Date al premier del deficit aggiuntivo e vi solleverà il mondo

Siamo perseguitati dal ritornello del premier Renzi, ripetuto ogni piè sospinto, che servirebbe più deficit per ottenere la giusta crescita, e che l’Europa dovrebbe concederci di sfondare i parametri di Maastricht, come d’altronde fanno Spagna e Francia, la cui crescita è la dimostrazione della fondatezza delle sue parole.
Questo discorso è fallace. Non perché il deficit spending non abbia mai effetti espansivi sul PIL, ma perché il problema è la qualità del deficit.
Basta una tabella (elaborazione del Centro Studi di Banca IMI su dati della Legge di Bilancio 2017) per mostrare i fatti oltre le parole renziane.

tabella-interventi

Gli interventi previsti ammontano a 26 miliardi, distinti fra minori entrate per 15,6 mld e maggiori spese per 10,4 mld, e le coperture ammontano a 14,3 mld. La manovra netta è perciò espansiva per poco meno di 12 mld che infatti è esattamente l’extra deficit che registreremo nel 2017, passando da un rapporto tendenziale del 1,6% del PIL al programmato 2,3%.
Si nota tuttavia che la parte del leone fra gli interventi la fa il disinnesco della bomba relativa alle clausole di salvaguardia, circa 15 miliardi, oltre la metà dell’intervento complessivo. È un intervento “teorico”, nè vera spesa nè vero taglio di imposte. Al netto di questo intervento, la manovra effettiva risulta invece restrittiva per poco più di 3 miliardi (lo 0,2% del PIL). Quello che è fondamentale capire è che tale disinnesco vale solo per il 2017, mentre rimangono interamente in vigore per il 2018.
Come è noto, tali clausole sono interventi automatici che entrano in vigore qualora le coperture varate dalle precedenti Leggi di Bilancio non si siano manifestate nella misura programmata, vuoi perché erano scritte sull’acqua, vuoi perché erano una tantum. Ma le clausole di salvaguardia possono anche scattare qualora la crescita, stimata sulla spesa pubblica adottata l’anno prima, non si sia avverata al livello desiderato.
Quando Renzi piagnucola che vorrebbe più deficit non lo fa perché maggior deficit può creare maggior crescita, ma perché i margini nel 2018 per calciare la lattina ancora più in là si stanno assottigliando e l’anno prossimo sarà difficile (per usare un eufemismo) ripetere lo scherzetto fatto nei due anni precedenti. O l’Italia cresce oppure solo uno sforamento dei parametri di Maastricht ci consentirà di evitare l’automatismo nel 2018.
E questo bubbone comincerà ad apparire con la Nota di Aggiornamento attesa ad aprile 2017. Lo spazio disponibile rimasto è piccolo, le nuove coperture previste in Legge di Bilancio 2017 sono altre una tantum sulla cui realizzabilità i dubbi sono tanti. Soprattutto non c’è più tempo sufficiente a crescere in misura adeguata ad assorbire le clausole 2018 senza fare ulteriore deficit.
Il giochetto che l’Esecutivo fa è di richiedere deficit per coprire mancata crescita e mancato realizzo delle coperture previste. Questo non è deficit che produce crescita.
Se siamo d’accordo che esiste un limite (seppur non facilmente individuabile) al debito pubblico e una soglia oltre la quale la dinamica del rapporto debito/PIL può apparire insostenibile, e se siamo d’accordo che il punto cruciale del discorso è quello di proporre una spesa efficace che generi una crescita di durata almeno simile a quella del debito generato per coprirla, allora diventa chiaro perché sia opportuno seguire delle regole di bilancio pubblico e definire delle soglie di deficit, e fare spesa efficiente[sociallocker].[/sociallocker]

LE NUOVE MISURE E LA CRESCITA

Il pacchetto “Industria 4.0” mi pare modesto nelle risorse quanto azzeccato nell’idea: la tabella allegata al Documento Programmatico parla di 500 milioni nel 2017 e poco di 2 miliardi nel successivo biennio, ma il Governo stima che riescano a mobilitare 45 miliardi di risorse quasi equamente ripartite fra super e iper ammortamento e il maggior credito tramite il Fondo di Garanzia per le PMI. Sono effetti leva molto forti, forse sovrastimati dal Governo.
Per mobilitare un tale livello di investimenti serve una disponibilità a concedere credito che oggi esiste ma solo per i rating più apprezzati, ben pochi rispetto al totale del campione delle imprese italiane, per colpa di antichi vizi tipici della imprenditoria italiana: la scarsa patrimonializzazione, il forte ricorso al debito specie finanziario, la sclerotizzazione di processi e strategie.
Il Fondo per le PMI è poi un caso da manuale di ipocrisia bancaria: nato per erogare nuovo credito per investimenti e innovazione, è stato invece a man bassa utilizzato per sostituire crediti con RWA alti con identici crediti con un RWA inferiore grazie alla garanzia statale del Fondo, ottenendo per la banca un minore assorbimento di capitale ai fini di Vigilanza.
Già migliore è l’impressione dei restanti interventi: i tagli fiscali alle imprese e il piano di investimenti pubblici vanno nella giusta direzione e non facciamo troppa polemica sul tanto o sul poco che è stato destinato a ciascuna voce. In un momento di investimenti privati al palo è proprio keynesianamente corretto supportare la domanda interna con investimenti pubblici.
Forti gli interventi per il processo di pre-pensionamento: questo è il modo in cui il Governo sta affrontando il serio problema di squilibrio sul mercato del lavoro, benché mi sarebbe piaciuto di più vedere questi soldi spesi nella riqualificazione e formazione del personale e nelle politiche attive del lavoro, ma non si può avere tutto.
Bene gli 800 milioni a sostegno di studenti e scuola, e vedremo se questo piano della “Buona Scuola” funzionerà.

