Giorni dispari – seconda parte

E’ quasi sera, il sole si sta ritirando mentre le ombre si allungano e sarebbe il caso di accendere la lampada, ma il Vice Commissario Alberto Patané preferisce starsene seduto in questa luce che muore senza rammarico.

Medita, con le foto delle due scene del crimine sparpagliate sul piano della scrivania. Le contempla a lungo, ed è sempre più persuaso di assistere ad una sorta di messa in scena, a partire dalla scelta dei luoghi.

Maria Fiore e il vecchio Renato Laurenti non si conoscevano, non vi è nulla che li colleghi l’uno all’altra, né nel presente né tanto meno nel passato. Sul corpo della donna non vi erano segni di violenza, a parte il collo spezzato per effetto dell’impiccagione e a casa sua non è stata trovata traccia di alcuna preparazione farmaceutica a base di flunitrazepam, tipo Rohypnol, Darkene o Narcozep, tutti farmaci sedativi e induttori del sonno benché i nomi evochino piuttosto un cupo oblio. Un ambiente accogliente ed ordinato, mobili vecchiotti ma di buona qualità, molti libri, la sua utilitaria parcheggiata in via Lessona. Nessuno (nemmeno la madre e la sorella arrivate da Palermo) ha saputo dire se in casa mancasse qualcosa. A parte le chiavi: la porta dell’appartamento era regolarmente chiusa, ma le chiavi sono scomparse.

Avevano parlato con l’anziana signora che abita sul medesimo pianerottolo dell’appartamento in via Lopez nel quale l’hanno ritrovata e che la mattina, accorgendosi che qualcuno aveva tolto l’asse di legno che sbarrava la porta, pensando a degli abusivi si era richiusa in casa ed aveva telefonato al Consigliere di zona, che tra l’altro conosceva bene, il quale poco dopo aveva telefonato in Commissariato; avevano sentito vicini, amici, parenti e colleghi: nulla, era una brava persona che pagava le tasse e non dava fastidio a nessuno. Anche Renato Laurenti non aveva indosso documenti né le chiavi di casa, che sono scomparse. Il bilocale nel quale viveva in via Tina Di Lorenzo è poco più grande di quello in cui è stato ritrovato cadavere e vi si respira un’aria di irrimediabile povertà che lotta per rimanere almeno dignitosa. Tra i farmaci che assumeva regolarmente non vi era alcun sonnifero. Non hanno cavato nulla di utile nemmeno dai pochi oggetti rinvenuti sulle scene dei due delitti: la corda, il bicchiere, il romanzo di Bloch ed il coltello sono tutti nuovi e talmente comuni che è impossibile risalire all’ acquirente. Naturalmente, nessuna impronta, neanche fosse passato un fantasma.[sociallocker id=11716].[/sociallocker]

Che conti in sospeso potevano mai avere questi due, e con chi? Potevano essere stati involontari testimoni di qualche misfatto? Ma tutti e due? Se così fosse stato, sarebbero stati eliminati con metodi molto più spicci e senza questo apparente allestimento di uno scenario. Certo che se l‘autore fosse un assassino seriale, non avrebbe bisogno di un movente oggettivo. La sua natura compulsiva lo condurrebbe a riprodurre uno schema e in effetti i due punti comuni sono la tipologia del luogo dell’abbandono, che secondo il medico legale e gli esperti della Scientifica coincide con il luogo dell’uccisione in entrambi i casi, e l’utilizzo del narcotico, grazie al quale le due vittime sono praticamente morte nel sonno. La cattiva notizia allora è rappresentata dalla seria probabilità che non si sarebbe limitato a due morti.

Benché non avesse bisogno di conferme sull’estraneità della malavita organizzata nei due crimini, il Vice Commissario la sera prima aveva ricevuto una singolare telefonata da Rodolfo Trifirò, avvocato che aveva sovente difeso (qualche volta con successo) diversi individui indifendibili, appartenenti ad una delle principali cosche che gestivano il malaffare nel quartiere fin dagli anni ’90. Dopo un lungo, noioso, fastidioso, irritante preambolo che il Patané a un certo punto aveva interrotto con inusuale malagrazia, l’untuoso personaggio gli aveva finalmente comunicato che non solo il clan dei Crisafulli che abitualmente rappresentava, ma anche quello dei Muscatello e dei Tatone ci tenevano a fargli sapere che con quelle due morti non avevano nulla a che fare, e che anzi si sarebbero prodigati per raccogliere eventuali informazioni attraverso i loro canali e, nel caso ne avessero trovate, avrebbero riferito attraverso la sua persona.

