Il Lato Soft del Fiscal Compact (parte I)

Dopo aver preso in esame il reale costo per l’Italia alla partecipazione dei cosiddetti fondi salva Stati (EFSF e poi ESM), occorre ora valutare quale incidenza abbia, per il Paese, la previsione del Fiscal Compact relativa alla necessità che l’Italia rientri nel parametro di indebitamento massimo previsto per

tutti i paesi, cioè il 60% in rapporto al PIL (limite peraltro già contenuto nel Trattato di Maastricht).
Se, cioè, sia concretamente obbligatorio per l’Italia ridurre di 1/20 ogni anno il suo debito complessivo (quindi, circa 50 miliardi l’anno, assumendo per comodità di calcolo un debito complessivo di ca. 2000 miliardi ed un eccesso di debito di ca. 1000 miliardi), con ciò esponendosi a pesanti tagli di spesa o alla necessità di aggravare ulteriormente la già elevatissima pressione fiscale.

In realtà, tale previsione, per come è stata formulata, è più di natura programmatica che precettiva e può ritenersi che sia ben difficile che il mancato assolvimento dell’”obbligo” in questione possa far maturare a carico del nostro Paese una sanzione per eccesso di debito.

Quanto sopra sia perché, in visione prospettica, l’eccesso di indebitamento potrà essere sufficientemente contenuto dall’obbligo di pareggio di bilancio (per effetto del quale i flussi debitori vengono limitati all’origine) sia perché è la stessa norma del trattato a subordinare la sanzione per eccesso di indebitamento alla valutazione negativa di fattori che, nel caso dell’Italia, ad oggi dovrebbero essere valutati positivamente.

Mentre, infatti, la sanzione per eccesso di disavanzo (la famosa soglia del 3% di deficit sul PIL) deriva dal semplice esame del risultato di amministrazione e ha, quindi, quasi natura automatica (pur essendo comunque sempre rimessa alla valutazione del Consiglio), quella per eccesso di debito dipende dal prudente apprezzamento di numerosi fattori .

L’art. 4 del cd. “Fiscal Compact” stabilisce infatti che in caso di debito eccessivo “la parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio di un ventesimo all’anno come parametro di riferimento, secondo il disposto dell’art. 2 del regolamento (CE) n. 1467/97 del Consiglio…come modificato dal regolamento (UE) n. 1177/2011 del Consiglio”.

Il comma 3 di tale articolo 2 del regolamento 1467/97, prevede che la relazione sul rispetto del criterio del debito preparata dalla Commissione europea ai sensi dell’art. 126, paragrafo 3, del TFUE, deve riflettere:

“a) l’evoluzione della posizione economica a medio termine, in particolare la crescita potenziale, compresi i diversi contributi del lavoro, dell’accumulo dei capitali e della produttività totale dei fattori, l’evoluzione congiunturale e la posizione in termini di risparmi netti del settore privato;

b) l’evoluzione delle posizioni di bilancio a medio termine, compresi in particolare, lo stato di avvicinamento all’obiettivo di bilancio a medio termine, il livello del saldo primario e l’evoluzione della spesa primaria corrente e in conto capitale, l’attuazione di politiche nel contesto della prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi, l’attuazione di politiche nel contesto di una strategia di crescita comune dell’Unione e la qualità complessiva delle finanze pubbliche, in particolar modo l’efficacia dei quadri di bilancio nazionali;

c) gli sviluppi nella posizione del debito pubblico a medio termine, la sua dinamica e sostenibilità, compresi in particolare i fattori di rischio, incluse la struttura delle scadenze del debito e le valute in cui è denominato, l’aggiustamento stock-flussi e la relativa composizione, le riserve accantonate e gli altri attivi finanziari, le garanzie, in particolare collegate al settore finanziario, e le eventuali passività implicite legate all’invecchiamento della popolazione e al debito privato, nella misura in cui possono rappresentare potenziali passività implicite per le amministrazioni pubbliche”.

Sempre a norma di tale articolo, inoltre, La Commissione deve prestare particolare attenzione “ai contributi finanziari a sostegno della solidarietà internazionale e della realizzazione degli obiettivi delle politiche dell’Unione, al debito sostenuto sotto forma di sostegno bilaterale e multilaterale tra gli Stati membri nell’ambito della salvaguardia della stabilità finanziaria e al debito relativo alle operazioni di stabilizzazione finanziaria durante gravi turbolenze finanziarie”.

La Commissione, infine, deve prendere in considerazione il sistema pensionistico, “segnatamente se promuove la sostenibilità a lungo termine senza d’altra parte aumentare i rischi per la posizione di bilancio a medio termine”.

Al riguardo, deve rilevarsi, al di là di valutazioni di merito sulla situazione complessiva del paese, che l’Italia chiude da anni il bilancio con un discreto avanzo primario, ha un’ottima posizione in termini di risparmio netto privato, ha correttamente implementato la normativa sul pareggio di bilancio, ha fornito e fornisce un notevole contributo agli obiettivi delle politiche dell’Unione anche con riferimento ai sostegni bilaterali e multilaterali ed ha adottato una pesante riforma delle pensioni, per effetto della quale la spesa pensionistica dovrebbe progressivamente riequilibrarsi in termini di incidenza sul PIL. (fine prima parte)

Questo post è stato pubblicato in contemporanea anche su Ideas Have Consequences

Per leggere la Parte II clicca qui

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da roundmidnight

Occupa da anni, in modo semiserio, un posto in un consiglio di amministrazione all'interno di un "gruppo" internazionale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.