In generale parecchi interventi a pioggia, parecchia spesa pubblica non per investimenti bensì per sostenere consumi (sostegno alla povertà, prepensionamenti, rinnovo dei contratti nel pubblico impiego), roba che ha un moltiplicatore inferiore alla spesa per investimenti, ma avrà ritorni elettorali sicuramente maggiori.
Noto l’assenza di un intervento di rinnovo delle risorse per il Jobs Act e la decontribuzione delle assunzioni, l’unica legge che aveva portato dei benefici, pur al lordo di molte e spessissimo giuste critiche, perciò penso che ci dovremo aspettare quanto da molti pronosticato: un aumento fra due anni della disoccupazione e un ritorno a forme di contratti precari, fra cui spicca il voucher.
Buona la riduzione programmata della pressione fiscale, che però – si sa – per essere efficace e stimolare consumi e investimenti deve apparire permanente: se invece, come temiamo, venisse percepita già oggi come temporanea, non farebbe da volano alla domanda interna.
In breve, che dio ce la mandi buona…

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Beneath Surface

Alla soglia degli anta decide di tornare alla sua passione giovanile: la macroeconomia. Quadro direttivo bancario, fu nottambulo ballerino di tango salòn, salsa cubana e rueda. Oggi condivide felicemente la vita reale con le sue due stupende donne.

3 Risposte a “Date al premier del deficit aggiuntivo e vi solleverà il mondo”

  1. Buonasera, prendo questo approfondimento come una prima risposta al mio appello dei giorno scorsi: a vostro avviso, le politiche economiche del governo sono adeguate in un contesto di probabile rialzo dei tassi e con le problematiche di debito e crescita del nostro paese?
    Il ” che Dio ce la mandi buona” finale mi pare risposta sintetica ma esaustiva.
    Proseguo nel ragionamento: da un lato siamo chiamati ad esprimerci su una questione che divide l’Italia, ma ammetiamo per un attimo che il “Sì” ci fornisca una restyling costituzionale che ci dia la migliore delle riforme possibili.
    Ammesso e non concesso ciò, tra una riforma a 24 carati della costituzione di quelle che ci sogniamo la notte “da almeno trent’anni”, e l’avere come effetto collaterale di questo bel pacco dono il mantenere in sella un governo dalle politiche economiche alla “che Dio ce la mandi buona”, con il massimo del pragmatismo possibile nel segreto della vostra cameretta quale opzione vi sentite di attivare con maggior serenità?
    L’Alieno gentile se la memoria non m’inganna mesi fa pubblicò un test su quale potesse divenire l’elemento scatenante di una nuova ondata di instabilità globale nel 2017; forse il 04 /12 abbiamo a disposizione il bottone per disinnescarne uno.

    1. Marco, mi conceda della leggera ironia: la sua domanda sembra retorica e leggerla mi ha ricordato le recenti polemiche sulla sospetta faziosità del testo referendario.
      Non credo sarebbe corretto che il sito dia policy riguardo ad un voto che investe materie non prettamente economiche e finanziarie. Magari si potrebbe dare spunti di riflessione, ma io in particolare non me la sento perchè su materie costituzionali non mi arrogo di avere conoscenze tali da permettermi di “sollecitare la pubblica opinione”

  2. Salve, ma infatti io sono apertamente fazioso e dichiaratamente di parte (proprio come il quesito del referendum ndr), altrettanto palesemente cerco di “strattonarvi” per la giacchetta per trasformare un quesito costituzionale in un quesito sulle politiche economiche e di riflesso sul governo.
    Come peraltro la vostra opera di divulgazione economica anche la mia è “di sicuro fallimento”; dal palchetto di questo spazio di commento ho cercato di dimostrare come il “no” al referendum sia un po’ come la pallina di Arkanoid, che se ben indirizzata colpisce in un punto per demolirne molti altri, ma niente, me ne torno alla quiete della riva del mio fiume ad assistere alla vittoria del Sì, del deficit aggiuntivo, del connubio incestuoso tra economia e politica, che ci porterà a risparmiare 50 €/mln per la riforma del Senato ma ad incrementare la spesa pubblica di 40 mld in 3 anni, per la gioia di cerchi magici, conf-art/ind/eser varie e di amici degli amici.
    Già ho mal di testa per quanto sarà pesante la digestione di questa nuova abbuffata…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.