Elogio della morte

Se c’è un mistero che la Scienza si affanna ad indagare per carpirne i segreti, questo mistero è la vita: gli elementi di base che formano qualunque organismo vivente sono gli atomi, che di per sé non sono “vivi” e mantengono le loro caratteristiche sia quando contribuiscono ad un organismo, sia dopo aver smesso di esserne parte. Eppure, per una qualche ragione, aggregati insieme formano qualcosa di vivo, capace di nutrirsi, crescere, riprodursi e -infine- morire.

Tuttavia una cosa che svariate branche della Scienza hanno saputo verificare in diversi modi, è che la morte è un elemento imprescindibile, un ingrediente essenziale, per la vita. La più piccola componente “viva” di un organismo è la cellula. Le cellule si nutrono, si riproducono e muoiono; lo fanno continuamente. Pensate che nel vostro corpo nessuna cellula è più vecchia di sette anni (vi ho appena regalato un alibi per qualunque cosa abbiate fatto più di sette anni fa: potrete sempre dire “io non ero io“). E’ questa continua rigenerazione che ci consente di vivere, di crescere, di guarire quando ci ammaliamo. La fertilità del terreno è garantita dalle sostanze organiche che lo arricchiscono; ugualmente è solo la morte e la successiva decomposizione (ringraziamo le muffe per questo ottimo lavoro che svolgono) dei primi organismi viventi che si è formata una atmosfera così favorevole alla vita da farla proliferare in miliardi di diverse specie. Il principio della conservazione della materia ci ricorda come gli atomi che compongono il nostro corpo dovevano essere parte di qualcosa d’altro prima, e sarà necessario che li lasciamo andare se desideriamo che prima o poi possano formare qualcosa d’altro (o qualcun altro).

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"Growth, di Daniel Jamie Williams: http://danieljamiewilliams.com/
“Growth, di Daniel Jamie Williams: http://danieljamiewilliams.com/

In un certo senso lo stesso pianeta Terra deve la sua esistenza alla “morte” di qualche stella, perché è così che si forma la materia: dentro una stella l’idrogeno viene fuso in elio, poi in carbonio, ossigeno, crescendo di massa e “producendo” elementi sempre più complessi finché la pressione di radiazione del nucleo non è più in grado di contrastare la gravità degli strati più esterni. Il nucleo a quel punto collassa, mentre gli strati più esterni vengono espulsi in maniera spettacolare, per poi aggregarsi formando i corpi celesti.

Un’altra delle cose che la Scienza ha compreso della vita è che essa, in qualunque forma si presenti, lotta sempre per continuare ad esistere. Persino le forme di vita più insignificanti e prive di “scopo” (che noi ci ostiniamo tanto a cercare), come i licheni, cercano in ogni modo di prolungare la propria esistenza il più possibile.

Sembra una sorta di contrasto: ogni forma di vita individuale cerca di prolungare la propria vita (minuscolo) il più possibile, ma deve prima o poi cedere alla legge naturale contribuendo, con la propria morte, ad alimentare il ciclo della Vita (maiuscolo) sulla Terra.

Quello che accade in una delle più interessanti manifestazioni del comportamento umano, l’economia, non è poi così dissimile. Ogni soggetto cerca di vivere e funzionare il più a lungo possibile, per poi contribuire con la sua “morte” alla rigenerazione del ciclo economico.

La maggior parte dei problemi che ci assillano, dal punto di vista economico, negli ultimi decenni deriva in gran parte dal nostro -si direbbe poco saggio, viste le premesse- tentativo di impedire il sopraggiungere della morte. Le esasperate politiche monetarie sempre più accomodanti sono il riflesso più evidente della volontà di preservare a tutti i costi l’esistente. Si è detto in questi anni che l’economia sta sviluppando una dipendenza dai tassi bassi. Si potrebbe dire, guardando le cose con un’ottica di più lungo respiro, che l’economia ha sviluppato una dipendenza non tanto dai tassi bassi, quanto dai tassi calanti.

La prospettiva di tassi calanti è allettante perché fa rivalutare l’esistente: tutto ciò che è stato emesso a condizioni meno buone si rivaluta quando le condizioni diventano più favorevoli. Tuttavia questa rivalutazione degli attivi avviene a discapito di qualcos’altro: della capacità di fare profitto. Il sistema economico è fortemente bancocentrico, e sul fatto che tassi di interesse bassi -o addirittura negativi- rendano le banche poco profittevoli ne abbiamo già diffusamente parlato. L’impianto economico generale a tassi negativi è cosa ben diversa da avere una singola economia con politica monetaria “non convenzionale”. Non avendo opportunità di generare reddito da se stesso, il Capitale accetta di applicarsi sul Lavoro a margine zero. E’ anche da qui che si alimenta la compressione salariale.

