Il barman del Rose’s Club

« Tutto era cominciato un mattino d’inverno, il 17 febbraio 1992, quando, con un mandato d’arresto, una vettura dal lampeggiante azzurro si era fermata al Pio Albergo Trivulzio e prelevava il presidente, l’ingegner Mario Chiesa, esponente del Partito Socialista Italiano con l’ambizione di diventare sindaco di Milano… » (Enzo Biagi, “Era ieri”)

Fu così che nell’immaginario collettivo la città che fino al giorno prima era “la Milano da bere” divenne “Tangentopoli”.

 

Sono le 22,30. Il barman si abbottona la giacca amaranto e si sistema il papillon nero controllandosi nel grande specchio che fa da sfondo al bar, tra gli scaffali con le bottiglie dei liquori.

Il Rose’s Club, discoteca milanese in Galleria San Babila proprio dietro alla bella Casa Veneziana che ospita lo storico bar Gin Rosa, ha appena aperto ma a quest’ora entreranno solo i provinciali e gli sfigati. I clienti abituali, che ben raffigurano il volto di quella parte di Milano aggressiva, rampante e cinica che ha reagito con un’alzata di spalle spazientita allo scandalo che sta suscitando l’inchiesta “Mani pulite”, non arriveranno prima di mezzanotte.

Il barman è un uomo distinto sulla cinquantina che vive in un piccolo appartamento a Lambrate, proprio di fianco alla vecchia stazione: si è trasferito lì da quando sua moglie, molti anni prima, lo aveva lasciato solo nella casa di viale Romagna nella quale in cinque anni passione e sentimenti si erano   sfilacciati  finché dell’antica complicità non era rimasto più nulla..

Gianni aveva conosciuto Kate quando faceva il cameriere sulle navi da crociera e si era subito innamorato di quella bella collega vivace e curiosa che aveva lasciato il Texas per girare il mondo via mare.

Avvertendo il bisogno di metter radici da qualche parte, l’aveva convinta a lasciare il lavoro sulle navi, si erano stabiliti a Milano e lui aveva incominciato a fare il barman al Rose’s.

Aveva commesso l’errore di volerla intrappolare, come si faceva con le lucciole, imprigionate in un bicchiere capovolto per ammirarne la luce pulsante: e lei a poco a poco si era spenta.

Un bel giorno sul suo orizzonte era comparso un americano che addestrava cavalli ed era sotto contratto in un grosso centro ippico in Italia per qualche mese, ed aveva deciso di seguirlo nel suo ranch in Montana.

Gianni non se ne era stupito, perché aveva visto Kate estraniarsi di giorno in giorno, e non aveva saputo fare nulla per fermarla. Dandole le spalle mentre si vestiva per andare al Rose’s, era rimasto a guardare dallo specchio del comò la sua tristezza divenire irrimediabile.

Ciò a cui era meno preparato dopo l’abbandono di Kate era l’assoluto disinteresse all’oggi e al domani che si accompagnava alla sua solitudine e l’apatia sentimentale che a poco a poco lo aveva avviluppato come una robusta ragnatela.

Allora aveva lasciato quella casa dove non riusciva a trovare ricordi, ma solo silenzi, e aveva continuato ad annotare distrattamente frammenti di vita degli altri dallo specchio dietro al banco del bar del Rose’s.

Mentre i primi clienti  scendono dalla scalinata e si dirigono verso il bar, Gianni pensa a suo nonno, che era stato cameriere al Clubino Dadi in via Degli Omenoni: di sicuro, al nonno non era mai capitato di raccogliere le confidenze dei gentiluomini che frequentavano il prestigioso Club.

A lui invece capita spesso di ascoltare gli sfoghi sinceri o gli sproloqui autocelebrativi degli avventori più affezionati, ma sa perfettamente quale è il suo ruolo: che siano sobri o meno, coloro che lo eleggono a momentaneo confidente parlano in realtà con lo specchio alle sue spalle, e dunque non si aspettano commenti di sorta.

Quel che non dicono, Gianni lo intuisce osservandoli dal medesimo specchio, tra un Negroni, un cocktail analcolico e un gin-tonic.

Il venerdì al Rose’s è di gran lunga la serata migliore: poca gente dalla provincia e grande concentrazione di yuppies che al termine di una settimana impegnativa hanno voglia di moderata trasgressione, e non fanno nulla per nasconderlo. Il barman pensa che sembrano animali che si scrutano, si fiutano e qualche volta si scelgono per una notte: la sera dopo probabilmente si incontreranno e faranno finta di niente.

Predatori e prede, ma forse in fondo sono tutti ugualmente predatori: si usano consapevolmente, niente di più che uno scambio amichevole di fluidi corporei, fumo di sigarette e parole calibrate per non uscire dal personaggio che hanno scelto di interpretare.

“scusi, potrei avere uno screwdriver?”

La voce che lo distoglie dai suoi pensieri appartiene ad una donna che è sicuro di non avere mai visto nel locale.

