Tra poco più di un mese, con la fine del 2018, arriverà anche la fine del programma di Quantitative easing della Bce. La stagione degli interventi non convenzionali delle banche centrali iniziò esattamente 10 anni fa con l’avvio del Tarp (Troubled Asset Relief Program) negli Usa, necessario dopo il default di Lehman Brothers. Secondo alcuni osservatori la rimozione del piano di acquisti della Bce provocherà un allargamento degli spread e farà deflagrare una nuova crisi. D’altra parte il Quantitative easing è un intervento straordinario e limitato nella dimensione e nel tempo, non uno standard in cui adagiarsi.
Il governo italiano, in particolare, vorrebbe che la Bce cambiasse idea e rinunciasse a chiudere il Qe, che però è uno strumento che peggiora la qualità del tessuto economico(penalizza le imprese più sane e sostiene quelle che sarebbero destinate a fallire) e sociale (aumenta le disuguaglianze). Vediamo allora di riassumere cosa abbiamo appreso in un decennio di interventi monetari straordinari:
1. IL FUNZIONAMENTO DELLA BCE
Il Qe ha permesso alla Bce di funzionare meglio? L’intervento fu annunciato da Mario Draghi con la spiegazione che era «necessario affinché la politica monetaria dell’Eurotower raggiungesse uniformemente l’intera Eurozona». Dobbiamo rispondere di sì, perché la riduzione degli spread ha permesso di facilitare le condizioni di chi era in difficoltà, dandogli l’opportunità di rimettersi in carreggiata (come hanno fatto Portogallo e Spagna, per esempio). Bisogna anche dire che negli Usa ci sono stati anche un Qe2 ed un Qe3, che hanno mostrato una efficacia molto minore, confortando l’opinione di chi sostiene che il Qe debba essere un intervento intenso ma limitato per misura e per durata.
2. L’INFLUENZA SUI MERCATI
Gli allentamenti monetari e le bolle finanziarie: il sostegno ad azioni e obbligazioni ha finito per guidare i prezzi delle attività finanziarie più degli andamenti economici. Per lungo tempo la riunione periodica della Fed e/o della Bce veniva seguita con telecronaca in diretta perché avrebbe determinato l’andamento dei mercati, al punto che le Borse sono arrivate a “festeggiare” i brutti dati economici, perché rappresentavano implicitamente la garanzia di ulteriori interventi monetari.
3. IL NODO DELLA DISUGUAGLIANZA
Disuguaglianze: non si può non notare che laddove è maggiore la pressione affinché la Banca centrale limiti la sua indipendenza, rinunciando a ogni idea restrittiva, è dove le forze populiste hanno preso la guida politica. Uno dei denominatori comuni delle forze populiste è la denuncia delle disuguaglianze. Tuttavia il Qe e tutti gli altri interventi monetari accrescono i valori delle attività finanziarie, generando un effetto ricchezza solo in chi ha dei patrimoni investiti in esse. Chi volesse davvero lottare contro le disuguaglianze dovrebbe quindi spingere per la chiusura, non per l’estensione, degli allentamenti monetari.
4. PROPENSIONE ALL’INDEBITAMENTO
Un lungo periodo di tassi bassi e di facilitazioni monetarie provoca scarsa disciplina fiscale: i governi si susseguono “imparando” a considerare il costo del debito come irrisorio e privilegiando l’indebitamento a manovre fiscali impopolari; è solo quando poi il rialzo dei tassi arriva che ci si accorge del danno fatto.[sociallocker].[/sociallocker]
Il ruolo e la funzione di una Banca centrale sono motivi di accalorate discussioni, e presto torneremo a parlarne, quello che è certo è che se dovesse arrivare una nuova crisi finanziaria (e certi chiari di luna sui mercati azionari mondiali suggeriscono che potrebbe anche non essere così lontana) sarà utile tenere a mente ciò che abbiamo – o almeno dovremmo avere – imparato.