L’armata inglese alla conquista del mondo

Di cose nelle ultime due settimane ne sono successe nella Gran Bretagna post Brexit.
Lungi dall’essersi squagliati come neve al sole, malgrado certa retorica paneuropea che fa sempre comodo, i Leavers stanno acquistando posti di prestigio nelle sale dei bottoni. Che poi riescano a premerli giusti sarà il dubbio che loro dovranno sciogliere e possibilmente a breve per il bene loro e dei loro concittadini.
I leavers più coloriti, istrionici ma senza grandi idee hanno pagato mediaticamente la loro assenza di spunti, ma da bravi politici cadono sempre in piedi.

Partiamo dal recente passato.
Finora si credeva che la notifica della Brexit secondo l’art50 fosse appannaggio del primo ministro inglese. Ora invece si discute se non sia una prerogativa del Parlamento inglese. La discussione sta cominciando a prendere pieghe talmente dottrinali da divenire noiosissima agli stessi inglesi. Forse un tentativo di anestetizzarli e operare il taglio chirurgico senza la pressione della pubblica opinione?
In verità pare non esistano nulla osta che impedirebbero al primo ministro di notificare la Brexit: nessuna Alta Corte ne bloccherebbe la notifica visto il risultato di un referendum basato sul programma del partito vittorioso alle elezioni e “autorizzato” dal Parlamento, per quanto il referendum fosse consultivo e non vincolante.
Ma a confondere le acque si mette anche la discussione sul trattato del 1972, che dovrebbe essere rigettato (questa volta certamente solo per voto parlamentare) se si volesse perseguire determinatamente la strada di bloccare l’ingresso ai cittadini UE e i trasferimenti al bilancio comunitario.
L’11 luglio si è svolta una audizione parlamentare in merito. Quello che è chiaro è che non è chiaro neppure ai legislatori cosa sia da farsi.

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È continuata la turbolenza sui mercati finanziari: il 7 luglio la banca Barcleys con il downrating delle società edilizie inglesi: subito si è scatenato un certo subbuglio che ha portato al congelamento temporaneo dei disinvestimenti da parte di parecchi fondi immobiliari inglesi del settore della edilizia commerciale.

Anche i Nobel possono sbagliare, e Paul Krugman ci ha regalato un’altra perla. Il buon Paul ha recentemente cavalcato la buona performance del FTSE100 di Londra per dire che i mercati non stanno “punendo” le società inglesi, in attesa della Brexit vera. Paul è rimasto agli anni 70 e i mercati sono globali: almeno il 70% delle società del citato indice producono fatturato fuori dai confini inglesi, e quindi creano flussi di cassa che automaticamente si apprezzano quando la sterlina si deprezza.
La sterlina infatti è l’asset che più sta soffrendo e che consiglio di monitorare: ha ormai raggiunto il minimo su euro e dollaro degli ultimi 31 anni. Tutti dicono che la svalutazione farà bene al deficit di partite correnti inglese (da alcuni anni oltre il 5% del suo PIL), ma se le stime del governo di Sua Maestà hanno ragione, e dobbiamo attenderci una riduzione dei Foreign Direct Investments compresa fra il 15% e il 20%, allora Londra ha un problema di bilancia dei pagamenti che potrebbe dare ulteriore spinta al ribasso al pound.
E non penso che la svalutazione, coniugata alle incertezze della Brexit, farà bene all’altro deficit, quello di budget di bilancio, che si autoalimenterà dei ridotti flussi in ingresso internazionali.Non è un caso che nessun leader Leave stia cavalcando il tema delle svalutazioni competitive. Questo resta appannaggio dei nostri eroi locali.

La reazione della Banca di inghilterra a questi eventi tumultuosi non si è fatta attendere: il 5 luglio ha tagliato a zero il coefficente di capitale (dallo 0,5% precedente), un analogo del coefficente di riserva obbligatoria.
Oggi 14 luglio ha lasciati invariati i tassi allo 0,5% e inalterata la sua politica di acquisti di assets, pur lasciando uno spiraglio apertissimo alla possibilità (quasi una concretezza) di un taglio dei tassi a agosto, quando saranno disponibili nuovi dati macro.
E così una delle due banche centrali primarie a livello mondiale si è sfilata dalla attesa normalizzazione dei tassi.
la Banca si trova proprio nell’imbarazzante trade off fra tagliare i tassi per sostenere economia e stabilità finanzaria, e aumentarli per combattere i rischi inflattivi, esattamente come avevo previsto.
Altrettanto vivace è ancora la discussione sul futuro del clearing house che la BCE da tempo vorrebbe spostare da Londra e che pare possa diventare comunque una opzione possibile anche in caso di mancata Brexit, dovesse perdurare l’attuale incertezza. Sarebbe un colpo non mortale ma dannosissimo per l’immagine della City, e un vulnus ai poteri negoziali di Londra.

