Dare i numeri e sembrare seri

dare i numeri

Ringraziamo il governatore di Bankitalia, Visco, e il presidente ABI, Patuelli, che si danno tanto da fare per dare a me del lavoro e a voi delle letture. Il primo ancor pi del secondo. La lettura, soprattutto quella a braccio, delle Considerazioni Finali è un bel concentrato di incoerenze e autoassoluzioni su cui i giornali hanno detto poco e i social si sono giustamente scatenati.

Non voglio tornare qui sull’argomento delle responsabilità per la mancata, insufficiente, inefficace o ritardataria vigilanza sulle banche, mi limito a notare che è sempre colpa altrui secondo loro.

Prendiamo atto.

Fra le tante cose che il governatore disse ve ne è una che deve aver colpito particolarmente il dottor Patuelli che la riprende in un articolo che in verità parlerebbe prevalentemente di altro.
Si tratta dei numeri sui non performing loans, nominalmente le sofferenze, per dimostrare che non sono così brutti anzi, paiono quasi belli.

Il numero vero totale dei crediti netti deteriorati che gravavano a fine 2016 sulle banche italiane è di 173 miliardi, di cui 81 miliardi erano sofferenze a fronte dele quali, rileva il Governatore, le banche operanti in Italia detengono oltre 90 miliardi di garanzie reali e garanzie personali per 40 miliardi.

Proviamo a ripetere il concetto: dare i numeri così serve solo a fare confusione e non vi è in questi numeri alcuna ragione per fondarvi l’implicita deduzione che le banche siano tutte in una botte di ferro.

dare i numeri 2 Intanto va rilevato che la distribuzione di queste garanzie fa la differenza nella valutazione complessiva del portafoglio: ci sono affidamenti con garanzie in eccesso e affidamenti con garanzie insufficienti o addirittura “in bianco”, senza.
Può dipendere da tanti fattori.

Vediamo un primo esempio: il rimborso del mutuo ipotecario è proseguito regolarmente per anni prima di incagliarsi ad un loan to value parecchio più basso rispetto all’inizio dell’ammortamento. In tal caso quando la casa verrà venduta all’asta, il residuo pagato il mutuo spetta agli ex proprietari, mica finisce a rimborsare altre sofferenze.

Altro fattore dirimente è la qualità della garanzia: ci sono immobili agibili e ipoteche su beni in costruzione mai ultimati, così come è fondamentale l’aggiornamento del valore peritale del bene, che spesso risulta deprezzato rispetto alla stipula notarile a causa della crisi del settore immobiliare.

Viene da sé che un mutuo cantiere con erogazioni a stato avanzamento lavori non si può definire “integralmente garantito” se il default del mutuatario ha bloccato i lavori lasciando a metà l’opera. Eppure il suo valore di costruzione stimato dal perito della banca finisce nel calderone citato dai nostri due.
E non serve neppure stare qui a rimarcare che il grosso delle sofferenze viene proprio dal settore immobiliare e edilizio.

Ai problemi sopra citati aggiungiamo anche la ricettività del mercato immobiliare, che non ci sembra brillante per assorbire queste plurimiliardarie vendite all’incanto, problema che si collega direttamente a quello del corretto market value da attribuire in sede di perizia.

Patuelli prosegue, non intimorito, o non sfiorato da questi dubbi sui quali invece lavora quotidianamente chi di deteriorato si occupa veramente.

Gli altri 92 miliardi di esposizioni deteriorate (parla di incagli e past due, NdA) sono già state ampiamente svalutate dalle banche, mentre è atteso un parziale puntuale ritorno alla puntualità dei pagamenti.
Pertanto sono molto più limitati i rischi effettivi che gravano sul mondo bancario operante in Italia, mentre è da mesi molto rallentato il flusso di nuovi crediti deteriorati.

Per nostra fortuna in un recente articolo Fabio Bolognini del blog Linkerbiz ha affrontato proprio questo problema e non saprei trovare parole migliori delle sue.

Il condensato della sua analisi è il seguente: l’incremento degli unlikely to pay (UTP, nuova denominazione dei vecchi incagli) dal 2008 al 2016 è stato del 22% annuo, con tassi di ritorno in bonis molto modesti (5-6%), mentre è equamente ripartito il flusso che si trasforma da UTP a sofferenza (tra l’altro dopo troppi anni in cui nulla si è fatto, peggiorando sostanzialmente la situazione e le probabilità di recupero), e quello che si trasforma da UTP a forborne (nuova categoria dove inserire le ristrutturazioni del debito per tentare un ritorno in bonis).

Le percentuali di riuscita sono molto diverse da banca a banca, come mostra Bolognini in una figura, e ne trae la lezione naturale: il recupero di questi crediti malati dipende fortemente dalle strutture, dal know how, dal personale e dalla efficacia degli interventi che ciascuna banca pone in essere.
Per questo sollecitiamo le banche a investire in questo settore e in questa formazione.
D’altronde, se Visco e Patuelli avessero ragione, e i “numeri del rischi effettivi” fossero modesti o nulli, perchè il settore bancario dovrebbe essere così sciaguratamente instabile sulle sue gambe?
Colpa dei ‘fallimenti del mercato’, dei ‘fondi avvoltoio’ e della cecità degli investitori che mancano di fiducia nei nostri confronti?

O più semplicemente tutte e tre queste categorie sono consce della sostanziale inefficienza delle banche a gestire questo problema?

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Banchiere Cannibale

Mi piace avere vecchi amici a cena... Perché sotto la più bella ruota di pavone si cela sempre un culo di pollo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.