“…vede, Vice Commissario, la tranquillità nel quartiere è nell’interesse di tutti, è chiaro, no?”

“…chiarissimo, Avvocato. Porti i miei saluti a chi le pare”,

e l’altro, falsamente divertito, aveva latrato una risata gorgogliante. Erano tutti preoccupati. Non andava bene. O forse sì, dopotutto.

Quando apre piano l’uscio dell’ufficio dopo avere bussato senza ottenere risposta, ma d’altronde l’agente Lombardi gli ha appena confermato la presenza del Vice Commissario, l’ex cronista di nera Arturo Giacometti lo trova immerso in una calda penombra, i gomiti puntati sul bordo della scrivania, le mani giunte sotto il mento, gli occhi verdi e obliqui stretti a fessura: è immobile e apparentemente letargico, ma lui sa che non dorme. L’amico lo ha accolto con il solito sorriso un poco sghembo e si è alzato, ora gira per la stanza e si sgranchisce le lunghe gambe stropicciandosi i capelli ricci con le mani, sembra che con quel gesto lento e ripetitivo si voglia massaggiare i pensieri. Gli sta raccontando di questi due insoliti casi, ma il Giacometti è distratto dalle foto sulla scrivania, ed è con improvvisa concitazione che ad un tratto lo interrompe:

“…cribbio, Patané: ma questi sono i quadri del bulgaro!”

“…eh???”

“…massì, quello del vernissage in via dell’Orso al quale sono andato con Mariateresa! Mia nipote Paola si era occupata dell’organizzazione e aveva insistito perché ci andassi e portassi un po’ di gente, prevedendo probabilmente che sarebbero stati in quattro gatti, e tu non hai voluto venire, ti ricordi?”

“…”

“…comunque, quella sera io ho visto la rappresentazione fedele di questi delitti in due dipinti di quello sciagurato imbrattatele che pare sia entrato nelle grazie e nel letto, non so dirti in che ordine, della titolare della Galleria”.

Una messa in scena. O un quadro.

L’ex  cronista di nera inforca gli occhiali, prende il cellulare dalla tasca e chiama subito sua nipote. Due minuti dopo sottrae carta e penna dalla scrivania del Vice Commissario, che lo sta fissando con una faccia ancora indecisa tra lo stupore e l’eccitazione, e trascrive indirizzo e numero di telefono di  Stefka Todorov e anche di Madame Mafalda, al secolo Mafalda Mottadelli.

Congedato il Giacometti, scansa abilmente l’invito a cena di Mariateresa perché non vuole interrompere il corso dei suoi pensieri dopo la fondamentale rivelazione dell’ex cronista di nera, e rincasa disponendosi ad una notte insonne. Il divano, il buio, la birra, la musica. Qualche volta, tutti abbiamo bisogno di una messa in scena.

Su questa considerazione si addormenta a tradimento, e dorme come un infante fino al mattino, quando lo risveglia un raggio di sole che gli scalda la faccia. Ha la schiena indolenzita ma si sente riposato e lucido. Telefona a Rovelli e gli dice di andare a parlare con i tre volontari dell’Assistenza Sociale che si alternavano dal Laurenti per preparargli le medicine abituali e per portargli il pane e i giornali del giorno prima, perché il vecchio non poteva permettersi la spesa di un quotidiano e allora leggeva quelli che gli passavano loro. Lui invece si farà un giro in Brera e ci va direttamente, così con la scusa che è presto gironzola e curiosa, turista a casa propria. La versione mattutina e feriale del quartiere gli è molto più consona di quella notturna e festiva: meno gente in giro, ma più numerosi i residenti, nelle prime ore della giornata appare finalmente come un posto vero, con della gente che ci abita, che esce per andare a fare la spesa e per andare al lavoro. Per la verità, le donne con le sporte della spesa sono per lo più colf straniere, a parte qualche anziana dama.

E a proposito di dame, quella che lo accoglie sornionamente festosa non appena mette piede nella piccola galleria d’arte in via Dell’Orso è uno spettacolo che merita di essere visto. Gli viene incontro caracollando sul tacco 12 di un paio di  décolletés in vernice nera,  fasciata in uno spericolato abitino a manica lunga color tortora, la corta capigliatura biondo cenere scompigliata ad arte. Il volto liscio ha la fissità di certe antiche bambole in porcellana, e il sorriso si dispiega a fatica in quel turgore innaturale. La mano curatissima e appena segnata da qualche minuscola macchia sul dorso è adornata dall’unico gioiello che la donna indossa, ed è un enorme rubino ottagonale con cornice di diamanti che deve costare come un’auto di lusso. Madame Mafalda ha un certo innegabile stile, e non ha nemmeno realizzato che nonostante sia scontato che perderà la sua pervicace battaglia contro il tempo, avrebbe potuto contare sulla conservazione di quella rara dote.

