Economia e disuguaglianza: convergenze e divergenze

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La traduzione in inglese de Le capital au XXIe siècle di  Thomas Piketty (Capital in the Twenty-First Century) è diventata l’occasione per molti di affrontare l’argomento di cui l’economista dibatte nelle 700 pagine del suo saggio: le dinamiche che si instaurano tra crescita economica e disuguaglianza.
Il punto di partenza e di arrivo di Piketty è la ripresa del confronto già proposto da Marx tra Capitale e Lavoro. Secondo l’economista francese la ricchezza, nelle economie capitaliste, tende a concentrarsi nelle mani di pochi perché il Capitale “rende” più del Lavoro.

Viviamo all’alba di una nuova rivoluzione industriale, un’epoca in cui gli oggetti che ci circondano saranno sempre più intelligenti e si sostituiranno all’uomo in sempre più mansioni a bassa e media competenza. I software si perfezionano e gli spazi per il Lavoro, nel senso del contributo umano alla realizzazione di qualcosa, si riducono. Tutto questo rende più leggero il carico di lavoro per chi ha una occupazione, ma riduce la quantità di posti di lavoro necessari. Non è un caso se siamo in crisi da sovrapproduzione, in fondo.

Tuttavia Piketty focalizza le sue riflessioni sulla distribuzione della ricchezza individuandola nel Capitale, non nel reddito. Per cui non dobbiamo farci deviare. Semmai prendiamo atto della assoluzione morale che Piketty riconosce implicitamente: chi accumula capitali non è malvagio, come alcune correnti politiche tendono talvolta a insinuare con intenti punitivi, è semplicemente il sistema che -asetticamente- assegna al capitale una specie di forza gravitazionale che lo porta ad accentrarsi.

Se questo è il presupposto, dovremmo allora considerare l’attuale contesto di tassi a zero (ed i rendimenti vicino a zero che ne conseguono) come un momento storico di maggior equità, mentre invece sta accadendo il contrario: i rendimenti zero spingono la Finanza -e di conseguenza il Capitale- ad un crescente protagonismo.

Credo che in tutto questo si manchi di afferrare un punto: così come una foto non descrive l’intero movimento, allo stesso modo analizzare un passaggio del meccanismo non descrive il sistema nel suo complesso.

Prendiamo la questione dei tassi: sono a zero perché vengono da un percorso di progressiva riduzione, ed è proprio la loro progressiva discesa che ha fatto rivalutare gli strumenti finanziari preesistenti, facendo crescere il valore dei patrimoni. Limitarci ad osservare che mentre sono prossimi allo zero la disuguaglianza è cresciuta ci disorienta; non ci fa cogliere che l’inevitabile -l’incognita è il quando non il se– risalita dei rendimenti significherà una discesa dei valori patrimoniali, pertanto la condizione di tassi prossimi allo zero contribuisce ad una maggiore equità.

Ugualmente l’accentramento del Capitale non è dissimile da altre dinamiche umane, come l’accentramento del potere: chi lo possiede lo usa per ottenerne altro, spesso con successo. Ma il sistema capitalista prevede anche altri passaggi: capitale, potere, influenza… tendono ad accentrarsi, le grandi imprese tendono a fondersi per fare economie di scala formando oligopoli, cartelli, o addirittura monopoli. Tutto questo conduce inevitabilmente all’inefficienza, e in ultima istanza alla necessità di rinnovamento – spesso attraverso il fallimento.

Non ci insegna forse la Storia che -rendo omaggio a Piketty con un esempio francese- dopo un lento e minuzioso accentramento di ricchezza il 14 Luglio 1789 la monarchia Francese fallì ed il popolo ottenne di fare dell’égalité una delle sue bandiere? E cosa accadde subito dopo? Che l’accentramento lento e minuzioso riprese, fino allo scossone successivo.

Il fallimento, con la conseguente redistribuzione del capitale, potere, influenza, posizione commerciale o qualsivoglia altro si sia accentrato, è la parte del processo di sistema che permette al sistema stesso di rigenerarsi e di riposizionarsi verso una maggior uguaglianza.

Pertanto se -come ci dicono le Istituzioni- stiamo iniziando una lenta ripresa dopo una lunga crisi, ovvero se siamo appena dopo il punto più basso del ciclo, il tasso di default dovrebbe essere ai massimi: ciò che non funzionava fallisce e libera spazio per “il nuovo”. Ma così non è: il global default rate è ai minimi, non ai massimi. Ed è esattamente questo ciò che ci deve allarmare. E’ il fallimento che permette al processo di accentramento di capitale di completare il proprio percorso. E’ la mancanza di fallimenti a generare ineguaglianza, non il Sistema in se.