A quel punto l’unica forma di “profitto” raggiungibile diventa quella di fare rivalutare il Capitale con la prospettiva di ulteriori abbassamenti dei tassi. Che, a questo punto, più in basso vengono spinti e più forte genereranno il richiamo per ulteriori loro discese.

Come uscire da una spirale di questo genere è difficile dire, e non è neanche il nostro compito, ma non possiamo non registrare che la lotta per la sopravvivenza del presente è palesemente alimentata dall’erosione della forza vitale del futuro. Non è più solo questione di sostenere delle economie con il debito, caricando gli interessi alle generazioni future, è anche -ormai- un drenaggio sempre più vorace di energie che vanno al sostentamento di ciò che -senza aiuti- non funziona, traendole dalla possibilità di fare reddito nel futuro, anche con attività che funzionano.

Sembra quasi che ci si dimentichi, più o meno consapevolmente, che non ci sia altro modo per generare ricchezza reale se non produrre, mettersi in discussione, faticare. Sembra quasi che ci illudiamo di poter consolidare all’infinito rendite di posizione, fossero anche semplici posti di lavoro, come fossero rifugi che proteggono dalle tempeste. Che le imprese non servano a dare prodotti e servizi ai loro clienti, ma che questo rappresenti solo un pretesto, una copertura, per il vero scopo: la semplice sopravvivenza dello status quo.

"Hard worker" di Telmo Quadros: http://incartoons.wordpress.com/
“Hard worker” di Telmo Quadros: http://incartoons.wordpress.com/

L’economia di mercato, brutalizzando un po’ il meccanismo, funziona con business che vengono scoperti da qualche precursore, si sviluppano aprendo spazio a diversi soggetti, i quali tendono poi a convergere man mano che il business va verso la maturazione, finendo per formare oligopoli o addirittura monopoli de facto. Nella condizione privilegiata di oligopolista o di monopolista, tipicamente, la facilità con cui si ottiene profitto tende a indebolire la competitività del soggetto, che dopo qualche tempo a causa della sua scarsa competitività viene aggredito da nuove forme di business e/o da piccoli operatori emergenti che erodono la sua quota di mercato sfruttando nuove opportunità o la creatività, facendolo così fallire a causa della sua struttura sovradimensionata. In questo modo si liberano risorse per il nuovo ciclo: know-how che si ricolloca, quote di mercato che si liberano, nuove opportunità che si aprono.

La paura di veder fallire (sintetizzata simbolicamente dall’espressione Too Big To Fail, ma che va ben oltre questa ristretta categoria) soggetti che collassando genererebbero un pesante impatto sociale di breve, spinge ad assumere un comportamento che nel lungo provoca impatti sociali ben più devastanti. Ma siccome la responsabilità politica degli impatti di lungo è più facilmente scaricabile su responsabilità altrui, nessuno sembra disposto a prendersi la responsabilità politica di ciò che -molto dolorosamente- andrebbe fatto.

il medico pietoso fa la piaga puzzolente, recita una vecchia massima. Ma quando quel medico è un policy maker, a quanto pare, perde meno consenso nel mostrarsi pietoso, che non nel fare ciò che -applicandosi- sa che andrebbe fatto.

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Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

2 Risposte a “Elogio della morte”

  1. Credo di essere davvero noioso nel fatto di notare come sono nuovamente d’accordo con quanto scritto, soprattutto “Sembra quasi che ci si dimentichi, più o meno consapevolmente, che non ci sia altro modo per generare ricchezza reale se non produrre, mettersi in discussione, faticare”, che fa poi il paio con “siccome la responsabilità politica degli impatti di lungo è più facilmente scaricabile su responsabilità altrui, nessuno sembra disposto a prendersi la responsabilità politica di ciò che -molto dolorosamente- andrebbe fatto”. A quest’ultimo proposito mi interrogo sulla validità di queste politiche monetarie accomodanti, anche perché o io non ho capito nulla (e sarebbe per me triste, ma potrebbe anche essere) o.. fossero ancora più espansive non favorirebbero ancora di più l’elargizione di credito, laddove adesso una delle criticità è individuata dalla presenza di molti crediti che evidentemente sono stati concessi con leggerezza?

    1. Grazie Alessandro, è un pezzo a cui lavoravo da tempo. E a cui tengo molto. Le risposte alle tue domande le lascio agli altri lettori, se vorranno. Discussione aperta a chi desidera

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