L’esibizione del tesserino di riconoscimento dipinge un accenno di delusione sul suo volto troppo giovanile, ma è cosa appena percettibile anche a causa della staticità artificiosa dei suoi tratti, un tempo certamente di notevole bellezza. Ora si sta sforzando di ristabilire le distanze, non ha più alcun interesse per questo bel ragazzone dal volto che potrebbe essere stato scolpito da un allievo di Fidia, che peccato però che sia solo un poliziotto.

Quando le chiede di mostrargli le opere del giovane bulgaro della Barona perché potrebbero essere collegate a due omicidi avvenuti a Quarto Oggiaro, lo sforzo con il quale la donna cerca di non lasciar trapelare la sua subitanea preoccupazione è abbastanza evidente. Il Vice Commissario non ha bisogno di confrontare le foto dei delitti con quella sequela di desolate atrocità: individua subito le due tele, ed è difficile dire chi dei due autori abbia emulato l’altro.

La seconda visita della mattinata, dopo essersi congedato da una turbata Madame Mafalda, che sicuramente si precipiterà al telefono non appena la porta  si richiuderà alle sue spalle, è alla Barona, a casa di Stefka Todorov. La Barona non è così dissimile da Quarto Oggiaro, è un altro quartierone di periferia.  Sebbene la porzione limitrofa ai Navigli, fortemente influenzata dalla vicinanza con quella zona si sia ormai del tutto gentrificata, la parte più interna  verso viale Famagosta combatte quotidianamente per riscattare il rione dal degrado urbano e sociale che spiega la nomea che gli resta appiccicata addosso da molti decenni. In via Lope de Vega è evidente che la guerra fino ad oggi non è stata vittoriosa.

Il pittore abita in un casermone fatiscente dalla struttura ad alveare, altri moduli identici incombono a formare un quadrilatero. Qualche aiuola incolta, alcuni alberi che resistono fieri, la chioma verde svettante verso il cielo azzurro, perché anche nel cuore nero della Barona è una bella giornata a un passo dall’estate.

Si fa cinque piani di scale a piedi, il Vice Commissario, perché non gli garba di chiudersi nella stretta cabina dell’ascensore. Urina di gatto, cipolle, cavolo bollito, una qualche pietanza speziata: ad ogni piano l’effluvio cambia ma tende a mescolarsi con quello del piano precedente e con quello del piano successivo, in un’accozzaglia disarmonica.

Al secondo squillo di un campanello gracchiante la porta si apre ed è evidente che il ragazzo lo stava aspettando. E’ molto giovane, alto e gracile, le spalle strette e spioventi, la faccia lunga e stretta e i lisci capelli scuri che gli sfiorano le spalle, jeans neri e maglietta nera, le maniche corte scoprono le braccia scarne e pallide. Il suo aspetto suggerisce un quotidiano impegno nella valorizzazione della sua scarsa avvenenza ed esprime un’aura funerea che nelle intenzioni dovrebbe attribuirgli un fascino tenebroso, ma in realtà lo fa apparire solamente per quello che è: un povero disgraziato.

L’appartamento nel quale abita da solo, dopo che il padre se ne è tornato in Bulgaria, è piccolo e piuttosto sporco, un’anticamera stretta e buia, l’arredamento delle altre due stanze ridotto allo stretto indispensabile. Probabilmente dorme sul divano in tinello, perché quella che doveva essere la camera da letto è adibita a studio, dove giacciono in un caos metafisico tele, colori e pennelli. Nell’ambiente ristagna un odore pungente di acquaragia e di erba, che non è quella dei prati d’altronde così lontani ma non è nemmeno la scia che il Vice Commissario sta inseguendo.

Quando gli mostra le foto degli omicidi e gli fa notare la grande somiglianza con le sue due tele, negli occhi arrossati del ragazzo passa un lampo divertito:

“…grandioso. Una gran bella pubblicità, non crede?”

I rilievi e gli esami autoptici hanno stabilito che gli omicidi sono avvenuti la notte prima del ritrovamento, tra le due e le quattro, e Stefka Todorov afferma che si trovava a casa di Madame Mafalda: la quale sarà anche eccentrica e plastificata ma non è scema, e al telefono smentisce seccamente, senza un filo di afflizione nella voce ferma. La maschera di cinismo del ragazzo è fragile, e mostra già le prime incrinature. Nel pomeriggio il Vice Commissario torna in via Lope de Vega con un mandato di perquisizione insieme a Rovelli e Lo Russo: trovano un discreto quantitativo di fumo, ma nulla che possa collegarlo ai due omicidi.

