La strada stretta

“Dev’essere brutto avere fretta a Venezia”

mi dice Filippo la mattina, quando usciamo di casa per la seconda volta e ci ritroviamo nel flusso delle tantissime persone che vanno a piedi verso Canal Grande. La prima volta era un paio d’ore prima, quando siamo andati a correre: una corsa lenta nella nebbia, fino ai confini della terra, poi su e giù per il ghetto, poi tra la gente. Correre non è avere fretta: come spiega bene Francesco Moracequick” è diverso da “fast”, essere tempestivi è molto meglio di essere veloci. I posti lenti sono spesso posti “quick & deep”, posti in cui le cose succedono in quell’attimo in cui hanno senso, posti in cui le attese sono momenti pieni, non da riempire annoiati. Posti d’acqua, perché l’acqua rallenta, ma riempie.

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Nel primo post di questo mio personalissimo percorso scrivevo “Io per esempio ho bisogno che ci sia qualcosa di bello da guardare, possibilmente dell’acqua.” Dopo essere tornata a Venezia, per poco ma con calma, ho capito un pezzettino in più: non è solo che l’acqua è bella, è che l’acqua è bella perché mi rallenta. Così come mi rallentano le salite, i sentieri che richiedono attenzione, le strade a carreggiata unica o i luoghi difficili da raggiungere. Sono ridotta così: per rallentare ho bisogno di un impedimento fisico, di qualcosa che mi imponga di pensare alla strada. Se devi fare attenzione sei più presente, se scegli solo strade facili – testi facili, lavori facili, persone facili, consensi facili – non fai attenzione e ti perdi tutto. Tutto. Non è la tecnologia che rende tutto troppo veloce: è la comodità. Non è un caso che sempre più spesso schifiamo le strade veloci: andiamo a piedi, andiamo in bici, facciamo le cose a mano, cuciniamo quello che potremmo trovare già pronto. Non è per il gusto di arrivare prima, è per il gusto di farlo bene.

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Il saluto finale della Biennale 2015 – Arsenale

Avrei voluto scrivere tutto questo sabato scorso, quando ero ancora ripiena delle sensazioni della bellezza assoluta di Venezia deserta e annegata nella nebbia, di Venezia affollata ma ancora all’asciutto, di Venezia piena d’arte, con l’Arsenale come una specie di gigantesco parco giochi della mente umana. Non ho potuto farlo perché sabato scorso mi sono svegliata con le notizie dell’attentato di Parigi. Una settimana dopo sappiamo che, proprio perché l’emergenza rimarrà a lungo, dobbiamo ripartire, sia nel nostro quotidiano sia letteralmente. Oggi a Bruxelles l’allarme è talmente alto che hanno chiuso metropolitane, centri commerciali e cinema: io riesco solo a pensare che l’11 settembre 2001 chi è rimasto ad aspettare nel suo ufficio è morto.

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Il Padiglione della Norvegia alla Biennale 2015 – Giardini

Più tardi abbiamo avuto fretta anche noi e io mi sono prima agitata molto – il treno! il biglietto! la cena! – poi, sul vaporetto, cercando di indovinare le vite nei palazzi nascosti dalla nebbia sul Canal Grande, mi sono rilassata. Perderò il treno, ricomprerò il biglietto, improvviserò la cena. Non si può fare prima a Venezia, né per via di terra, né per via d’acqua, soprattutto con la nebbia. Avevamo fretta perché avevamo tirato tardi: quell’ora in più all’Arsenale, tra l’arte e il mare, sarebbe stato un delitto non viverla. Perché vivere di fretta, anche se non sei a Venezia, non è vita.

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Pubblicato da Mafe De Baggis

Progetto e gestisco iniziative di comunicazione (relazioni pubbliche e copywriting). Aiuto le aziende, le testate e le persone a interpretare e vivere correttamente internet: un medium complesso e divertente

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