I confini del dibattito sull’immigrazione

immigrazione
Quando si parla di immigrazione risulta chiaro che qualcosa è cambiato nel profondo all’interno della nostra società e non mi pare che l’offerta politica si sia adeguata al mutato contesto.

Ragioniamo un passo alla volta.

Per alcuni, gli immigrati non lavorano, non si integrano con le nostre tradizioni e regole, e sono solo parassiti economici, persone che “rubano il lavoro” o fonte di pericolo.

E la risposta standard è:

“Non è vero! Sono utili per le pensioni, si integrano e non delinquono più degli altri”.

Ma quello che parte proprio male è la divisione iniziale in “noi” e “loro”, che nasce da un apparentemente innocuo senso di appartenenza nazionale, per poi esaltarlo fino a incendiarlo, trasformandolo in nazionalismo arido.

No alla tolleranza

Parlare di utilità, integrazione, parassitismo e pericolosità porta a polarizzare e a innalzare frontiere. Accettare di parlare di “tolleranza” conferma i pregiudizi sulla negatività dell’immigrazione e considera gli immigrati dei “diversi”.

C’è una visione del mondo, sempre più diffusa, secondo cui c’è la nazione in cui viviamo, e c’è l’esterno, tutto il resto. Gli immigrati spostandosi dall’esterno verso l’interno, rimangono estranei. Tutto ciò che ottengono (lavoro, diritti, risorse) sono doni da parte nostra.

Questa è una visione del mondo molto comune, rafforzata da come parliamo e ci comportiamo, perfino dalle mappe appese nelle nostre aule scolastiche. Il problema di questa visione del mondo è che non corrisponde al modo in cui il mondo funziona realmente.

I confini sono stati per secoli linee da valicare alla ricerca di espansione territoriale, per colonialismo o conquista. L’Italia è nazione da meno di due secoli. Nel nostro piccolo non so quanti di noi si sentano calabresi, ma “Italia” deriva da lì: gli “Italiani” (i Vituli) erano una popolazione che abitava a sud dell’odierna Catanzaro, e che adorava un vitello.

Italiani immigrati
“Molto peggio dei negri, più insopportabili dei polacchi” era la descrizione degli immigrati italiani in Louisiana nel 1891. (A proposito di odio razziale)

Ribaltiamo allora le domande iniziali, ponendoci domande diverse:

1) Visto che ciò che genera la ricchezza di un paese è il Lavoro, in che modo le politiche esistenti rendono più difficile per gli immigrati difendersi e più facile essere sfruttati, riducendo loro salari e diritti (rendendoli così lavoratori più “competitivi”)?

Quando i datori di lavoro sanno che possono tenere un immigrato sotto ricatto con la sua mancanza di documenti, ciò rende quel lavoratore ipersfruttabile, e questo ha un impatto non solo per i lavoratori immigrati, ma per tutti i lavoratori.[sociallocker].[/sociallocker]

2) Quale ruolo svolgono i paesi ricchi nel rendere difficile o impossibile per gli immigrati rimanere nei loro paesi d’origine? L’immigrazione non è una passeggiata di salute, ma per molti la possibilità di rimanere a casa non c’è, se non da sfruttati o da superstiti di guerra. Quali responsabilità hanno gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Cina – i principali produttori di CO² del mondo – nei confronti dei milioni di persone già sradicate dal riscaldamento globale?

Poi c’è la Disuguaglianza. Un argomento che tocca la sensibilità di moltissimi. I divari di reddito e di ricchezza si stanno allargando in tutto il mondo.

Ma la prima cosa da ricordare in merito è che ciò che determina se si è ricchi o poveri è innanzitutto dove si nasce.

Quindi le possibilità di una vita lunga, sana e appagante sono distribuite in maniera fortemente diseguale (e a nostro vantaggio), pensarci magari fa ridurre la rabbia per le rimesse di denaro che gli immigrati inviano alle loro famiglie d’origine.

Pongo queste domande, invece che quelle sull’utilità, l’integrazione o la pericolosità, e spesso vengo “accusato” di ragionare così perché

“evidentemente stai bene economicamente”

Curioso, se ci pensate bene: significa che a voler avere un approccio conservatore sono coloro che ritengono di stare male economicamente, il che è piuttosto bizzarro. Dovrebbero desiderare il cambiamento, non la conservazione, se pensano di passarsela male.

D’altro canto bisognerebbe forse anche chiedersi se chi “sta bene” sia “più aperto” o se piuttosto il punto non sia che avere una mentalità aperta finisca per migliorare le proprie condizioni…

[tweetthis]Chi “sta bene” è naturalmente più aperto, o essere aperti “produce” benessere?[/tweetthis]

A meno che, intimamente, sappiano benissimo di essere dei privilegiati in questo mondo, e ragionino così perché vogliono difendere i loro privilegi. Adottano la narrativa da “terzo Stato” ma in realtà stanno “a Versailles” e “dispensano brioches

Quelle domande, invece di parlare di tolleranza, parlano di giustizia, senza un presupposto nazionalista. Non è una sfida da poco accettare e allargare le nostre frontiere (anche mentali). Serve inventiva e coraggio.

I confini del dibattito sull’immigrazione possono essere spostati.

Sta a noi farlo.

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Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

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