Il Commissario Saronni spalanca la finestra dell’ufficio su una serata relativamente fresca e si frega le mani soddisfatto.

“Intanto lo incriminiamo per spaccio, con tutto quello che aveva in casa, e poi vedrete che finirà con confessare i due omicidi: è un debole, crollerà facilmente”.

“Il movente è un po’ fragile. Uccide due tizi a caso copiando due suoi quadri per farsi pubblicità? E perché venire ad ammazzare fino a Quarto Oggiaro?”

“…perché, perché…stiamo parlando di uno che non pare proprio tanto equilibrato, ma cinico certamente!”

“No”.

“No cosa?”

“Non è uno squilibrato, è solo uno sfigato che vagheggia di uscire dalla sua mediocrità. E non è lui l’assassino”.

Grugniti, cassetti sbattuti, occhi alzati al cielo, un discreto campionario di madonne e di santi.

“…ma perché lei deve sempre complicare le cose, anche quando sono semplici?”

“…perché quando appaiono troppo semplici, non lo sono quasi mai, Saronni”.

La litania del Saronni prosegue, anche quando il suo Vice è già uscito.

La mattina dopo Rovelli gli riferisce sui colloqui con i volontari, poi incominciano a visionare i filmati delle telecamere della Galleria di Via Dell’Orso. Hanno appena iniziato, sono le registrazioni della sera del vernissage e ad un tratto l’Ispettore esclama:

“…aspetta, Patané: quella è Maria Fiore che prima parla con il pittore e poi con un altro uomo…un momento, ma è uno dei volontari che assistevano il Laurenti!”

Poco dopo, le telecamere inquadrano i due che escono insieme dalla Galleria. Ma pensa che coincidenza. Peccato che le coincidenze non esistano.

Aldo Ratti, di anni cinquantacinque, residente in via Graf, separato dalla moglie da un anno. Nel tempo libero (e ne ha, lavorando all’Ufficio Postale in via Cogne) assiste gli anziani a domicilio coordinandosi con gli altri volontari dell’assistenza sociale. E’ ora di fargli visita.

Aldo Ratti è un uomo cortese e scialbo e nel suo appartamento lindo e luminoso regna un ordine maniacale. Appena entra insieme a Rovelli, il Vice Commissario è colpito dalla fragranza dolce e greve della quale l’ambiente è impregnato, e che riconosce subito, ed è un effluvio nel quale riesce a percepire lavanda, gelsomino, cannella e qualcos’altro ancora, deve essere un profumo o un dopobarba del quale evidentemente l’uomo fa un uso smodato. Risponde volentieri alle domande sul vecchio Laurenti, parla persino troppo. Il Vice Commissario lo lascia dire, lo ringrazia e lo saluta, incurante dell’evidente malumore di Rovelli, al quale dice di aspettare qualche ora e poi di convocarlo in Commissariato per l’indomani, senza fornirgli ulteriori spiegazioni.

E il pomeriggio seguente, dopo averlo fatto accomodare nel suo ufficio cambia immediatamente registro.

“Come mai non ci ha detto che conosceva la signora Maria Fiore?”

Non c’è preoccupazione nella voce del Ratti, ma addirittura una nota di condiscendenza:

“…che vuole, era una conoscenza così superficiale…ci siamo conosciuti ad un vernissage, abbiamo bevuto una cosa insieme un’altra sera, niente di più”.

“…già. Però è morta, uccisa, anche lei come il Laurenti, altro suo conoscente. Che sfortuna, eh? Ammazzati probabilmente senza nessun motivo da un poveraccio talmente privo di immaginazione da ridursi a copiare le farneticazioni morbose di un imbrattatele fumato”.

E’ livore furibondo quello che per qualche istante altera i lineamenti insignificanti di Aldo Ratti, e ora Rovelli ha capito quale è il piano.

Sono un uomo senza fantasia, ha detto: come se lei fosse in grado di ispirarne ancora. Eppure, c’è stato un tempo in cui le scrivevo lettere d’amore che leggeva con occhi luminosi e trepidanti, trovandole bellissime. Ma forse, quell’amore era appunto un frutto della fantasia che allora animava i miei pensieri, e che oggi giace sepolta e morente, da qualche parte. Ma io riuscirò a stanare la mia immaginazione, e lei capirà – troppo tardi – quanto si è sbagliata sul mio conto.