Ha una figura morbida che l’austero tailleur nero non riesce a dissimulare più di tanto, potrebbe essere sulla quarantina, ha folti capelli scuri che incorniciano un volto dai lineamenti decisi e larghi occhi chiarissimi, e non c’entra niente con la fauna circostante.

Mentre le serve il suo drink, il barman si accorge che dall’altro lato del banco Renato non le toglie gli occhi di dosso.

Renato è un trentenne che lavora troppo, fuma troppo e beve troppo, ha un indiscutibile fascino un po’ spiegazzato ed è un conversatore intelligente.

Una volta ha confidato a Gianni di avere l’ansia di arrivare in fretta da qualche parte, con ogni mezzo, ma ancora non ha capito dove: di sicuro, lontano da una famiglia di origini modeste che lo imbarazza e che ritiene inadeguata.

Dallo specchio del bar, il barman osserva Renato avvicinare la donna, presentarsi e sedersi sullo sgabello accanto al suo. Nel corso della serata, li vedrà parlare con crescente confidenza, e poi noterà la mano di Renato che percorre lentamente la schiena di lei, con il gesto carezzevole e lieve con il quale si vuole compiacere un gatto. Alla fine della serata i due lasciano il locale insieme.

In maniera assolutamente irragionevole, Gianni ne è deluso e disturbato.

La sera dopo a mezzanotte il locale è al completo, come ogni sabato, e i buttafuori all’ingresso in cima alla scala sono impegnati nel non facile compito di impedire ulteriori ingressi.

Lei è seduta da una mezz’ora nell’angolo ad una estremità del banco. Gianni le si avvicina:

“c’è sempre troppa confusione il sabato. Ti porto qualcosa?”

“Sì, vedo. Uno screwdriver, grazie”.

Il barman torna poco dopo con il drink:

“il sabato mancano molti clienti abituali: è la serata delle fidanzate e delle mogli”.

Lei lo guarda con un accenno di sopracciglio alzato, lui si sente immediatamente un incommensurabile meschino. Così, si allontana velocemente per non rivelare il suo imbarazzo e ad un certo punto si accorge che è sparita.

E’ ormai quasi estate, e mentre il Partito Socialista affonda nella palude dell’inchiesta Mani Pulite, ma non da solo, le notti milanesi ed il Rose’s continuano ad essere popolati dai soliti personaggi.

Dopo un’assenza di qualche settimana, un giovedì sera la donna dagli occhi chiari è tornata. Quando l’ha notata, il barman ha sentito il suo cuore abulico fare una piccola capriola.

Lei ha incominciato a frequentare il locale il giovedì e il venerdì, e qualche volta anche la domenica. Osservandola con discrezione dallo specchio, Gianni l’ha vista conversare e sorridere con molti uomini, ma l’ha sempre vista andarsene da sola.

Ormai la saluta con il tratto che riserva ai clienti abituali che gli sono simpatici, e le serve il solito screwdriver prima che lei glielo chieda, finché una sera lei dice:

“prima che tu mi chiami Miss Screwdriver: mi chiamo Valeria”.

E gli porge  una mano piccola e forte, guardandolo dritto in faccia con quegli occhi inquietanti. Ha preso l’abitudine di sedere sullo sgabello nella piccola nicchia all’estremità del banco; quando è libero e vede che lei è sola, Gianni le si avvicina e parlano.

A poco a poco, le loro conversazioni si sono fatte via via più intime: Gianni le ha parlato della sua Kate che lo ha lasciato per un uomo di cavalli, e mentre gliene parlava gli pareva finalmente la storia di un altro, che si può narrare senza soffrirne.

Valeria gli ha raccontato di essersi sposata giovanissima con un compagno di università e della figlia nata che lei aveva appena vent’anni, del suo divorzio e del suo impegno forsennato nella carriera. Ora, a 43 anni, redattrice di moda in una importante rivista femminile, da quando la figlia era andata a vivere in Inghilterra si era ritrovata completamente sola.

Così aveva deciso di frequentare qualche locale tra quelli più in voga, per cercare di conoscere gente al di fuori dell’ambito lavorativo.

“in fondo, cerco solo di sfuggire per qualche ora al silenzio di una casa vuota: ma gli incontri che ho fatto qui finora hanno sortito l’effetto di farmi sentire ancora più sola. Non è la fugacità a ferirmi, ma la superficialità, la mancanza di interesse ad entrare in contatto con l’altro, anche se per poco, in modo sincero”.

Il barman capisce molto bene il senso di quelle parole, e mentre la ascolta, si perde nella malinconia del suo sguardo.

Ai primi di agosto Milano si svuota. Tra i clienti del Rose’s, chi può lascia la città per qualche luogo di villeggiatura, chi non può gira comunque al largo per far finta di non esserci.

E’ venerdì ma è una serata fiacca, Valeria e Gianni hanno chiacchierato a lungo indisturbati: domani lei partirà per l’Argentario, dove trascorrerà due settimane in una vecchia casa di famiglia insieme ai genitori, al fratello e alla sua giovane compagna.