Quindi al diavolo le assoluzioni morali di cui sopra: il Sistema non ha volontà propria, per lottare contro le disuguaglianze bisogna lottare da un lato contro chi permette che esistano soggetti “too big to fail” e dall’altro contro chi dietro paraculistiche “tutele dei deboli” genera barricate ed impedisce i fallimenti laddove l’inefficienza e l’improduttività li stanno evocando. Viceversa ci si tiene l’ineguaglianza con un coerente silenzio.

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Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

24 Risposte a “Economia e disuguaglianza: convergenze e divergenze”

  1. Questo è uno di quei post che mi fanno dire “l’Alieno è sempre tra noi”. Grazie, come sempre spunti interessantissimi e non convenzionali. Decine di porte a perte a parentesi e riflessioni collaterali. Grazie, davvero

  2. “(…) lottare da un lato contro chi permette che esistano soggetti “too big to fail” e dall’altro contro chi dietro paraculistiche “tutele dei deboli” genera barricate ed impedisce i fallimenti laddove l’inefficienza e l’improduttività li stanno evocando.”.

    Nella conclusione sta l’approccio utopistico del tuo post così stimolante e di cui (senza retorica) ti ringrazio.

    Utopistico perchè nel contestare il meccanismo del too big to fail si rivolge a contrasto di quelle oligarchie finanziarie che ci sono e non su coordinate grilline, ma sulle coordinate della SEC, si veda la questione del London Interbank Offered Rate ed anche le perplessità suscitate sul prezzo dell’alluminio, faccenda che ha coinvolto GoldmanSachs http://www.thepostinternazionale.it/mondo/stati-uniti/l-alluminio-di-goldman-sachs o le irregolarità marcate JPMorgan che hanno portato ad una sostanziosa multa nei confronti della banca d’affari: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-10-20/jp-morgan-un-patteggiamento-13-miliardi-dollari-col-governo-usa-162123.shtml?uuid=ABZcp0X

    Costoro sono parte di un’oligarchia che impone il non fallimento come metodologia e checché se ne dica dice la sua e alla grande sui mercati siano le borse o siano le materie prime. La FED ha di fatto accettato questa filosofia, che permette agli oligarchi di azzardare qualsiasi cosa e la BCE non pare poi così divergente.

    Al punto della difesa di aziende decotte l’Italia è un monumento alla retorica della “tutela dei deboli”: da Alitalia alle PA inefficienti i sindacati si mobilitano per difendere il nulla…. con il solito ottuso approccio, che ha portato ad un crollo degli iscritti, fino a far divenire forza preponderante i pensionati in queste incartapecorite organizzazioni.

    Quindi da un lato e dall’altro, come in un’ipocrita tenaglia si tende a contrastare il tuo ragionamento che si situa in un’area liberal riformista che anche in termini di consensi politici non ha mai raccolto molto popolo, anzi….

    L’unica speranza (per assurdo) resta un infarto delle borse, magari al traino di un evento esogeno inatteso, anche se FED e BCE sono pronte ad intervenire per chiudere falle e mantenere a galla l’attuale modus operandi, che NON prevede la “selezione della specie” che vai auspicando e che sottoscrivo. Mai andar contro le banche centrali si dice ai piccoli risparmiatori in vena di orsi, a maggior ragione i grandi se ne guardano…

    Nella “finanza agli steroidi” il tracollo sarà inevitabile inatteso e violento, come dice il buon Marc Faber, e la questione del valore emergerà come il Charles Bronson giustiziere di aziende ed Istituti bancari spintisi troppo in là nel gioco dei subprime, dei derivati e delle porcherie assortite.

    Allora inutile sollevare la questione? No assolutamente, la questione va dibattuta ed è parte di una riflessione che da economica, come è nei tuoi intenti, può anche diventare filosofica, riponendo al centro del ring, la questione di come si debba quantificare il valore e quali siano gli indicatori per giudicare cosa e quale sia il valore di un’attività umana.

    Nell’epoca degli stimoli monetari e dei giochi di prestigio politici, l’onestà intellettuale è una musica sussurrata nel frastuono di dieci boeing contemporaneamente in fase di decollo.

    Qualcuno la ascolterà o il rumore coprirà ogni nota? La risposta non è scontata.

