Decostruire e ricostruire le regole dell’Unione – seconda parte

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Riassunto il fatto, occorre ora valutarne le implicazioni. Va preliminarmente detto che appare inutile esaminare la fondatezza giuridica delle argomentazioni della Corte tedesca, dal momento che la stessa ha ritenuto non già di delegare il caso alla Corte di giustizia europea (come avrebbero voluto i due giudici dissenzienti) ma di scrutinare la vicenda sulla base dell’asserito contrasto del programma OMT con i principi fondamentali della Costituzione tedesca (da valutare sulla base di quanto deciderà la Corte di giustizia).
Si è già detto, in proposito, che anche la Corte costituzionale italiana ha sempre sancito la cedevolezza di norme, sentenze e trattati in caso di loro contrasto con i “principi supremi/ fondamentali dell’ordinamento” costituzionale italiano (si vedano, sul punto, tra le altre, Corte costituzionale n. 183/1973, n. 170/1984, n. 1146/1988).
Nella fattispecie tale contrasto è stato individuato nelle “perdite”, asseritamene non preventivate né preventivabili, che lo Stato tedesco potrebbe sopportare, via Bundesbank, a causa del programma OMT, e nei maggiori oneri (dovuti al riallineamento dei rendimenti conseguente all’acquisto dei titoli sovrani periferici) da sostenersi per collocare il debito tedesco, con ciò limitando o condizionando i poteri di bilancio del parlamento tedesco. La tutela di tale principio, naturalmente, può essere giusta – e ciò condiziona ogni dibattito – ma non può che aprire importanti interrogativi politici, anche se gli stessi, chiaramente, sono di competenza del Parlamento e della Commissione europei e non certo della Corte costituzionale tedesca.
Se dunque, a questo punto, non sia divenuto oltremodo necessario procedere alla modifica dell’assetto istituzionale e finanziario dell’Unione europea, dal momento che a causa del suo attuale lacunoso assetto la BCE è in ogni caso obbligata ad assumere compiti non strettamente aderenti al mandato e che assolve, suppletivamente, per garantire la stessa esistenza dell’Unione.

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Viene, in rilievo, infatti che l’unione monetaria europea:

  • ha unito paesi con un indebitamento/PIL medio molto alto (ora al 93%), con tassi di interesse fortemente asimmetrici sin dall’origine e con un perverso intreccio tra banche e debiti sovrani;
  • stante quanto sopra, ha dovuto escludere la possibilità per gli Stati di fallire, con ciò vincolando (per ora) i paesi aderenti ad una sorta di solidarietà forzata, a cui si è cercato di porre dei limiti condizionandola all’osservanza di regole imposte dall’alto;
  • sempre per quanto sopra, ha dovuto escludere la reversibilità, anche solo in un singolo paese, dell’euro.

In tale contesto, appare ben difficile che la BCE possa efficacemente trasmettere la politica monetaria o contrastare la reversibilità dell’euro in un paese, o in un gruppo di paesi, senza adottare atti che possano comportare effetti redistributivi oppure atti con valenza di politica – anche – economica, cioè quegli atti “fuori mandato” di cui si lamenta la Corte costituzionale tedesca. E’ vero, infatti, per esempio, la FED non compra obbligazioni emesse dai singoli Stati dell’Unione e quindi non influisce sul rendimento di tali obbligazioni, che è lasciato libero di fluttuare sul mercato (facendo registrare uno spread massimo di circa 200 punti base). Ma è anche vero, come si è detto, che tali Stati sono nati senza debito ed ora hanno un indebitamento medio del 17% ca., sono sempre stati vincolati al pareggio di bilancio (per lo meno relativamente alla parte corrente), si è in presenza di un’unione fiscale, esiste la possibilità teorica per gli Stati di fallire, la dipendenza dal sistema bancario è minore, non vi è un intreccio tra banche e titoli statali e, quindi, non vi è alcuna necessità che la FED si preoccupi dei debiti dei diversi Stati o della reversibilità del dollaro in alcuni di essi.
Inoltre, negli Stati Uniti gli squilibri tra i diversi distretti della FED vengono risolti attraverso una finzione contabile (l’annuale diversa attribuzione dell’attivo della FED, soprattutto titoli federali, a seconda dell’intervenuta diversa posizione creditoria/debitoria dei singoli distretti) che è accettata perché si ha la certezza che l’Unione non avrà fine e che il dollaro sarà sempre la moneta di tutti gli Stati.