Poco dopo le due il locale è in fase di chiusura. Cercando di dominare una lieve alterazione del respiro, Gianni si avvicina a Valeria e le dice:

“hai l’auto qui vicino?”

“no. Preferisco muovermi in taxi, la notte”.

“….se ti accompagnassi?”

Lei lo guarda con un’ombra di sorriso nell’azzurro degli occhi, o almeno così pare al barman.

“va bene”.

Camminano affiancati in Galleria San Babila, dove una leggera frescura fatica a dissipare il calore soffocante del giorno.

Nel tragitto in auto parlano del più e del meno evitando qualsiasi accenno personale,  come se all’improvviso sentissero la necessità di ristabilire una certa distanza. Non ci impiegano molto ad arrivare in Corso Sempione; Valeria abita proprio di fianco agli Studi Rai.

Il barman spegne il motore e guarda la donna dagli occhi troppo chiari.  Lei dice:

“puoi parcheggiare qui”

e scende, incamminandosi verso il portone, poiché in realtà tutto è già deciso.

L’appartamento è ampio ed elegante, pieno di quadri e di oggetti di design, accogliente e vissuto.  Gianni pensa al suo piccolo alloggio a Lambrate, che gli è rimasto estraneo per tanti anni e che non si è mai sforzato di far diventare “casa”, e prova vergogna per la sua sciatteria.

Mentre Valeria avvicina le labbra alle sue, pensa che è ora di voltare le spalle allo specchio per rimettersi in cammino.

E’ l’alba, ma Milano ha il respiro già caldo e l’orizzonte è velato da una patina sporca.

Osservando di sottecchi Valeria che sorseggia in silenzio il suo caffè, Gianni si accorge che ora ha voglia di andare oltre quell’orizzonte e di vedere altri luoghi, ma con qualcuno con cui poi tornare a casa.

Valeria guarda la camicia di Gianni diligentemente appoggiata alla spalliera di una sedia, e realizza quanto le manchi questa condivisione di piccoli gesti quotidiani. Poco dopo, è pronta per partire, ma quasi non ne ha più voglia.

Sul marciapiede deserto, il barman e la donna dagli occhi chiari si abbracciano senza dire nulla. Non si scambiano promesse che ancora non sanno se vorranno mantenere, ma quando si volgono le spalle ognuno dei due sente la mancanza dell’altro.

Milano in agosto si acquieta e si gode il momentaneo abbandono dei suoi innumerevoli amanti: ha bisogno di questo breve tempo di sospensione perché continuino ad amarla. Si concede agli sguardi dei turisti stranieri che l’ammirano senza conoscerla, e intanto attende il loro ritorno.

 

 

 

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Pubblicato da Sonia Fantozzi

Spirito irrequieto alla costante ricerca dei perché e dei percome. Ha lasciato Milano,ma in cima a una collina ha scoperto che sarà milanese per sempre.

12 Risposte a “Il barman del Rose’s Club”

    1. CHI HA SCRITTO QUESTO ARTICOLO DI MERDA ,IO SONO IL FIGLIO E TUTTO QUELLO CHE AVETE SCRITO SONO CAGATE

      FABIANO FRANCHINI

      1. Riporto la risposta dell’autrice, Sonia Fantozzi: “Il mio barman è personaggio di pura fantasia; di vero vi è solamente la mia frequentazione del locale negli anni 88 -90”

      2. ciao fabiano per caso o trovato questo articolo sul roses e tuo padre ,\sono attilio il cameriere con vannino e mario, conservo ancora la dedica di tuo padre salutalo per favore, saluti dalla florida
        attilio

  1. Ciao Fabiamo ho frequentato x diversi anni il locale facevo parte dell’ arredamento, tuo padre era un grande professionista simpatico non ho capito se ancora è in vita ma comunque era o è un grande . Pensa ho rivisto circa 20 anni fa La Barbera a MONTECARLO bei ricordi era la Milano da bere

    1. Penso che ci conosciamo, frequentavo il locale con Grazia almeno una volta alla settimana in quel periodo… bellissimi ricordi con Barbera padre, Barman e personale di altissimo livello… manca davvero un locale cosi oggi, ricordo ancora il tessuto dell’arredamento disegnato da Oleg Cassini, con rose stilizzate…

    2. Jack Franchini un grand gentleman, barman di professione, grande personalita del mondo del high-bartendering-class. Mi ha prelevato del Norman’s Club di Portoferraio e mi ha portato al Rose’s quel lontano sept ’86. Rispetto con Franco la Barbera e tutto il team

  2. ho frequentato il locale negli anni 1992 -1993 , c’era bella gente ma anche arrampicatori sociali. Mi ricordo di Enrico, il direttore di sala. Avevo con i miei amici tavolino fisso e nella primavera ’93 conobbi Hagler e Key la moglie. Diventammo amici e ci frequentammo per qualche anno. Di Barbera non posso dire sia stato un grande.

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