  3. Grande post. Questa è l’altra faccia della medaglia della teoria di Taleb.
    Lasciare che i cigni neri facciano il loro corso su strutture enormi coi piedi d’argilla può solo far bene.
    Bravo Andrea

      1. Carissimo!! Non sono più su tw per motivi di tempo e familiari, ma vi seguo sempre con grande affetto e interesse ( anche tramite il mio account di Facebook). Keep up the excellent work, Chia

  4. Bel post, da Bimbo Alieno. 🙂

    Il “too big to fail” è un concetto recente, nel passato quando le disuguaglianze raggiungevano un top si risolveva tutto con guerre o rivoluzioni.
    Ora la Finanza è interconnessa con l’Economia, sono due mondi paralleli che ogni tanto si incontrano ma spesso ognuno va per conto suo fino a quando la disuguaglianza raggiunge il top e allora Finanza ed Economia si incontrano di nuovo: ecco qual è il massimo della guerra e della rivoluzione che ci concediamo per appianare una divergenza: siamo già contenti quando un’azione è quotata per quello che più o meno è il suo valore reale e non sta in bolla (o in su o in giù).

    Il too big to fail non è campato per aria, non è la tutela dei ricchi, bensì è la nostra forma di sopravvivenza in questo millennio.

    Il too big to fail non è da criticare quando lo fanno “gli altri” perchè ce c’è uno che ci riguarda molto da vicino, il nostro too big to fail è quello che “vi” permette (a voi tutti lavoratori dipendenti, pubblici o privati) di godervi la giornata di domani perchè l’Italia è fallita da quel dì ma nessuno lo ammetterà mai: ovviamente cerchiamo di sopravvivere come Stato il più a lungo possibile ma sappiamo che i nostri figli non avranno la pensione a fronte del fatto che domani si sta tutti a casa e ce ne infischiamo del PIL di un Paese con un debito impagabile.

    Il too big to fail è la sopravvivenza, per tutti.

    Ciao, Chiara. 🙂

  5. Qualcuno mi ha “evocato”?
    Claudia, interessante la tua digressione: nel post si dà per scontato che l’oggetto siano i privati e le imprese, ma il tuo abbinare il “too big to fail” ai bilanci pubblici apre ulteriori filoni di discussione.
    Vedi che dovete contribuire più spesso e senza timore,? Che qui più sassi si lanciano nello stagno e più cerchi si formano.

  6. Cari tutti,nello stagno avete scaraventato tanti sassi da disgregarne definitivamente l’immobilità,ma probabilmente non sarà così.
    Dal punto di vista etico, non condivido affatto il principio del “Too big to fail”, e ritorno alla più volte evocata crisi di sistema. Il sistema forse non è più aggiustabile,ma non mi è facile immaginare quali possano essere i rischi connessi all’azzeramento. E come si riparte? Da dove? A che prezzo? Ecco un argomento che potrebbe – dovrebbe – impegnare molti, soprattutto tra coloro che gestiscono a vario titolo poteri economici e politici.
    Ritrovarvi è stato un piacere.

  7. Interessanti ragionamenti nei commenti e interessante l’idea di Piketty, dovrò prendermi il libro…
    Una volta chi diventava too big to fail veniva ridotto a dimensioni tali da essere little enough to fail; che poi non significava necessariamente ridurre il potere lobbistico dell’industria di appartenenza (non è che lo smembramento della Standard Oil abbia tolto granchè potere ai petrolieri) da un potere gerarchicamente superiore, espressione della supremazia della società sull’economia e la finanza, una cosa che si chiamava Stato.
    Monopoli e oligopoli, ove ritenuti opportuni per l’interesse generale, erano sottoposti ad una qualche forma di stringente controllo (e cointeressenza, spesso) dello Stato, quando non gestiti da esso, tipicamente.
    Aver permesso l’attecchimento di entità non statuali too big too fail in grado di indurre fallimenti degli Stati e drenaggi di ricchezza dalla società di spropositate dimensioni per garantirne la sopravvivenza, di fronte al ricatto delle conseguenze di un eventuale fallimento, si configura come un crimine verso l’umanità (scusate se parto a testa bassa…) che meriterebbe una soluzione alla Filippo il Bello con i Templari.
    Quanto al fatto che l’automazione e la produttività stanno ormai restringendo a tal punto le opportunità di lavoro da creare un esercito industriale di riserva di dimensioni spropositate, mi sono già espresso anni addietro sia qui che sul blog dell’alieno, che ho ritrovato qui con piacere (Andrea, prendi l’antidoto! 😉 ) . Questo fatto sarebbe meraviglioso se servisse a slegare il sostentamento dell’individuo dalla necessità di mercificarsi: il contributo del singolo alla società potrebbe essere regolato in forme nuove e creative, invece no, oggi serve solo a gettare gli individui nella disperazione, farli dibattere nelle tonnare del mercato del lavoro che si restringe sempre più, riportandoci nel capitalismo dickensiano glorificando l’ineluttabile necessità della “svalutazione dei salari”, come si chiama in neolingua la compressione dei salari: una cosa per cui i nostri nonni si facevano sparare addosso da Bava Beccaris…

