Guadagnare 75 miliardi salvando il sistema

A dieci anni dalla Lehman, il governo Usa incassa i profitti del piano di salvataggio. L’Europa? Ha speso più del doppio e ha perso quasi tutto. Lezioni

E’ il 13 Marzo del 2007 e la Borsa americana, il New York Stock Exchange, procede a rimuovere dal listino la New Century Financial Corporation, una società californiana che fino a qualche giorno prima capitalizzava 1,75 miliardi di dollari, con oltre 7000 dipendenti e che amministrava decine di miliardi di dollari in contratti subprime.

Nessuno poteva saperlo, ma quel giorno stava partendo la più violenta valanga finanziaria della Storia contemporanea dopo la Grande Depressione del 1929.

Oggi che sono trascorsi dieci anni, è venuto il momento di trarre le somme di quella serie di eventi, della gestione che ne è stata fatta, e della situazione attuale.

Anche perché uno dei principali interventi presi negli USA, il Dodd-Frank Act, rischia di essere cancellato per ordine del nuovo Presidente Donald Trump.

Gli obiettivi della legge Dodd-Frank sono di scongiurare la creazione di nuove bolle e promuovere la trasparenza sui mercati finanziari, allargando il controllo della Sec (la Consob americana NdR) anche alle agenzie di rating e al mercato dei derivati.

Sulle due sponde dell’oceano Atlantico lo scoppio della bolla finanziaria è stato affrontato in modalità molto diversa, e ugualmente gli esiti dopo un decennio sono estremamente differenti.

La Crisi negli USA

La faccenda appariva già grave a marzo del 2008, quando la Federal Reserve dovette ricorrere ad un prestito di emergenza per salvare Bear Stearns, l’operazione di salvataggio non riuscì e la banca fu fatta comprare da JPMorgan; la crisi deflagrò inarrestabilmente qualche mese dopo, a settembre, con il fallimento di Lehman Brothers. Le convulse giornate immediatamente seguenti portarono ad un intervento pubblico che prese il nome di TARP (Troubled Asset Relief Program), il nome tradisce la sua struttura iniziale: un piano di acquisto di asset tossici finalizzato al risanamento dei bilanci delle banche (una sorta di bad bank). Ma il Congresso non approvò questa prima formulazione, perché temeva di caricare sul bilancio pubblico asset scadenti comprati a prezzi difficili da valutare come equi. Il Congresso avallò invece il progetto riformulato: il TARP sarebbe stato usato per iniettare capitale direttamente nelle banche. Fu così che il 3 ottobre del 2008 George W. Bush ottenne il via libera per un TARP da 700 miliardi di $; furono impegnati per ricapitalizzare le banche, in qualunque condizione fossero, nessuna poté rifiutare l’iniezione di patrimonio: serviva a trasmettere al mercato la serenità che le istituzioni non sarebbero crollate, che erano adeguatamente patrimonializzate, ridando così efficacia al mercato, che -divenuto illiquido- non stava più funzionando correttamente. Lo stato ricevette azioni prive di diritto di voto (per scongiurare interferenze politiche con il management).

L’utilizzo effettivo del TARP è stato però di 426 miliardi di $, dai quali lo Stato ha ricavato 441 miliardi tra i dividendi incassati e la cessione di quelle azioni una volta passata l’emergenza.

Ma il TARP non è stato l’unica forma di reazione e gestione della crisi finanziaria negli USA: le due grandi agenzie paragovernative per i mutui privati, Fannie Mae e Freddie Mac, andavano soccorse, e con loro è stato necessario aiutare il settore automobilistico, quello assicurativo, ed è stata allargata la garanzia sui conti correnti dei risparmiatori da 100.000 a 250.000 dollari. In totale l’intervento per la stabilizzazione del sistema economico-finanziario americano ha provocato un esborso di 622,5 miliardi di dollari; tuttavia tra rimborsi, dividendi, interessi incassati e ricavi dalle vendite delle azioni, il governo federale ha incassato 698,3 miliardi di $. Il Tesoro americano ha dunque guadagnato oltre 75 miliardi di $ nell’operazione di salvataggio dell’economia.

