Gli acquirenti cinesi sono stanziali, come la loro cultura. Se storicamente la Cina rappresenta una civiltà contadina, i suoi patrioti non tradiscono: comprano appartamenti, si fidano del mattone, danno vita a una bolla immobiliare. Non si smentiscono neanche negli Stati Uniti, dove sono gli acquirenti più numerosi e più spendaccioni. Tra il marzo 2014 e 2015 una proprietà negli Stati Uniti acquistata da un cliente cinese ha avuto un valore medio di 832.000 dollari. Si tratta di una cifra molto elevata, soprattutto per le condizioni del mercato, non ancora completamente ripresosi dopo la crisi del 2008. Si applica a ville hollywoodiane, mansion nella Florida, appartamenti esclusivi a Manhattan. I secondi clienti più munifici – dal Canada – seguono lontani con acquisti di valore medio di 380.000 dollari. Comprano case per sfuggire al freddo, nella cintura soleggiata tra i due oceani, nel sud statunitense. I Cinesi invece investono per motivi economici, come se la casa fosse il rifugio migliore per i loro risparmi. Sono spesso i “funzionari nudi”, come vengono chiamati i potenti dirigenti cinesi. Inviano la loro famiglia all’estero – molto spesso con soldi di provenienza oscura – e comprano le residenze più lussuose.
Evidentemente la lotta alla corruzione in atto in Cina, congiuntamente agli inviti alla frugalità, non ha frenato un esodo di capitali ormai inarrestabile. Anche nel numero delle transazioni la Cina infatti primeggia. Nello stesso periodo ha acquistato il 16% del totale delle case vendute agli stranieri. Ha superato il Canada che deteneva una consolidata supremazia e sconta ora le difficoltà legate all’ascesa del dollaro statunitense. A conferma dello sbarco di capitali asiatici, l’India è ormai stabilmente nella terza posizione con l’8% del totale degli acquisti. I numeri spigano le tendenze e rivelano anche delle contraddizioni. I rapporti tra Cina e Stati Uniti sono in uno dei punti più bassi degli ultimi decenni. L’antagonismo ideologico – peraltro mai risolto – permane. Le tensioni nel Pacifico aumentano, mentre le multinazionali lamentano disparità di trattamento nel condurre affari in Cina. Inoltre, il modello americano sempre di più viene attaccato dalla potente macchina della propaganda di Pechino. Su ogni argomento esiste una forte contrapposizione: dai diritti umani alla democrazia, dal parlamentarismo alla libertà di stampa. Dai tempi della guerra fredda non si registra un martellamento così sistematico. Per ironia, l’ambizione dei cinesi – anche e soprattutto della classe dirigente – è di andare a vivere nel paese che ufficialmente criticano e rigettano. L’immigrazione più numerosa negli USA è cinese, così come le frequenze alle Università più prestigiose. Evidentemente gli insegnamenti non sono così negativi e la tutela della proprietà immobiliare non è soggetta a interventi estranei alla legge. Da Pechino proviene dunque una soluzione evolutiva dalla famosa favola. La volpe continua a disprezzare l’uva, ma stavolta è in grado di raggiungerla. La distanza tra il sogno di possedere e la costanza degli slogan si è ridotta. Il percorso è ormai breve e tracciato: passa per una strada costellata di ville in America possedute dai cinesi.