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In Europa, invece, dove non esistono titoli federali ma solo titoli sovrani e dove ancora non è stata realizzata l’unione bancaria, si ha sempre il dubbio che i titoli ricevuti a garanzia del credito possano rivelarsi inidonei allo scopo in quanto legati non all’Unione ma alla capacità/volontà di rimborso degli Stati e alla loro permanenza nell’euro.
E chiaro, quindi, che ogni qualvolta la BCE adotta un atto straordinario, per le necessità di cui si è detto, i suoi effetti non possono che comportare effetti redistributivi: l’acquisto di titoli sovrani via SMP o OMT non può che riguardare i cd. PIGS, rendendo artificiosamente meno oneroso il loro debito ma, contestualmente, rendendo più gravoso quello dei paesi più virtuosi. Parimenti, nel caso del LTRO, la liquidità, previamente resa a buon mercato dalla BCE, va a beneficiare principalmente sia le banche PIGS, incentivandole a perpetuare quel circolo vizioso banche/titoli sovrani, sia le corrispondenti banche centrali nazionali, che potranno pagare sui saldi negativi Target 2 interessi reali negativi.
E’ altrettanto vero, però, che se l’architettura Ue/euro tiene, i paesi “virtuosi” vengono, in parte e in quota, compensati attraverso i maggiori utili realizzati e distribuiti dalla BCE proprio grazie alla gestione dei titoli periferici acquistati nel corso dei programmi straordinari avviati. Nell’esercizio finanziario 2013, per esempio, la BCE ha avuto utili – al netto degli accantonamenti a riserve – per 1,44 miliardi di euro (per 1,43 trasferiti alle banche centrali nazionali), di cui 962 milioni dovuti ai titoli detenuti per il programma SMP e 406 milioni (meno della metà degli utili SMP) dovuti al signoraggio.
Quanto sopra, chiaramente, nel caso in cui la stessa BCE non debba sopportare perdite straordinarie in conto capitale, per ristrutturazione del debito o per rottura dell’euro e ridenominazione del debito di qualche paese, ipotesi che traggono evidentemente origine dalla sfiducia sulla possibilità che i paesi in argomento possano o vogliano portare avanti le riforme necessarie o che, comunque, il loro “fallimento” possa avvenire prima che le istituzioni europee abbiano apprestato gli strumenti per isolare o rendere meno sistemico il danno.

Va precisato in che modo uno Stato dell’eurozona (compreso quello tedesco, quindi) può essere chiamato a ripianare perdite per effetto dell’acquisto di titoli da parte della BCE nell’ambito del programma OMT (oppure nell’ambito degli usuali contratti di pronti contro termine).
A differenza di FED e BoE, la BCE non è garantita da un Tesoro autonomo e le perdite/ricapitalizzazioni dovrebbero essere garantite dalle banche centrali nazioni, per quota, e dalle rispettive autorità fiscali nazioni. Peraltro, come è stato rilevato, “there is no mechanism for recapitalizing the Eurosystem as a whole” (Buiter, 2009b)

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Quanto sopra comporta che la BCE si trovi sempre di fronte ad un dilemma che vulnera la sua indipendenza e limita l’efficacia della sua politica monetaria soprattutto in periodi di turbolenza finanziaria: se compra (e accetta come collaterali) solo titoli non rischiosi, amplia i rendimenti dei titoli non rischiosi; se compra (e accetta come collaterali) anche titoli rischiosi si espone a perdite (nonostante l’haircut applicato), tanto maggiori quanto maggiore è la crisi che in quel momento si sta cercando di fronteggiare.
In effetti, durante la crisi del 2008, la BCE si trovò esposta a perdite per ca. 10 miliardi di euro su collaterali ABS postati, a garanzia di prestiti, da cinque banche nordiche. Negli anni successivi, perdite per circa 30 miliardi di euro vennero accusate su titoli e collaterali di paesi periferici. Ora, la BCE, per motivazioni di cui si è detto, ha accettato, per l’OMT, di essere un creditore ordinario (“pari passu” con gli altri creditori), così esponendosi, in caso di ristrutturazione del debito da parte di un debitore sovrano, alle medesime perdite sopportate (eventualmente) dagli altri creditori.
Occorre dire che la BCE, in quanto banca centrale, è un’”azienda” del tutto particolare che può affrontare le “perdite” in tre modi:

  1. stampare moneta sino a concorrenza della perdita: in tal caso, la perdita si trasformerebbe in rischio inflazione che si spalmerebbe sull’intero territorio della zona euro e, ovviamente, nei rispettivi paesi. In tale ipotesi, quindi, nessun esborso sarebbe richiesto ai paesi aderenti e, quindi, neppure alla Germania. E’ chiaro che tale ipotesi va valutata avendo riguardo alla liquidità esistente, a quella da immettersi per compensare le perdite, al trend inflazionistico attuale e a quello che potrebbe determinarsi immettendo la liquidità supplementare. Al riguardo, occorre osservare che l’attuale contesto è di disinflazione (sebbene le proiezioni BCE prevedano nell’orizzonte 2016/2018 un tasso vicino all’obiettivo del 2%), che il tasso di accrescimento M3 è, a causa di molti fattori, modestissimo e che lo stock della medesima moneta M3 è comunque più basso di quello che deriverebbe applicando il parametro di riferimento (un accrescimento annuo medio del 4,5%). Anche assumendo, quindi, una perdita del 20/30% su un quantitativo di 500 miliardi di titoli (l’importo ipotizzato dalla BCE in audizione), la stessa si sostanzierebbe in un modesto accrescimento della base monetaria (a fronte di uno stock M3 di quasi 10.000 miliardi di euro), non tale certo da provocare rilevanti spinte inflazionistiche, soprattutto nell’attuale contesto, e non tale da non poter essere successivamente riassorbito. E’ però da sottolineare che tale pratica, se assunta regolarmente, non può che confliggere con il mandato e l’obiettivo principale di garantire la stabilità dei prezzi e la credibilità della moneta, determinando anche azzardo morale del sistema finanziario, il quale sarebbe portato ad assumere maggiori ed ingiustificati rischi sapendo che, in caso di crisi, l’attivo di cattiva qualità potrebbe essere trasferito alla banca centrale con oneri a carico della collettività via stampa di moneta ed inflazione;
  2. utilizzare le riserve della BCE e del sistema di banche centrali nazionali, eventualmente anche riportando le eventuali perdite a nuovo (ripianandole con gli utili degli esercizi futuri) senza stampare e senza ricapitalizzare: questa è la soluzione ipotizzata dalla BCE in sede di audizione, evidentemente ritenendo che le istituzioni tedesche preferirebbero tale soluzione all’ipotesi di sopportare eventuali rischi inflazionistici. Sul punto occorre dire che una banca centrale può effettivamente operare anche con capitale negativo e che una banca centrale indipendente (l’indipendenza assume, al riguardo, valore decisivo) ha sempre la possibilità di tornare in utile. Come sopra si è visto, i maggiori utili generati dalla BCE in questi anni (in buona parte riversati alle banche centrali nazionali) sono stati sinora generati anche dall’acquisto dei titoli sovrani periferici, acquistati a sconto nel corso della crisi finanziaria. Considerare, quindi, minori utili o l’assenza di utili (in caso di “perdite” riportate a nuovo) come “perdite” a carico del bilancio federale tedesco appare come una forzatura, posto che tali poste andrebbero sempre considerate come ipotetiche e non dipendenti dalla politica fiscale, a meno di non ritenere che la politica monetaria debba essere impostata per assicurare un costante e certo flusso di cassa. Tuttavia, anche in questo caso, però, non può onestamente dirsi che questa possa essere una soluzione definitiva e di buona pratica, in sostanza per le stesse motivazioni di cui al precedente punto;
  3. ricapitalizzare la banca: questa è la residua ipotesi per la quale il contribuente europeo può effettivamente essere chiamato a contribuire (via banche centrali nazioni e, nel caso ora in esame, via Bundesbank). In realtà, tale ultima ipotesi sembra essere l’unica considerata dalla Corte tedesca, un po’ per l’atavica ritrosia a prenderne in considerazione altre, un po’ perché effettivamente è quella più aderente ad una gestione corretta e rigorosa della banca centrale, che però, nella fattispecie, risulta condizionata all’origine dalle problematiche di cui si è detto sopra.