Non stiamo considerando quello che, a latere, è stato fatto dalla banca centrale americana, la Federal Reserve: 2500 miliardi spesi in tre diverse operazioni di Quantitative Easing per comprare titoli di Stato e obbligazioni garantite da mutui. Questi acquisti sono stati sospesi alla fine del 2013 generando ora rimborsi e cedole. I benefici generati da questi interventi sono:

  1. riduzione dei tassi su obbligazioni e mutui, per la ripresa del settore immobiliare;
  2. rivalutazione delle azioni in Borsa, con conseguente effetto ricchezza per gli investitori;
  3. ripresa dell’inflazione e delle aspettative di inflazione per stimolare i consumi;
  4. maggiore velocità di ripresa dell’occupazione;
  5. maggiore crescita del PIL;

In un certo senso si tratta della declinazione americana di una tradizione giapponese nata nel XV secolo: il Kintsugi, l’arte di riparare oggetti di ceramica con degli inserti in oro colato, trasformandoli in oggetti unici, di maggior valore rispetto a quando erano integri. Il senso profondo del Kintsugi è l’accettazione delle imperfezioni, la loro esposizione; la rottura non rappresenta più la fine di un oggetto, ma un momento essenziale della sua storia: la riparazione è trasformazione, non va mascherata, ma contribuisce a infondere identità.

La Crisi in Europa

La prima e sostanziale differenza sta nel fatto che i Paesi europei sono stati colpiti in maniera diversa dalla crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti, a seconda delle diverse situazioni in cui si trovavano i singoli settori finanziari.

Irlanda e Regno Unito risentirono violentemente e fin da subito delle vicende d’oltreoceano, ed anche in Germania le grandi Deutsche Bank e Commerzbank mostrarono dei problemi.

In Italia la banca più chiacchierata era Unicredit, a causa della sua presenza internazionale, mentre le altre banche -specie le più piccole e focalizzate su microimprese e sul territorio- sembravano passare immuni attraverso la tempesta che stava imperversando su tutto l’Occidente.

Nella Confederazione Elvetica i colossi UBS e Credit Suisse si trovarono in enormi difficoltà, cruciale il supporto del fondo sovrano del Qatar e della Banca Nazionale Svizzera, che intervenendo in soccorso del sistema finanziario nazionale, si ritrovò all’inizio del 2013 ad avere attivi pari al 100% del PIL nazionale (per un confronto la Federal Reserve americana aveva in quel momento attivi pari al 20% del PIL, mentre la BCE pari al 30%).

La prima grande differenza fra la gestione della Crisi in Europa, rispetto agli USA, sta nei tempi di reazione:

La BCE dapprima alzò i tassi da 4% a 4,25% alla fine del 2008, poi in scia alle decisioni americane, li tagliò fino a portarli all’1%, per poi introdurre due arditi rialzi nel 2011 alla fine del mandato di Trichet. La dinamica temporale della crisi è stata frammentata anche sui singoli paesi: la Spagna, ad esempio, ha avviato la ristrutturazione del proprio sistema bancario solo nel 2010, e soltanto a giugno del 2012 l’eurogruppo approva i prestiti per le banche iberiche e a dicembre 2012 arriva finalmente il concreto supporto finanziario.

Se fin dal settembre 2008 il governo irlandese ha dovuto esporsi per fare da garante alle proprie banche (esposte in leva su attività pari al 600% del PIL nazionale), soltanto nel febbraio 2011 sono arrivati a Dublino le prime tranche di aiuti da EFSF, uno degli strumenti di sostegno europei ideati per la crisi. Il Portogallo ha invece atteso fino a giugno 2011, mentre a Cipro sembrava non essere accaduto nulla, finché a giugno del 2012 il governo dell’isola dovette chiedere sostegno finanziario perché le sue banche, per garantire tassi elevati ai loro depositanti esteri, avevano investito massicciamente in titoli di stato greci.

