La lunga scalata cinese nell’FMI

Nel 1979 la Cina ha avviato un processo di riforma del proprio sistema economico. Adottando un approccio graduale nella sua apertura alle economie estere, è riuscita negli anni a diventare la seconda economia mondiale. Dopo un tale successo, oggi la Cina ha l’occasione di sfidare l’economia più grande al mondo, gli Stati Uniti. Nel 2015 il governo cinese ha cercato di fare un ulteriore passo in avanti, impegnandosi ad entrare a far parte del paniere su cui si calcolano i Diritti Speciali di Prelievo (DSP), e ad includere le azioni del mercato azionario cinese nell’Indice dei Mercati Emergenti (Emerging Market Index ) fornito da MSCI.

Il governo guidato dall’attuale Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping ha cercato di elevare a livello mondiale lo status dei mercati cinesi, e vorrebbe far diventare lo yuan una valuta sempre più internazionale. La scommessa della Cina per ottenere maggiore influenza nel sistema monetario internazionale è stata lanciata nel momento di picco della crisi finanziaria, nel marzo del 2009. Approfittando dell’instabilità del contesto macroeconomico, il governatore della banca centrale cinese Zhou Xiaochuan aveva colto l’occasione per sostenere che la crisi finanziaria globale aveva a suo tempo messo in evidenza la vulnerabilità di un eccessivo affidamento sul dollaro. Dopo alcuni anni di piani economici e strategici attivati dal governo cinese, nel marzo 2015, il Premier cinese Li Keqiang ha chiesto al Fondo Monetario Internazionale (FMI) di includere lo yuan nel sistema dei Diritti Speciali di Prelievo (DSP).

I DSP sono una tipologia di riserva internazionale creata dal FMI nel 1969 per integrare le riserve ufficiali dei suoi paesi membri. Il valore dei DSP è basato su un paniere di quattro principali valute internazionali, costituito da euro, yen giapponese, sterlina inglese e dollaro. I DSP possono essere scambiati per valute liberamente utilizzabili. La composizione del paniere è soggetta a revisione da parte del Comitato Esecutivo ogni cinque anni, o anche prima se il FMI ritiene che cambiamenti nel contesto economico giustificano una revisione anticipata. La revisione viene fatta col fine di garantire che nel calcolo dei DSP sia riflessa l’importanza delle diverse valute nel commercio mondiale e dei sistemi finanziari. La prossima revisione è attualmente prevista per la fine del 2015. Le modifiche dovrebbero entrare in vigore nel gennaio 2016, ma sarà necessario prima raggiungere una maggioranza del 70 o 85 percento da parte del Consiglio dei Governatori del FMI. Il FMI ha recentemente ufficializzato la richiesta ricevuta dalle autorità cinesi, e i funzionari del FMI hanno dichiarato che lavoreranno a stretto contatto con le autorità cinesi per includere i renmbimbi nel paniere di valute internazionali utilizzate per calcolare il valore dei DSP. I vantaggi sarebbero per Pechino non solamente di tipo finanziario. Infatti l’inclusione sarebbe un forte impulso per le sue ambizioni geopolitiche, e varrebbe come riconoscimento globale dell’innalzamento del suo status. Potrebbe essere un momento determinante per l’internazionalizzazione del renminbi. Tuttavia, la richiesta inviata dal Premier cinese è necessaria ma non sufficiente per accedere al paniere dei DSP. Si tratta infatti del primo passo di un processo in cui la Cina è chiamata a soddisfare le condizioni imposte dal FMI. I requisiti stringenti per l’inclusione della valuta nel paniere dei DSP servono come garanzia di qualità per gli utenti globali, volendo accertare che la valuta in questione è in effetti molto liquida e stabile come riserva di valore. I primi tre requisiti sono: il volume delle transazioni nei mercati valutari; il volume delle transazioni sui mercati dei derivati in valuta estera e l’uso della moneta da parte delle banche centrali come riserva.