E’ evidente che, a prescindere dall’OMT, il problema delle eventuali perdite, denunciato dalla Corte costituzionale tedesca, si riproporrebbe anche nel caso in cui la BCE avviasse un programma straordinario di acquisto di ABS (che sembra più probabile di un tradizionale QE, stante l’attuale frammentazione del sistema finanziario europeo).

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A prescindere, quindi, da soluzioni estemporanee, transitoriamente utili a superare l’attuale impasse Corte costituzionale/BCE/Corte di giustizia europea, è necessario che le istituzioni europee affrontino organicamente il problema.
Di fatto, le soluzioni possono essere quattro:

  • completare il processo di integrazione pervenendo all’unione fiscale e all’istituzione di un Tesoro europeo. L’ipotesi, però, appare molto lontana nel tempo e neppure condivisa da tutti i membri;
  • istituire un’autorità che, finanziata da una specifica imposta europea e dall’emissione di titoli, possa garantire la Banca centrale europea. Anche tale ipotesi non appare, al momento, di facile praticabilità;
  • aumentare la dotazione dell’esistente fondo ESM, utilizzandolo anche come garante della BCE e come strumento per creare veicoli speciali che possano interporsi tra la BCE e il fondo assumendo la parte percentualmente più consistente delle perdite di operazioni straordinarie, da stimarsi secondo modelli statistici;
  • ricapitalizzare, in via straordinaria, la BCE. Tale ipotesi, però, può risolvere, momentaneamente, il problema delle perdite ma non quello dell’aderenza al mandato assegnato alla banca dai Trattati.

La scelta, quindi, è se sopportare un costo via inflazione – ipotesi che comunque è del tutto respinta dalla Germania – o sopportalo via imposte, peraltro aumentando il già gravoso indebitamento. Per quanto sopra e per molti dei motivi sopra esposti, si fanno sempre più insistenti le voci di quelli che ritengono che non vi sia alcuna necessità che la banca centrale europea venga “garantita” da un’istituzione autonoma, dovendo essa limitarsi a rispettare integralmente il mandato affidatole, con ciò obbligando i singoli Stati ad adottare le misure necessarie per non richiedere interventi straordinari della banca centrale.
Appare chiaro che l’obiettivo sia quello di realizzare le condizioni per divenire, nel medio/lungo periodo, l’unica area/moneta del mondo finanziariamente stabile, da contrapporre a Giappone e Stati Uniti che, prima o poi, secondo tale scenario, vedranno distrutta la fiducia nelle loro monete a causa della necessità di stampare, inflazionare, emettere debito, in un circolo vizioso tra banca centrale, governo e sistema finanziario, per coprire le perdite generate dalla presa in carico di attivi di pessima qualità, generati in sempre maggior quantità a causa dell’azzardo morale di governi e banche.
L’obiettivo è senz’altro sensato ma è anche molto ambizioso e di incerta datazione. Non dotarsi di strumenti adeguati per fronteggiare le crisi, non solo economiche ma anche finanziarie, spesso scatenate da fattori esterni, potrebbe rivelarsi inutilmente velleitario e pericoloso, come hanno insegnato gli anni trascorsi, e potrebbe spingere l’Europa in una spirale incontrollabile, trasformandola da cacciatrice a preda.

le strepitose immagini di decostruzione di questo post sono opera
del fotografo e artista tedesco Víctor Enrich
/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da roundmidnight

Occupa da anni, in modo semiserio, un posto in un consiglio di amministrazione all'interno di un "gruppo" internazionale.

2 Risposte a “Decostruire e ricostruire le regole dell’Unione – seconda parte”

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