Per comprendere il perché di una possibile perdita aziendale, bisogna riavvolgere il nastro degli eventi in Cina. Alcune aziende hanno fissato il prezzo di vendita delle loro azioni ad un livello basso. Le attese degli investitori nazionali lasciavano immaginare degli Ipo (Initial Public Offering) più vantaggiosi. Si sarebbe potuto dunque fissare dei prezzi iniziali più alti di quanto effettivamente fatto. La raccolta di conseguenza sarebbe stata più cospicua. Eppure queste aziende hanno tutte scelto l’opzione contraria, teoricamente penalizzando i propri incassi. In realtà le direttive della China Securities Regulatory Commission (CSRC, l’equivalente della Consob in Italia o della Sec negli Stati Uniti) hanno imposto questa auto limitazione con una serie di regole che hanno suggerito più che imposto le decisioni. Il potente organo di controllo ha infatti diramato delle disposizioni apparentemente neutre che tuttavia nell’opacità finanziaria del sistema cinese hanno avuto un effetto dirompente. Da una parte gli investitori hanno risorse da investire, dall’altra temono che le regole imposte siano effettivamente cogenti e dunque limitino le possibilità di guadagni facili. Hanno per questo bisogno – così come le aziende che lanciano l’Ipo – di prezzi dei titoli più attraenti per garantire il rischio. In effetti, la CSRC ha di nuovo consentito il lancio delle Ipo solo dopo che nuove regole erano state approvate. Dopo una sospensione di 14 mesi, l’ultimo giorno del 2012 è stata data luce verde alle prime Ipo del nuovo corso. Circa 700 aziende sono in lista d’attesa, ma soltanto 50 prevedibilmente otterranno l’autorizzazione. L’ente di controllo teme l’afflusso di denaro di provenienza incontrollata, che possa determinare guadagni veloci minando allo stesso tempo la credibilità – fattore irrinunciabile – dei mercati. Evidentemente non è sbiadito il ricordo del peggiore tonfo mondiale negli ultimi 3 anni e il rimpianto del 2010, quando la Cina era il più grande raccoglitore di fondi per Ipo con 71 miliardi di dollari. Ora la CSRC ha imposto che le scritture contabili delle aziende devono essere più estese e trasparenti, le informazioni più accurate. Ha inoltre aumentato le responsabilità penali di chi lancia l’Ipo. Il tentativo mira evidentemente a ripristinare uno strumento aziendale, tentando di esercitarne un controllo sulle irregolarità che finora lo hanno contraddistinto. Il sistema cinese ha bisogno di metter in circolo risorse finanziarie in tempi di ristrettezze monetarie, senza che questo flusso di denaro crei profitti privati danneggiando i conti pubblici e la fiducia nel paese. La CRSC, rilanciando le Ipo, cerca di compensare la politica della Banca Centrale, tesa a un atterraggio morbido dell’economia, evitando l’inflazione e le bolle speculative. Per farlo deve tornare indietro di un anno, quando ha deciso la sospensione delle Ipo. Era una manovra per prendere tempo, di fronte ad una situazione rischiosa. La strada politicamente era stata aperta da Xi Jin Ping che, da poco eletto Segretario del Pcc, aveva auspicato la lotta alle inefficienze, ai vicoli politici nell’economia, alla corruzione. Il Terzo Plenum del Comitato Centrale lo scorso Novembre ha sancito il ruolo del mercato ed ha dato dunque la forza di ripristinare le Ipo, basate su regolamenti più trasparenti. Come sempre, è la politica a dettare le decisioni in Cina. Tuttavia, questa volta il percorso potrebbe risultare più accidentato. Imporre rigidità e trasparenza potrebbe far vacillare un sistema che si è retto su altri bastioni. Mettere in moto meccanismi certamente lodabili, potrebbe comunque condurre nuovamente il mercato a non essere mercato bensì strumento della politica rendendo nullo lo sforzo di riforma defli ulti i 14 mesi. È questo probabilmente il prezzo da pagare per ambire a una normalità finora preclusa dal monolitismo del sistema. Ne risulta una congiuntura confusa che spesso conduce all’immobilismo o al timore di muoversi in maniera scomposta rispetto alla tradizione. Ecco perché le Ipo si affermano con il contagocce e perché le aziende offrono le loro azioni a un prezzo più basso di quello che potrebbero ottenere, proprio per paura di controlli ai quali non erano abituati e che non sono negli altri mercati la pratica quotidiana, ma vengono decisi dal mercato che rimane l’arbitro massimo lasciando la politica ai margini.