Cuore di Cane: la satira e la rivoluzione con Michail Bulgakov

bulgakov - cuore di cane

Alessandro Barbero, in una delle sue famose lezioni, ha definito una

“generazione tragica, che ha attraversato tutti i disastri del Novecento”

quella cui appartiene l’autore di oggi:

Michail Afanasevic Bulgakov (Kiev 1891-Mosca 1940)

Già abbiamo avuto modo di conoscerla, questa generazione, parlando di Vladimir Nabokov, nato nel 1895 nel centro di quello che era l’Impero zarista, San Pietroburgo, e protagonista di varie peregrinazioni che lo portarono prima in Europa e poi in America, in fuga dai nazisti, a trovare la sua vocazione letteraria.

Bulgakov è russo, e Barbero ci tiene a destituire di ogni fondamento alcune istanze degli (attuali) autonomisti ucraini che ne rivendicano le radici: la sua famiglia è russa e lui farà la prima Guerra Mondiale come infermiere, laureandosi in medicina nel 1916 quando era al fronte.

Nel 1918 apre un gabinetto medico ma scoppia la guerra civile, Bulgakov deve servire come medico, sia pure controvoglia; nel 1921, a trent’anni, il nostro decide di cambiare vita e si trasferisce a Mosca: vuole fare lo scrittore. Ha inizio così la sua tribolata vicenda letteraria, che naturalmente è legata a doppio filo, sia nella sua vita che nella trasposizione letteraria che ci lasciato, con le vicende sociali e politiche di quella nascente Società post-rivoluzionaria.

La biografia di Bulgakov ci è utile a comprendere la sua poetica: a metà degli anni Venti trova parecchio successo ed affermazione con le sue commedie a sfondo sociale, che vengono messe in scena a teatro e gli danno diverse soddisfazioni; ma poi viene preso di mira (e vedremo anche perché), tanto che nel 1930 (1928?) fa qualcosa di “equivalente al suicidio” (è sempre Barbero che parla): brucia tutte le sue opere, inclusa quella sua più famosa, uno dei libri più osannati dell’intero Novecento, le bozze de Il Maestro e Margherita.

E’ in questi tempi che avviene la svolta per Michail Afanasevic: nel 1930 Vladimir Majakowskj si suicida (e vent’anni prima di Pavese lascia scritto: “niente pettegolezzi”) proprio pochi giorni dopo una lettera vibrante che Bulgakov aveva scritto a Stalin in persona, lamentandosi delle stroncature ricevute dalla critica (298 su 301, precisa): chiede di lasciare il paese o di avere un lavoro. Stalin lo chiama, non vuole altre tragedie:

“E’ vero che vuole lasciare il Paese? Le facciamo così schifo?”

gli dice, e poche ore dopo Bulgakov diventa aiuto regista al Teatro Accademico dell’Arte di Mosca.

Questo inquadramento ci sembrava necessario per parlare del libro di oggi

Cuore di Cane

(scritto fra il 1924 e il 25 e rimasto inedito fino al 1967; noi abbiamo letto l’edizione Oscar Mondadori del 1993)

un racconto più volte messo in scena a teatro, e portato anche sugli schermi in una pellicola di Alberto Lattuada nel 1976.

Cuore di Cane è una deliziosa commedia, grottesca e tagliente, che fotografa perfettamente la società di Mosca negli anni subito dopo la Rivoluzione; c’è questo medico, Filipp Filippovic Preobrazenskij, con il suo gabinetto all’interno di un grande appartamento nei pressi della Precistenka, nel vicolo Obuchov: qui riceve facoltosi membri della gerarchia e anziane signore e li aiuta a ringiovanire e, diciamo, a ritrovare la loro aitanza sessuale: ciò gli dà grande notorietà e un’aura di intoccabilità che, tuttavia, gli attira forti inimicizie: il capo del caseggiato, Svonder, gli vuole requisire un pezzo di appartamento, sono troppe sette stanze.

Il racconto è fatto dapprima dal cane, Pallino (Sarikov nella versione originale), un randagio che vaga per la città e ce la racconta con saggezza e un disincantato realismo: è stato scottato da una secchiata di acqua bollente da parte del cuoco della “mensa per l’alimentazione normale degli impiegati del Soviet Centrale dell’Economia Nazionale”; poi, tramite un salame profumatissimo, il Dottor Preobrazenskij lo attira nel suo appartamento, fra lo stupore della servitù: capiamo subito che ha in mente qualcosa, spalleggiato dal fido assistente Bormental’.