E così arriviamo al presente.
Nel tardissimo pomeriggio del 11 luglio arriva la nomina della 59enne Theresa May a capo del partito conservatore e nuovo primo ministro. Il Regno Unito, che tanto unito più non pare, mi sembra rimettersi nuovamente nelle mani di una lady di ferro.
La storia della onorevole è interessante. La May entrò in Parlamento nel 1997, ma prima aveva lavorato alla BoE per 20 anni e poi alla Associazione per i servizi di Clearing dei Pagamenti, un curriculum che ne fa una esperta di finanze.
È una donna riservata che sfugge ai talk show e alle tribune politiche, molto competente e dura, tanto da venir definita da un veterano di partito una donna “bloody difficult”.
Che la May sia capace, determinata, pragmatica e volitiva non c’è dubbio.
May ha tenuto un profilo basso durante la campagna referendaria, pur opponendosi al Leave. Il fatto che non si fosse esposta come Cameron al referendum le conferisce l’autorità che il precedente primo ministro si è giocato il 23 giugno. Ci sono chiari indizi che la gran bretagna voglia veramente, con i necessari e lunghi tempi, dare seguito alla volonta popolare di uscire dall’Unione.
May lo ha già detto: non notificherà l’uscita dall’Unione quest’anno e in ogni caso finchè non ci saranno le condizioni per garantire una uscita ordinata, nè convocherà elezioni generali.
Il suo scopo è garantire una guida ferma e sicura in un periodo di incertezza.  E il cambio sembra darle ragione: il giorno dopo l’annuncio della sua investitura la sterlina è in recupero.
Dovrà però convincere un’altra figlia di un pastore della Chiesa come lei, quella Angela Merkel che finora ha promesso niente sconti al 10 di Downing Street.
Le posizioni delle due sono diametricalmente opposte. La May ha già annunciato la sua: massima apertura al mercato comune contro azzeramento delle libertà di movimento dei cittadini UE, mentre i ministri europei hanno ripetutamente detto che l’accesso al mercato non è divisibile dalla libertà di movimento.

Ulteriori grosse news sono arrivate ieri con la nomina dei suoi ministri. Intanto va notata la creazione del nuovo fiammante ministero per la Brexit Il biondissimo Boris si prende gli esteri, ma sembra un premio di consolazione giacchè il suo ruolo sarà stretto fra quello del ministro alla Difesa, un europeista, e quello della Brexit.
Ed è proprio quest’ultimo di cui dovremo osservare le mosse: David Davies è un veterano euroscettico della prima ora, con idee chiare o apparentemente tali.
Si fa forte la mia impressione che i Leavers possano aver trovato in Davies il loro uomo forte che possa e sappia condurre velocemente ed efficacemente i negoziati sui nuovi accordi commerciali e così scongiurare tutti i rivoglimenti economici paventati dalle analisi del Tesoro e della BoE di cui avevo già parlato.
Davies pensa che in Inghilterra i benefici dell’Unipne abbiano portato crescita e fatto uscire dalla miseria molte persone, ma che la maggior parte di queste siano i detestati immigrati.
Fraintendendo l’ordine di causalità, Davies pensa che la nuova economia abbia garantito lavoro a basse remunerazioni che hanno prodotto una economia a bassa produttività: caro mio, semmai è il contrario, e proprio per questo esiste il fenomeno immigratorio.
Non riesco a dargli torto quando Davies pensa che l’Unione a 28 comporti tempi esageratamente lunghi di istruttoria e delibera dei trattati comerciali, dovendo trovare compromessi fra tutti i Paesi Membri prima di firmare accordi internazionali. Sul fatto che la soluzione sia uccidere la UE ci rifletterei un attimo.
Davies sa che serve tempo per prepararsi alla Brexit, e interessante è lo scheduling: sei mesi per parlare con Scozia, Irlanda del Nord, Galles e ogni altra controparte per le mosse istituzionali, nel frattempo parlare con la Citi, le associazioni imprenditoriali, le Università e una lista così di altre sigle che riporta. Sei mesi per trovare la quadra di un problema enorme. Sei mesi basteranno?
Poi, a quadra trovata, all’inizio del 2017 si notifica l’art 50. Tanto, dice Davies, ci vorranno massimo 2 anni per mettersi d’accordo con tutti, ma proprio tutti: in due anni Davies, che non dorme mai, stipulerà accordi con USA, Canada, Cina, Giappone, tutta la UE?
. Davies in due anni farà, parola sua, di un paese import dipendente un paese la cui crescita sarà export-led. In bocca al lupo. Vorrei ricordargli che deve prima sarebbe utile impiantarla una industria che competa con i concorrenti.
Questa urgenza non deve sorprendere: Davies, mi sa, è conscio del problema dovuto alla incertezza e alla conseguente  stagnazione degli investimenti, tanto domestici quanto esteri; sa che una riduzione dei FDI peggiorerà la bilancia dei pagamenti e terrà la sterlina bassa causando spinte inflazionistiche via importazioni.
Urge sbrigarsi,
e per prima cosa deve lanciare segnali rassicuranti: lui è l’uomo che salverà la situazione. In bocca al lupo. Specie se il Governo fa sapere che necessita urgentemente di esperti stranieri per condurre i nuovi negoziati sul commercio, difettando di gente nei propri ministeri. Sarà uno spasso vedere lo straniero che salva il britannico che voleva tornarsene in solitaria.

Dal canto mio, tanta sicurezza di sè e dei tempi massimi necessari per definire i nuovi Trattati, mi cofermano di un dubbio: che colloqui informali seguiranno perchè al di là della retorica tutti sono consci che la Gran Bretagna deve fare in fretta, pena mangiarsi la reputazione politica con i propri elettori, e quindi non è nelle condizioni di dettare lei le regole.
Chi resisterà di più porta a casa il premio, ma la UK ha un problema enorme con la sterlina bassa. Molto dipende da quanto Davies&;Co riusciranno a influenzare le aspettative.
Ma Schauble, un altro ammazza-istituzioni europee, ha già proteso una mano in sua direzione: la sua idea di un auspicato primato del Comsiglio Intergovernativo per bypassare le lungaggini della Commissione serve proprio a questo.
Schauble ucciderà l’Europa, poco ma sicuro, ma speriamo che tali colloqui informali si rivelino una mia paura infondata, anche se sono proprio di quel genere che temevo.

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Pubblicato da Beneath Surface

Alla soglia degli anta decide di tornare alla sua passione giovanile: la macroeconomia. Quadro direttivo bancario, fu nottambulo ballerino di tango salòn, salsa cubana e rueda. Oggi condivide felicemente la vita reale con le sue due stupende donne.

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