Alla fine del suo tour in Sud America – non quella europea della sua Argentina ma in quella andina e terrestre di Perù, Ecuador e Paraguay – Papa Francesco ha insistito sulle disuguaglianze sociali. È ormai il suo più famoso nemico. Il suo magistero ne contrasta sia le ingiustizie che la diffusione. Incarna l’opposizione alla fiducia che l’aumento della ricchezza alla fine si ripercuota sull’intera società. Il meccanismo teorico che ha trionfato con la globalizzazione era semplice: le disuguaglianze producono ricchezza, ma il suo “sgocciolamento” – il famoso “trickle down” – si spande sull’intera società. È stato il credo di Reagan,
Thatcher, Bush e paradossalmente del Partito Comunista Cinese, convinto che l’arricchimento di pochi avrebbe favorito non solo quei fortunati ma l’intero paese. La crisi scoppiata ormai da 8 anni ha messo in dubbio questo fondamento. Le disparità aumentano e si rendono insopportabili. È opinione comune – forse non provata scientificamente ma generalmente avvertita – che si stia assistendo a un impoverimento della classe media. In Italia la percezione è provata dai dati: reddito, disoccupazione, tutele del lavoro, emigrazione dei giovani. Specularmente, l’ingresso nella classe media dei paesi in via di sviluppo non procede in modo atteso, né per quantità, né per diffusione. Chi pensava a un nuovo traino economico dai paesi dell’ex Terzo Mondo, dovrà ricredersi. Lo certifica un importante studio di PEW, il fact tank più famoso al mondo per le sue indagini sociali e di mercato. Un suo lavoro recente parte da una definizione necessaria: cosa si intende per middle class?. La risposta fornita è una sintesi ragionata: una persona che viva con disponibilità giornaliere che variano da 10 a 20 USD. Ciò vuol dire che una famiglia tipica di 4 persone, per appartenere alla classe media, può contare su un reddito netto annuale compreso tra 14.600 e 29.200 USD all’anno. In 10 anni , dal 2001 al 2011, quando la messe di dati disponibili è stata calcolata, la classe media al mondo è quasi raddoppiata in numerosità. Il contributo della Cina a questa crescita globale è stato straordinario, probabilmente la vittoria più importante nell’atavica lotta contro il sottosviluppo. Oggi il gigante asiatico conta “soltanto” 70-80 milioni di poveri. Progressi importanti si sono registrati anche nell’est europeo e nel Sudamerica. Al contrario, l’ingresso nello stile di vita della classe media è stato ridotto; una crescita fisiologica in India, sud-est asiatico, Africa, America centrale. Un altro motivo di preoccupazione è la permanenza delle fasce di basso reddito. Se nel mondo la classe media è cresciuta nel decennio dal 7 al 13% della popolazione, ancora oggi il 71% appartiene alle 2 classi di reddito più basse, poor e low-income. Senza sorprese, dalla ricerca si evince che la gran parte dei redditi più alti è ancora concentrata in Europa e nel Nord America,, nonostante alcune ascese dei paesi dell’Asia Pacifico. Il tentativo di dare maggiore importanza alla demografia dunque sembra arrancare. Le promesse di un arricchimento generalizzato si confermano solo parzialmente. Nel frattempo il grido contro la povertà e le disuguaglianze è ormai un coro. Rimane da capire se prevarrà l’auspicio egualitario di papa Francesco o la logica delle corporation che vogliono una platea più affollata per i loro prodotti e dunque favoriscono la crescita dei redditi per intercettarne i consumi.