E qui si evidenzia l’altra grande differenza con gli USA: mentre oltreoceano la crisi da gestire è sempre rimasta nell’ambito del sistema finanziario e del suo contagio all’economia reale, in Europa alla crisi finanziaria si è assommata la crisi dei debiti sovrani. Nel 2010, infatti, nel Vecchio Continente il mercato iniziò ad applicare degli spread di rendimento tra i diversi titoli di Stato dei singoli paesi dell’eurozona, scoprendo d’improvviso che la moneta unica non sottintendeva un bilancio unico: ogni paese aveva la propria raccolta fiscale ed un problema finanziario interno di diversa natura e di diversa dimensione.

Le diverse esigenze e le diverse situazioni dei paesi mal si conciliano con la necessità europea di prendere decisioni unanimi. Paesi più in salute vedono con poco favore interventi troppo generosi, da una parte percependoli come costi, dall’altra vedendoli come incentivi a comportamenti meno virtuosi. Viceversa la necessità di aiuti ingenti ed urgenti per i paesi più in difficoltà ha progressivamente indebolito la loro posizione all’interno delle trattative continentali.

L’Italia non ha chiesto alcun aiuto per le sue banche, di cui inizialmente ha fatto vanto come modello di resilienza, salvo poi scoprire che molti problemi erano stati occultati, finendo per emergere clamorosamente quando la vigilanza sulle banche è stata spostata dalle singole banche centrali nazionali alla BCE.

La banca Centrale Europea è stata la principale fornitrice di aiuti e liquidità ai sistemi finanziari europei (ed indirettamente anche per i governi) durante questi anni di crisi, con svariati programmi di sostegno che prendono il nome di LTRO (Long Term Refinancing Operation), TLTRO (Targeted LTRO) 1 e 2, OMT (Outright Monetary Transaction) e Quantitative Easing (in due diverse edizioni, la seconda delle quali è ancora in corso) facedo espandere il proprio bilancio di oltre 1500 miliardi di €.

A questi si affiancano gli aiuti erogati per ricapitalizzazioni, garanzie e misure di liquidità, spesi dai vari governi o dalle istituzioni centrali europee: in Europa sono stati effettivamente spesi a questi scopi 1934,9 miliardi di €; di questi sono rientrati sotto forma di dividendi, o interessi o proventi di altri tipo soltanto 126,6 miliardi.[sociallocker].[/sociallocker]

Questi 10 anni ci hanno lasciato diverse lezioni: con un intervento tempestivo e coerente sia sul fronte pubblico che attraverso la banca centrale, gli Stati Uniti -pur epicentro della crisi- hanno dovuto impiegare meno denaro, recuperando ogni dollaro fino a registrare decine di miliardi di profitti pubblici, con un sistema bancario che, indici alla mano, ha recuperato quasi interamente il suo valore, ed un’economia in crescita ed una disoccupazione ai minimi. In Europa gli interventi incerti, frammentati, condizionati, lenti, concessi e poi ritirati, hanno generato un esborso pubblico superiore, uno scarso recupero delle risorse impiegate, ed un sistema bancario avvilito, che vale ancora meno di un terzo di dieci anni fa.

La competizione interna fra paesi dell’area euro non ha giovato alla solidità del nostro sistema, né alla sua ricchezza. E oggi le banche americane possono saccheggiare le quote di mercato delle affrante banche europee, piegate da un’economia troppo poco profittevole, perché sorretta da un sistema bancario fragile. Invece di pensare a improbabili bad bank europee, tentennando tra il rispetto dei contribuenti e l’esigenza di aiutare le banche comprando a prezzi di favore i loro attivi deteriorati, occorre ripristinare ciò che non funziona, affidando al mercato -di nuovo efficiente- la facoltà di premiare e punire.

Con la rimozione della Dodd-Frank ora gli USA tentano una accelerazione, liberando le banche da impegni e -forse- spingendole verso una nuova bolla, potremmo avere tra qualche tempo una nuova occasione per mostrare di aver appreso la lezione, mostrando più unità, più solidarietà e più fiducia reciproca nel Continente che, seppur Vecchio, può essere ancora il centro del mondo.

Per dirla con uno dei passi più celebri di Addio alle armi di Ernest Hemingway:

“Il mondo spezza tutti quanti, dopodiché molti sono forti nei punti spezzati. Ma quelli che non spezza, li uccide.”

pubblicato su Pagina99 nel numero del 11 Febbraio 2017
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Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

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