Giocare a scacchi nell’Asia del Nord

“Ogni tentativo di Cina e Corea del Sud di coordinarsi nello scegliere aspetti della storia passata e trasformarle in dispute internazionali è totalmente dannosa per costruire la pace e la prosperità nella regione”

Non mancano di chiarezza le espressioni di Yoshihide Suga, capo di gabinetto del Primo Ministro Giapponese Shinzo Abe. Ugualmente comprensibili sono le motivazioni che le hanno ispirate: gli esiti del viaggio di Xi Jin Ping in Corea del Sud. Per la prima volta un Presidente cinese si è recato a Seul senza prima farlo a Pyonyang, mentre la Presidente Park ancora non ha incontrato il premier nipponico.

Il protocollo – che in Asia conta ancor di più che in Occidente – ha certificato uno spostamento in atto che potrebbe preludere a clamorosi cambi di schieramento. Dalla guerra civile coreana (1950-53), la Cina è alleata con la Corea del Nord, dove aveva inviato centinaia di migliaia di combattenti. L’antagonismo con il Sud era automatico, nella coerenza della Guerra Fredda. La sua fine ha riavvicinato Seul e Pechino, anche se la protezione a Pyongyang è rimasta saldamente in mano alla Cina. Dopo il ristabilimento delle relazioni diplomatiche nel 1992, Cina e Corea del Sud hanno visto moltiplicarsi i loro rapporti economici. Gli investimenti dentro la Grande Muraglia sono esplosi, così come le importazioni e le esportazioni. Da 10 anni, la Cina è il primo partner commerciale della Corea del Sud. Oggi, nelle metropoli della costa cinese, il coreano è la lingua straniera più diffusa dopo l’inglese. La vista di Xi ha prodotto ulteriori risultati: sigla di accordi economici, creazione di prodotti finanziari in renminbi per il mercato sud-coreano, impegno di raggiungere un accordo di libero scambio. Non a caso, Xi ha guidato una delegazione di 250 imprenditori cinesi di alto livello, comprendente anche il famoso Jack Ma di Alibaba.

È sul versante politico tuttavia che si sono registrate le maggiori novità. Le dichiarazioni congiunte, improntate alla più completa identità di vedute, hanno trovato nel Giappone e nella Corea del Nord i bersagli immediati. Il primo (antagonista alla Cina e ora tiepido alleato della Corea del Sud) è accusato di non voler riconsiderare il passato, segnato dall’annessione della Corea, dall’invasione della Cina e dall’imposizione di regimi brutali nei 2 paesi, fino alla fine del secondo conflitto mondiale. Traspare con evidenza il sostegno offerto alla Cina nella disputa sugli isolotti contesi con il Giappone (Senkaku/Dyaoyu). La seconda (nemica della Corea del Sud e obbligatoriamente sotto protezione cinese) è ormai fonte di imbarazzo e ingestibilità da parte di Pechino. Senza sorprese, il comunicato congiunto di Seul richiede una denuclearizzazione della penisola coreana, intendendo che Pyongyang deve rinunciare alla sua minaccia nucleare. Di fronte a questa inedita convergenza tra Cina e Corea del Sud, Giappone e Corea del Nord hanno reagito analogamente, anche se in maniera ovviamente meno strutturata. Shinzo Abe ha deciso di ridurre alcune sanzioni verso la Corea del Nord e di facilitare le trattative per il rilascio di alcuni pescatori nipponici trattenuti da anni in Corea del Nord. Inoltre, ha avviato la revisione della costituzione pacifista che prevederà l’uso dell’esercito a fianco di alleati in operazioni militari. Anche qui è evidente l’intenzione di appoggiare gli Stati Uniti in caso di escalation nel Pacifico. Contemporaneamente la Corea del Nord ha lanciato un paio di missili, allo scopo di ribadire la sua determinazione e la sua pericolosità.

Non è un rivolgimento del passato, ma rompe il dogma della sua inviolabilità. Non si può parlare di nuove alleanze, quanto di inadeguatezza di quelle vecchie. Tokyo non avrebbe mai immaginato di condividere interessi con Pyonyang e sa bene che sarebbe un abbraccio mortale. Per questo la nuova intesa tra Seul e Pechino è forte, in crescita, tutt’altro che trascurabile. Infatti i segnali che invia emergono rumorosamente dal sottofondo. L’indirizzo è la Casa Bianca e l’invito è duplice: l’Asia ha bisogno di pace e prosperità, dunque è tempo di far rivivere i colloqui con la Corea del Nord per l’arsenale nucleare e di considerare che la difesa del Giappone non deve essere l’unica priorità. La Guerra Fredda è finita e il destino degli asiatici può essere negoziato – anche se ancora non deciso – dagli asiatici stessi.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

Una risposta a “Giocare a scacchi nell’Asia del Nord”

  1. Devo dire che mai titolo fu più chiarificatore della situazione in Estremo Oriente. Se non ho capito male Cina e Giappone stanno giocando a “tris”… Da questo scambio-incrocio di alleanze potrebbe nascere una maggiore distensione in quel versante con buona pace di chi paventava l’imminenza di una III Guerra Mondiale… è così Alberto Forchielli?

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