Nel frattempo conosciamo la vita di questo palazzo, Filipp Filippovic non nasconde di odiare i bolscevichi; si compiace dei riti del pranzo e della servitù, descrive la vodka, i cibi ed i sigari pregiati, e tutto questo ci dà la dimensione di ciò che la rivoluzione bolscevica vorrebbe eliminare.

Immaginerete già cosa succede: ripercorrendo, ma al contrario, il cammino da uomo ad animale di Kafka un decennio prima* il duo di medici trapianta nel cane i testicoli e l’ipofisi di un cadavere umano. Pallino lotta fra la vita e la morte (Bulgakov utilizza lo strumento narrativo di un dettagliato ed incalzante bollettino medico di Bormental’, mostrando eccezionale abilità nel variare i registri narrativi) e progressivamente assume le sembianze umane diventando Pallinov (uno stralunato e istrionico Cochi Ponzoni, nel film di Lattuada, rende perfettamente il personaggio).

Con grande maestria, Bulgakov crea una forte attesa su questo personaggio e già il primo colloquio fra Pallinov ed il suo “creatore” denota quello che sarà il senso del rapporto fra i due: conflitto totale. Pallinov incarna l’esperimento sociale messo in atto dalla rivoluzione e Preobrazenskij ne è il severo censore; Pallinov è il rivoluzionario, certo un po’ improbabile, che si rivolge così a suo “padre”:

“Noi non siamo stati all’università, non abbiamo abitato in appartamenti da quindici stanze con i bagni! Solo che ora sarebbe il momento di finirla. Oggi ciascuno ha i suoi diritti”.

E d’altra parte, non possiamo certo evitare di vedere in Preobrazenskij un alter ego di Bulgakov, che per questa via critica la rivoluzione, il nuovo assetto sociale, lui esponente della borghesia “bianca” vittima dell’ascesa dei bolscevichi “rossi”. Sentite infatti come si pone il medico di fronte a quattro esponenti del Domkom, l’assemblea del caseggiato, venuti da lui per privarlo di alcune camere, nonostante  avesse ottenuto un salvacondotto:

“..l’assemblea generale, dopo aver dibattuto la questione, è giunta alla conclusione che in fin dei conti voi occupate un’area eccessiva. Davvero eccessiva. Voi da solo vivete in sette stanze”.

E Filipp Filippovic, ineffabile:

“Io da solo vivo e lavoro in sette stanze e desidererei possederne un’ottava. Mi occorre una biblioteca”.

Ne nasce ovviamente un alterco, che il dottore risolve chiamando uno dei suoi pazienti in alto nella scala gerarchica; i quattro emissari del Domkom mettono la coda fra le gambe ed emblematica è la fine di questo spassoso e significativo confronto:

<<Voi odiate il proletariato>>

<<Sì, io non amo il proletariato>> ammise tristemente Filipp Filippovic e pigiò il campanello <<Zina, servi il pranzo!>>

Pallinov, naturalmente, si alleerà con questi “rivoluzionari”, che gli troveranno lavoro nella “Sottosezione per la eliminazione degli animali randagi”, ma creerà una serie di disastri e di tensioni all’interno della casa, che obbligheranno i due medici a percorrere una soluzione che lasciamo al lettore scoprire e che beffardamente rappresenterà una via d’uscita per tutti, facendo terminare questo bizzarro esperimento.

Il grande affresco della società russa, che gli enormi lasciti dei maestri della sua letteratura ci hanno così bene descritto, vede in questi anni post-rivoluzione un particolare laboratorio umano e Cuore di Cane ne è certamente una rappresentazione schietta e senza sconti; e infatti, questo racconto non passa la censura del partito: “Si tratta di un mordace pamphlet sui nostri tempi e non va assolutamente pubblicato” è la conclusione cui giunge il membro del Politburo incaricato di leggerlo.

Bulgakov si è definito spesso un autore satirico e in questo delizioso racconto non mancano certo i tempi comici: nel 1920 egli ci  lasciò, in un suo diario, queste parole:

“Viviamo in un paese affamato e freddo…tuttavia sento ridere spesso. Vedo per strada visi sorridenti, sento ridere gli operai e i soldati dell’Armata Rossa: la satira ci è indispensabile”.

Non è attualissima questa dichiarazione di un secolo fa?

*Anche Ian Mc Ewan, più recentemente, ha sperimentato la narrazione di un passaggio da animale a uomo: ne Lo Scarafaggio (Einaudi, 2020) ipotizza la trasformazione dell’insetto in uomo, nientemeno che il Primo Ministro, in un breve quanto violento e dissacrante racconto della politica britannica di questi anni.

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Pubblicato da Leonardo Dorini

Manager, consulente, blogger. Mi occupo di finanza ed impresa, amo lo sport. Ma sono qui per l'altra mia grande passione: la letteratura.

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