Fintanto che il renminbi è ampiamente utilizzato, il FMI potrebbe determinare che questi tre criteri sono soddisfatti. L’ampio uso della moneta cinese è dovuto alle riforme per il suo impiego che sono state attuate nel corso del tempo. Per esempio, è stato reso possibile per gli investitori stranieri lo scambio di azioni quotate alla borsa di Shanghai attraverso un collegamento con Hong Kong, ed è stato inoltre garantito un maggiore accesso a fondi esteri per l’acquisto di azioni ed obbligazioni cinesi. Nel mese di maggio, i legislatori cinesi e le rispettive controparti di Hong Kong hanno stabilito che le vendite oltre confine di fondi possono partire dal 1 luglio con una quota iniziale di 300 miliardi di yuan (48 miliardi di dollari) in entrambi le direzioni. Solo la settimana scorsa la Banca Popolare Cinese ha annunciato che le banche centrali estere e i fondi sovrani potranno investire in azioni ed obbligazioni in Cina, senza preventiva autorizzazione. Tornando ai requisiti imposti dal FMI, il quarto requisito richiede che i tassi di interesse siano basati sul mercato. Questo sarà molto più difficile da rispettare. Tuttavia, nel marzo del 2015 il governatore della banca centrale cinese ha detto che la Cina potrebbe eliminare la copertura amministrativa sul tasso dei depositi bancari, che è l’ultimo tasso di interesse in Cina soggetto al controllo del governo. Questa ulteriore apertura della Cina al resto del mondo potrebbe essere proprio ciò di cui il FMI necessita per aprire le porte del “club dei DSP” allo yuan. Ad oggi non è affatto chiaro se il renminbi potrà soddisfare il principio generale del FMI secondo cui, una valuta da includere nel paniere dei DSP deve essere “liberamente utilizzabile”. Anche da una lettura dei documenti ufficiali messi a disposizione dal FMI si percepisce però una buona dose di soggettività nell’interpretazione di questo principio, e forse proprio per questa soggettività la Cina verrà in un futuro prossimo inclusa nel club. Resta però il fatto che il renminbi è una valuta non pienamente convertibile né libera di circolare. E’ soggetta a controlli sul capitale e ad interventi opportunistici di mercato aperto. Inoltre, la Cina vorrebbe liberare il flusso di capitali attraverso le frontiere entro la fine dell’anno. Ma gli Stati Uniti remeranno contro l’inclusione della Cina nei DSP, richiedendo una rigorosa interpretazione dei requisiti di accesso per le nuove valute da parte del FMI . Così facendo gli USA cercheranno ancora una volta di limitare rigorosamente l’espansione geopolitica cinese. A fine maggio 2015, il Fondo Monetario Internazionale, nel momento in cui ha dichiarato che il tasso di cambio cinese non era più sottovalutato, ha in questo modo espresso un primo segno di approvazione nei confronti di Pechino. L’approvazione ricevuta sul livello del tasso di cambio comporta che con gran probabilità, da ora fino alla decisione da parte del FMI sull’eventuale ingresso dello yuan nei DSP, il cambio nominale tra renmibi e dollaro sarà mantenuto costante. Il giudizio ricevuto del FMI fa così aumentare la già crescente probabilità che il renminbi possa essere inclusa tra le valute che compongono i Diritti Speciali di Prelievo (DSP). Inoltre, con lo scopo di rafforzare la possibilità di inclusione dello yuan, Christine Lagarde, nel corso del mese di marzo, ha pubblicamente detto che lo yuan “appartiene chiaramente” al paniere dei DSP. Ma, mentre può essere simbolicamente importante, l’appartenenza ai DSP non è né necessaria né sufficiente per l’accettazione del renminbi come valuta di riserva internazionale. Nel complesso i DSP rappresentano meno del 4% delle riserve ufficiali in valuta estera differenti dall’oro. Questo rende i DSP in parte irrilevanti, eccetto che in un ruolo minore che hanno come un unità di conto (utilizzato per valutare il mercato internazionale delle merci).

Sembra improbabile che nel medio termine possa fare la differenza il fatto che le attività denominate in renminbi diventino una parte importante delle riserva mondiali in valuta estera. Gli effetti immediati potrebbero essere limitati dato che l’uso di questa valuta resta vincolato dalla sua mancanza di libera convertibilità e dal limitato sviluppo dei mercati finanziari in Cina. Detto questo, Mr. Zhou e Mr. Li hanno messo in chiaro che secondo il governo i benefici superano i rischi, e su questa strada andranno avanti. In una interminabile conflitto politico tra gli Stati Uniti e la Cina, sembra che la Cina voglia distruggere “l’esorbitante privilegio” di cui gode il dollaro USA, per renderlo una valuta qualsiasi.
Gli sforzi per vincere questa sfida potrebbero anche contribuire ad accelerare la liberalizzazione dei mercati finanziari cinesi, tutt’ora fortemente regolati. In effetti, a questo proposito la Cina si trova ad affrontare una sfida epocale.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

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