo ri-scrivo: in che “mondo” vivi?!?!?! OPS, FAVOLA?!?

    SVEGLIATI – E DI BRUTTO!

    Ognuno ha da curare il proprio orticello. SEMPRE – in quei casi, alcuni – di Loro – si venderebbero anche l'”argenteria” (per non scrivere l’anima – alcuni se La sono già venduta, conoscendoLi, tra l’altro!).

    CHIARO.

    Laureati e il resto.

    -1- che Ci siano punte di conoscenza/e eccellenti, professionali – in particolare, in determinati settori (od Università italiane) -, non Ci piove (scusa l’eufemismo temporale) -; essendo anche di sangue Italico, e conoscendo come gira – il mappa-mondo -, so chi “vale” da chi è una schiappa – non solo nei Lidi natii;

    -2- l’ignoranza è la costante – mediamente – dei Nostri tempi – tecno-logici: CHE TU SIA GIALLO, BIANCO O NERO. L’arcobaleno, Li contempla TUTTI – così, senza fare torti a NESSUNO;

    -3- la “media” – Mi tengo buono e basso – degl’Italici – connazionali – sono delle “emerite” PIPPE-CAPRE; Tu guardi e/o pensi al CERN! Pensa Te – come sei messo! Nobel. Ops, NORMALE;

    -4- Io non Mi sento né inferiore, né superiore a NESSUNO!

    A NESSUNO.

    Sono tranquillo e discreto – sempre.

    MA NON SONO FESSO!

    So i/l “fatti/o” Miei/o, essendo di “carne ed ossa” – con i “calli” ed essendo partito dal basso e senza aiuti da parte di NESSUNO [e senza MAI aver leccato deretani o peni!] – e col Cervello: in specie, se trovo PSEUDO-“dottorini” – che non sanno “nuotare” quasi mai, alla prova dei fatti;

    -5- la “C”ultura è “universale”: ce l’hai – se sei fortunato, in primis, a nascere in determinati luoghi fisici-naturali e/o Famiglie – o non ce l’hai.

    Il resto, scusaMi è fuffa (dottrinale) – di chi vive pasciuto e beato, allo specchio dei giri di giostra. Della serie: “aspetta e spera, che poi si avvera …”. Nella prossima vita, forse;

    -6- i parametri di valutazione – delle cd. “classifiche” (quale esse siano), con annessi reports o meno – sono asettici e freddi. Non vanno a simpatia o a “calore-colore” di bandierina. Altro che Anglo-Sassoni;

    -7- senza “scienziati” – VERI e con le palle al “posto giusto” (non con i deretani o le chiappe al vento – “di stagione”!) – NESSUN PAESE saprebbe cosa fare.

    L’esempio, è proprio la Penisola Italica: uno stivale calzato ad uso e consumo, da TUTTI e SOLO quando fa comodo (senza ricordarsi quando si rompe il tacco);

    -8- il “diploma di laurea” – come ogni “attività” di/nella Vita – è un’investimento su “Noi” (stessi): chi Lo capisce è bravo e “furbo” (dicitur: fatti furbo, IN-FATTI!) – sempre. Anglo-Sassoni o Italici (Latini) che si sia;

    -9- il cd. “esame universitario” è solo un mezzo; un passaggio – come il relativo voto. Lasci/a “traccia” se hai P_A_S_S_I_O_N_E – e non pensi alla “meccanica”, ai soldi e/o ai paragoni.

    Come ai “curricula” – NON LI GUARDA PROPRIO PIU’ NESSUNO, FIDATI;

    -10- i casi Personali non M’interessano: mai appassiona-N-ti! In specie, se non conosco “umanamente” chi ho di fronte.

    Ognuno è artefice del Suo destino – nel bene e spesso nel male; ha una propria Storia – di Vita, soprattutto, che bisogna SEMPRE RISPETTARE; CHE LASCIA IL TEMPO CHE TROVA, qui; poi. Pensi troppo a Te e al Tuo “mondo” di giocolieri-giostrai;

    -11- non amo le restrizioni – sono “infantili”, oltre che “limitative” delle/nelle conoscenze – e sei libero di continuare a scrivere o meno – qui-qua; come Te – RICORDA E NON LO DIMENTICARE MAI – sono un semplice ”ospite”.

    OSPITE.

    Amico (REALE – e ne sono fiero) sì – di Andrea Boda, Alberto Forchielli, DT, Times, Yuma (CIAO, FRANCHETTO). STOP!

    CHIARO-CAPITO.

    Buon lunedì ed inizio di settimana.

    Keep in touch.

    Surfer [Amico anche di LI_UK, altrimenti poi si aRRaBBia!]

  14. Vorrei solo aggiungere che ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero nel rispetto degli altri. Nessuno escluso.
    Suggerisco una ulteriore rilettura dell’articolo con una premessa: questa mia lettura della situazione non è una sentenza, ma una proposta di ragionamento, uno stimolo a vedere le cose in modo diverso.
    Vi ho portato in uno schema di sintesi in cui chi risparmia di più non lo fa a scapito degli altri. È uno schema in cui si compete per la torta, ma la spinta principale è creare una torta più grande. E con qs spero di aver messo acqua sul fuoco. Buonanotte a tutti.

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