Si fa presto a dire fiordo

Il mio primo ricordo a Oslo sono due bambine con i dreadlock che giocano saltando nell’acqua di una fontana con la mamma che le guarda e ride. Era sera e c’erano 15 gradi e niente di tutto quello che vedevo corrispondeva alla mia idea di Europa del Nord. Tutto in Norvegia è pensato in funzione della luce, ma, contrariamente alle mie aspettative questo vuol dire una vita fuori, per strada, in giro, molto più che dentro.

Certo, gli interni sono sempre accoglienti e luminosi: è il motivo per cui il nordic design ha conquistato il mio e milioni di altri sguardi. A Oslo come molto più a nord tutto è pensato perché al primo raggio di sole sia possibile godersi la vita all’aperto, giochi nella fontana compresi. Ero in Norvegia da poche ore ed ero già follemente a casa, ma niente mi avrebbe potuto preparare all’escalation di bellezza dei giorni successivi.

A Oslo vivrei, anche se sì, devo passarci almeno due giorni d’inverno prima di dirlo; non è una città particolarmente interessante ma ha tanto cielo, tanta acqua, tanto caffè, un museo d’arte contemporanea progettato da Renzo Piano come una prua sul mare, l’Opera, dei giardini che mi dicono valere da soli il viaggio (devo ancora visitarli) e ristoranti straordinari. Da Madu la seconda sera abbiamo lasciato metà del budget dell’intero viaggio (hint: è un’iperbole, ma non troppo), ma senza nessun rimpianto. La chef sembrava la mamma delle bambine della fontana, anzi, sembrava una delle bambine della fontana.

Da Oslo abbiamo preso il treno per Bergen, viaggio che è un’esperienza in sé come gran parte degli spostamenti in Norvegia, di terra e di acqua. Solo due accortezze: prenotate per tempo per avere posti vicino al finestrino e copritevi bene, perché l’aria condizionata è a livelli californiani, cioè fa un freddo cane. Bergen è bella ma di quelle bellezze per me un po’ noiose: la fila di casette di legno sul molo che scintillano al tramonto, il mercato del pesce (monopolizzato dagli italiani), la teleferica per salire e i sentierini per scendere, tutto un po’ yawn, ma si sa che io sono viziata. In compenso eravamo in un albergo bellissimo  e con un raro letto matrimoniale per davvero. Sì, perché in Norvegia quando va bene ti danno due lettini affiancati con il lenzuolo intero, quando va male il famigerato “letto norvegese”, cioè una piazza e mezzo con un lettino a castello sopra. Amando gli esterni si ameranno sui pontili 😉

Gli alberghi in Norvegia sono cari, mai quanto i ristoranti, ma cari cari cari. La regola è semplice: un posto bello costa poco di più di uno brutto. Fai tu i conti 🙂
Se vuoi risparmiare ci sono campeggi e cabin, ma devi portarti le lenzuola da casa e spesso fare le pulizie. Il mio consiglio è di evitare le catene, soprattutto i Rica, perché sono fatti in serie e quasi sempre in piccoli centri che per noi italiani si rivelano un po’ squalliducci. In Norvegia i posti più belli sono isolati e se decidete di coccolarvi un po’ andate in un ClassicNorway (quasi tutti a Nord) o in un “historiske” hotel. Unica eccezione alla regola di evitare le catene: i Clarion, un po’ perché sono accoglienti un po’ perché hanno la cena inclusa nel prezzo della camera, che è sia comodo sia conveniente.

baggisA Bergen prendiamo l’auto e lì i miei ricordi si fanno confusi, perché se fino a quel punto ero innamorata della Norvegia una volta on the road la cotta si è trasformata in una passione di quelle che non capisci più niente. Alla prima casa con il tetto d’erba, olè, ero perduta, quando a Trondheim ho visto il negozio “Baggis” ho seriamente pensato di mettermi a cercare i miei veri genitori.

Nella strada tra Bergen e Trondheim abbiamo passato due giorni a Randabydga in un “cottage with magnificent view”, solo che non era vero che era “magnificent”. Era più come rinascere, ecco. Era di più, era un qualcosa che era assolutamente impossibile fare altro che non fosse guardare fuori, guardare il fiordo. Quando prima di arrivare pensi ai fiordi non hai tanto chiaro cosa vuol veramente dire, un fiordo. Una spaccatura tra montagne causata dal ghiaccio. Acqua illuminata dal sole, illuminata dalle nuvole, illuminata dalla pioggia. Pensavo che il mare aperto fosse la vista più bella, poi ho visto i fiordi.

Reidar, il gentilissimo pensionato padrone di casa, ci ha raccontato la sua vita da quando lui e la moglie hanno deciso di trasferirsi lì da Bergen e lì per la prima volta ho capito che cosa ci sfugge delle socialdemocrazie nordeuropee, e cioè che funzionano non solo perché sono pochi e ricchi, ma perché sono tutti estremamente indipendenti. Da noi stato sociale vuol dire mamma e papà che pensano a tutto, da loro vuol dire che ciascuno fa la sua parte, che in alcune zone, come quella in cui eravamo, vuol dire portarsi l’acqua in casa e, quando muore qualcuno, scavare la fossa. Vuol dire vecchi riti sociali, come dover andare a caccia per farsi accettare dalla comunità, dal Kommune, mentre noi abbiamo dimenticato che Comune vuol dire quella cosa lì, vuol dire persone che convivono in un posto.

fine del mondoOgni posto che lasciavamo pensavo “ecco, adesso il prossimo non potrà che deludermi” e ogni nuovo posto era più bello del precedente. La straordinaria solitudine di Sveggvika, sull’Atlantic Ocean Road, l’eleganza di Ålesund, cittadina distrutta dal fuoco e ricostruita più bella di prima, la vivacità di Trondheim, paradiso dei runner, le mille sorprese di Trollstigen e l’ultima, straordinaria cena nel posto forse più magico di tutti: il Vertshuset Hotel di Røros, una città mineraria scolpita nel tempo.

Siamo tornati in Italia ricchi di spirito e poveri in corone norvegesi, con un solo pensiero in testa: tornare l’anno dopo e l’anno dopo ancora, cosa che abbiamo fatto e che nei prossimi mesi vi racconterò.

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Pubblicato da Mafe De Baggis

Progetto e gestisco iniziative di comunicazione (relazioni pubbliche e copywriting). Aiuto le aziende, le testate e le persone a interpretare e vivere correttamente internet: un medium complesso e divertente

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