    Marò ragazzi m’è presa brutta stasera! Scusate il tiratone 🙂

  8. @Claudia
    Implicitamente accusi gli “altri” di ipocrisia perché criticano il too Big too Fail anche se li fa stare a galla.
    A questo punto la domanda è: quindi?
    Anche se detta con ipocrisia, una verità non diventa meno vera.
    Ci siamo messi in una trappola per cui uscirne sarà necessariamente doloroso.
    Per questo sostengo che bisogna distruggere o, se preferisci, rivoluzionare per rinascere e, credimi, ogni giorno aumenta la schiera di quelli che la pensano come me.
    Sono consapevole che potrei perdere il lavoro, diventare povero, persino ritrovarmi in pericolo in un mondo di disperati.
    Ma so che è l’unica via d’uscita e sono disposto a rischiare.
    Tutti sanno, ma pochi lo dicono, che il Debito Pubblico italiano è incontrollabile a meno di scelte radicali. Bene…io sostengo che quelle scelte vadano fatte a costo di minacciare la mia sicurezza.
    Pazzo? Autolesionista?…o forse consapevole che più si aspetta peggio sarà?
    Sinbad

  9. Entro anch’io nella discussione facendo due considerazioni prese dai commenti: l’interventismo del governo e delle banche centrali ha sospeso il processo di distruzione creativa alla basa della riallocazione del capitale. Inoltre aggiungo che tali eventi di pulizia non necessariamente sono causa di un eccesso di diseguaglianze e non necessariamente le riducono.
    Il punto dell’alieno è che in maniera trasversale usa piketty per sottolineare che l’eccesso di interventismo delle istituzioni fiscali e monetarie causa una misallocazione del capitale e una distorsione degli incentivi ad investimenti in capitale umano. Tutto ciò paradossalmente garantisce la persistenza delle diseguaglianze.

  10. “paradossalmente”, liuk?
    L’eccesso di interventismo delle istituzioni fiscali e monetarie è diretto a salvare le istituzioni finanziarie che si sono cacciate in bolle che potrebbero inghiottire tutta la galassia in cui viviamo, e queste istituzioni invece che ringraziare, chiedere scusa e mettersi in ordine, usano le risorse tolte alla società (tagli del welfare, istruzione, riduzione dei salari, potere d’acquisto, domanda, produzione… insomma hanno succhiato la linfa dall’albero per salvare queste entità) le usano per perpetuare la giostra, ormai sicuri dell’impunità… Non è paradossale, è quantomeno ingenuo da parte delle istituzioni fiscali e monetarie continuare a sostenere questa finanza a scapito della società senza pretendere cotropartite e le teste di chi ha sbagliato fin’ora ed è criminale da parte di chi fa “il mestiere di dio” continuare questa truffa ed estorsione ai danni della collettività. Questo meccanismo non fa persistere le disuguaglianze: le ingigantisce.

    1. Ben lungi da me voler difendere le istituzioni finanziare, ma ricordo solo che l’unica volta in cui hanno lasciato fallire una banca, anche una fra quelle “cattive” (Lehman), ciò ha creato 9 milioni di posti di lavoro in meno ed un crollo del reddito disponibile con un incremento su livelli record del SNAP program.
      Insomma, dire che banche centrali e governi creano distorsioni perché salvano le banche fa perdere di vista il problema di riallocazione del capitale e del lavoro quando un’economia si trova ad affrontare cambiamenti strutturali del contesto micro e macro.
      Nello specifico italiano, pensa ai miliardi spesi per aziende decotte (es Alitalia) o la montagna di soldi buttata per la cassaintegrazione… E poi si continua ad usare la leva fiscale per far quello che qualsiasi buon padre di famiglia dovrebbe fare, cioè quadrare i conti. Tutto ciò non per salvare le banche, ma l’intreccio anacronistico di economia reale, politica e finanza che vuole mantenere lo status quo.
      Alla faccia di Piketty e del suo mondo ideale.

      1. Paradossale perché in teoria un calo dei redditi e della ricchezza riduce le diseguaglianze secondo la curva di Kuznets… Piketty nega la validità qs teoria, per cui un crollo del sistema causa ulteriori diseguaglianze.