La sera dopo non devono aspettare molto per vederlo uscire di casa. Lo seguono con discrezione fino in via Lope de Vega, lo osservano esitare un istante e poi imboccare la scala che conduce all’alloggio di Stefka Todorov, il quale era stato avvisato. Immediatamente dopo il colloquio con il Ratti il Vice Commissario gli aveva detto di aspettarsi  una richiesta di incontro da parte del Ratti: che è puntualmente arrivata, quel pomeriggio.

Patané e Rovelli attendono cinque minuti, poi salgono veloci le scale e si appostano dietro l’uscio. Un quarto d’ora dopo, non appena sentono un grido soffocato e del trapestio, spalancano la porta e bloccano l’uomo che impugna ancora la siringa con la quale ha appena iniettato nel collo del ragazzo quello che poi risulterà essere flunitrazepam. In una tasca della giacca ha una Glock 17 caricata a proiettili calibro 9 parabellum. Negli occhi scuri di Aldo Ratti è ora affiorata tutta la sua divorante follia:

“…lei non ha capito niente!  La mia inventiva ha dato corpo alle ombre, e stasera avrei attuato il colpo di genio: andare oltre la raffigurazione, conducendo il gesto rappresentato alle sue estreme conseguenze…”

Il che significa che del volto lugubre del giovane bulgaro avrebbero dovuto raschiare i brandelli dalla parete di fronte allo specchio, nell’angusta anticamera. Invece, dormirà per un po’, ma si risveglierà.

A casa del Ratti troveranno alcune fiale di flunitrazepam che era riuscito a procurarsi su di un sito accedendo ad una rete sommersa, grazie all’aiuto di un inconsapevole e giovanissimo vicino di casa. Nel cassettino del cruscotto della sua auto saranno rinvenuti due mazzi di chiavi che risulteranno essere quelli degli appartamenti delle due precedenti vittime, forse due simbolici trofei ai quali se ne sarebbe aggiunto un terzo, mentre la Glock gli era stata procurata da un tossicodipendente che bazzicava gli uffici dell’Assistenza Sociale.

Finalmente è tutto chiaro e il Commissario Saronni è soddisfatto, ora può relazionare ai suoi superiori e rilassarsi, almeno per un po’.

Il Vice Commissario Patané non ha dormito molto ieri notte, non è riuscito a scrollarsi di dosso il fastidio dello sguardo demente di un uomo che ha ucciso due persone per dimostrare il suo potenziale creativo alla ex moglie, che lo aveva accusato di essere noioso e prevedibile. Vi è tuttavia un altro pensiero che si insinua strisciante e prende forma, fino ad ingenerare un sottile malessere. La scomparsa di Maria Fiore è stata denunciata due giorni dopo la sua morte da un datore di lavoro, poco più che un estraneo, quella del Laurenti un po’ prima solo perché era aiutato quotidianamente dai volontari dell’assistenza sociale, di nuovo poco più che estranei. Gli gira per la testa una parola, abbandono, mescolata ad altre: distrazione, incuria, indifferenza.

E’ mattina presto e il colore del cielo è incerto ma l’aria è leggera. Gira per il quartiere che si sta risvegliando, tapparelle che si alzano, da qualche finestra aperta al pianterreno arriva il profumo del caffè insieme al vigoroso gorgoglio della moka, il pianto di un bambino, una radio che si accende su un notiziario. L’estate è una stagione impudica che mette tutto in piazza.

Entra in una panetteria e compra dei cornetti ancora caldi: Mariateresa si sarà appena alzata, c’è tempo per fare colazione insieme. Più tardi telefonerà ai suoi, non li sente da qualche giorno ed è un po’ che non li vede, eppure abitano solo in via Padova, maledetto lavoro senza orari e senza tregua. Potrebbe cenare con loro stasera, e magari potrebbe portare anche Mariateresa, così sua madre la smetterebbe di crucciarsi immaginandolo solo.

Oggi non è giornata da starsene appartato, rinchiuso in un bozzolo e forse dovrebbe disfarsi di quell’involucro esclusivo, una volta per tutte, prima che sia troppo tardi: ma poi, chi può sapere cosa succederà domani.

https://youtu.be/CbeNRHtpgOk

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Pubblicato da Sonia Fantozzi

Spirito irrequieto alla costante ricerca dei perché e dei percome. Ha lasciato Milano,ma in cima a una collina ha scoperto che sarà milanese per sempre.

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