
La storia che sto per raccontare ebbe inizio (e fine) in un bistrot che chiamerò Monna Lisa per via di quella barista misteriosa e somigliante al dipinto di Leonardo da Vinci.
Fu molto tempo fa, non ricordo né il mese né l’anno, ma lui -lui sì- me lo ricordo bene. Era alto, molto distinto, affascinante. Fumava nervosamente una sigaretta. Forse aspettava qualcuno, forse no.
Passó mezz’ora che un uomo ed una donna lo raggiunsero e tutti s’accomodarono. Per un solo istante i nostri occhi s’incrociarono e non so come fu, lo riconobbi: Jurij Gagarin, il cosmonauta.
Incredibile, non ci posso credere, ripetevo tra me e me. A scuola eravamo tutte innamorate di lui, disegnavamo cuoricini trafitti, incrociavamo iniziali sognando baci ardenti di luna piena
“Fly me to the moon, let me play among the stars”
Ma chi era quella donna? Stupidamente mi ritrovai gelosa di una sconosciuta. E perché poi: non era una vamp anzi tutt’altro! metteva soggezione quell’aria algida e severa.
Al tavolo parlavano russo fitto fitto (dasvidania, pravda, tovarish, niet! da!)

troppo veloce per intuire cosa stessero dicendo

Prima di andar via, mi feci coraggio e li avvicinai:
“Posso avere un autografo, Monsieur Gagarin?”
chiesi in francese, la lingua degli Zar. Lui si voltò, e sorrise, mi diede una foto già firmata, sfilandola piano piano dalla tasca della sua giacca verde (sapeva di essere divo e sexy) guardandomi fisso mentre avvampavo di vergogna. Uscii, quasi barcollante, ubriaca di quella visione.
Non lo rividi mai più. Lei sì, pochi anni dopo, in tv: si chiamava Valentina Tereškova, la prima donna nello spazio
Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini (Jurij Gagarin)

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