      2. Si potrebbe argomentare che i 9 milioni di posti di lavoro in meno sono stati causati dal fatto di non aver voluto fare abbastanza pulizia e che, alla fine, si sia ceduto ad un ricatto da parte del sistema. I 9 milioni di posti di lavoro persi sono dovuti al fatto che sia fallita Lehman o al fatto che tutte le iniezioni di liquidità effettuate sono andate ad alimentare il falò delle vanità finanziario senza ricadute nell’economia reale, tanto che Draghi oggi dice che “si è rotta la cinghia di trasmissione” dell’asmatico motore e tutta la benzina che ci versa dentro va ingrossare la zecca (nel senso del parassita) finanziaria, che preferisce depositare overnight i soldi ricevuti presso la BCE piuttosto che fare il mestiere di banca? Tanto che Draghi deve minacciare l’applicazione di tassi negativi sui depositi presso la BCE! Forse averne lasciata fallire una sola non è bastato: si è persa l’occasione di fare pulizia. Alle brutte avremmo assistito al ritorno dello stato imprenditore in sostituzione delle banche fallite, forse saremmo ugualmente in crisi ma con tutt’altro spirito e la liquidità iniettata nel sistema arriverebbe dove serve invece che fermarsi nella rulette di chi dice di fare il mestiere di dio…

  11. eh eh eh … ecchettelodicoaffa Ti han già detto tutto gli altri. Hey ben ritrovati soci 🙂
    @ Liuk
    quella dei 9 milioni di Lehman mi sta diventando sempre più stretta. Il mantra arriva ogni volta che si parla di fallimento di banche

    .E’ vero effettivamente ,ma da li si è innescato un meccanismo che farà ben più danni. Al contrario quei 9 milioni (ma chi li ha poi così contabilizzati ?) sono /sarebbero stati comunque riassorbiti dal mercato, che risanato, avrebbe utilizzato le risore umane che si erano liberate

    Altra estensione ai nostri problemi sarebbe quella di inserire il terzo attore (solo terzo ?) che è l’energia ed il suo ruolo , e la globalizzazione che così com’è ha dimostrato tutta la sua pericolosità ed i suoi limiti.

    Tubiggano e tufailano sempre i soliti noti e globalizzazno solo sempre i soliti noti

    … e come diceva il saggio…l’ultimo chiuda la porta

    1. 9 milioni di occupati persi post Lehman (fonte BLS) tanto che ancora oggi, dopo sei anni siamo ancora sotto quei livelli occupazionali.

  12. @sinbad:

    l’ipocrisia contemplerebbe aver prima ben chiaro il problema, e non so se tutti lo hanno chiaro, non credo che quello che tu giustamente prospetti le persone se lo immaginano, se no non starebbero a scioperare per gli stipendi bloccati o per altre cavolate del genere.

    Io odio i debiti, perchè so che cosa significa essere debitore, quindi anch’io la penso come te, ma saremo due o tre in Italia. 🙂

  13. Spending review va fatta e tagli PA pure, non a caso Camusso attacca il governo oggi, sempre senza proposte alternative da tradizione.

    Ruolo banche centrali distorsivo lo dimostrera’ la BOJ….

  14. @ Liuk

    se nei 9 milioni sono conteggiati anche i nostri io guarderei di più alla Globalizzazione che ha messo fuori gioco il nostro costo del lavoro. Ci sono anche altri fattori come la tassazione esagerata ecc, ma non si possono solo globalizzare certe cose e lasciare paletti ferrei ad altre .

    Quei 9 milioni credo siano una delle scuse di comodo accampate ed usate ad arte ogni volta che si agita lo spettro di far fallire una banca

    Con questo concordo con te che non sia una passeggiata, ma se ci si dà delle regole,poi queste devono essere applicate a tutti.

  15. Nove milioni solo negli USA. Nessuna scusa: Quando fallisce una banca sistemica in genere non fai fallire i banchieri, ma il sistema stesso. Le banche non sono imprese come le altre. Tuttavia i banchieri lo sono. Si dovrebbe cominciare dalla governance, facendo pagare chi ha sbagliato. Ma questo è un concetto troppo difficile da far passare, soprattutto in Italia

  16. scusa Liuk vorresti tagliar le gambe a Blankfein, Dimon e agi altri amici? Tanto per fare qualche nome. Dimon ad esempio ha procurato una colossale multa alla sua banca e se ne sta lìbello, bello.

    A mio opinabile parere a certe persone non la fai pagare e mai la pagheranno. Noi paghiamo, non loro.

    Piacere anche mio ritrovarvi :), ma è merito di bimboalieno: il Boda se lo cucina lesso quando vuole. 😀

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