Libri per sopravvivere e per capire di noi stessi; con Daria Bignardi

Daria Bignardi

L’autrice di oggi è Daria Bignardi, nata a Ferrara nel 1961.

Ovviamente la prima reazione di fronte a questo nome ci porta al suo essere star televisiva, conduttrice ed autrice di programmi di culto come Tempi Moderni e Le Invasioni Barbariche, alle sue interviste così godibili, di fronte a un boccale di birra; ma anche sul fronte letterario Daria ha un background di tutto rispetto, con già otto libri al suo attivo, fra cui romanzi intensi, vissuti, profondi, come l’Acustica Perfetta (Mondadori, 2012) o Storia della mia Ansia (Mondadori, 2018).

IL LIBRO

Libri che mi hanno rovinato la vita” (Einaudi, 2022, Pag. 168, 18 euro) è l’ultima fatica dell’autrice ferrarese e, come già ci è capitato con Paolo Nori, possiamo senz’altro dire che in questo libro ve ne sono diversi altri, e non vi è una chiave di lettura unica.

Siamo in primis di fronte a un memoir, con i mesi di un anno, verosimilmente il 2021, a rappresentare i capitoli di questa storia, che è un continuo rimando fra i giorni nostri e la vita dell’autrice, dall’infanzia fra Castel San Pietro e Ferrara, alla giovinezza trasgressiva e dannata con frequentazioni poco raccomandabili a Ferrara, dal trasferimento a 23 anni a Milano, dove Daria vuole cogliere “il lato yuppie degli anni Ottanta”, fino ai ricordi più recenti, ai 7 anni in cui era “sparito il futuro”, con la malattia e la separazione.

Ma oltre a questo, naturalmente, ci sono i libri, quelli del titolo, e l’opera si trasforma in un’antologia di testi, di citazioni, e in una galleria di personaggi, con squarci sulla loro vita, i loro amori, le loro relazioni: questo testo si trasforma così in un inno alla lettura da parte di una donna che, fin da giovanissima, divorava libri su libri, leggendone uno in due ore, per pomeriggi interi sempre sul suo divano, lontano dal mondo, persa nel suo universo fantastico:

“Io divoravo libri. Dai romanzi russi e francesi di mia madre a quelli italiani e americani di mia sorella … ai gialli, che compravo usati, a tutto ciò che raccattavo in edicola e in biblioteca”.

E ancora:

Ogni tanto vedo una mia coetanea dritta e tonica e penso: “Deve aver fatto atletica, o ginnastica artistica, da ragazza: si rimane così per sempre”. Io, da ragazza, ero una lettrice agonistica.

ANTOLOGIA

Ma torniamo alla parte, diciamo, antologica: Daria ci dice quali sono i libri che le hanno rovinato la vita, in un senso che poi chiariremo, però non si ferma ad un elenco: ci fa entrare dentro questi autori, in una scelta certo non banale, o scontata, anzi.

Come quando ci parla di Djuna Barnes (1892-1982) e del suo La Foresta della Notte (un romanzo del 1937); una figura, questa, invero un po’ trascurata, spesso citata come autrice minore della “lost generation”: ebbene, Bignardi ci fornisce un affresco affascinante di questa donna e della sua opera; per capire il suo metodo, ecco proprio il romanzo di Djuna Barnes, in poche rapide pennellate:

“La Foresta della Notte oggi è considerato da molti un capolavoro minore della letteratura americana del Novecento, da altri un capolavoro assoluto della letteratura queer, ed da qualcuno, come Alberto Arbasino, una mezza schifezza. Dylan Thomas lo definì <uno dei tre grandi libri di prosa scritti da una donna>, T.S. Eliot scrisse di <una qualità di orrore e di fato strettamente imparentata con quella della tragedia elisabettiana>. Piacque a Truman Capote, a Elémire Zolla che lo portò in Italia, a Cristina Campo, che chiamava Djuna Barnes <genio famelico> e la tradusse, persino a David Foster Wallace”.

Abbiamo voluto lasciare questa citazione tutta intera per mostrare che il modo di procedere di Bignardi in questo suo libro è di farci entrare in queste opere, mettersi a fianco di questi autori, che l’hanno così influenzata e colpita da farle dire che le hanno rovinato lo vita; ma non finisce qui, perché poi li seguiamo, gli autori, anche in pezzi della loro, di vita (un modo di procedere che ci ricorda Julian Barnes): così Djuna conosce ed ama Thelma Wood, pittrice e scultrice, “artista mediocre e persona originale”, che “si veste da ragazzo ed è bellissima”, e Daria ci racconta del loro “amore tossico”, tormentato ed impossibile.

Anche Fedor Sologub (1863-1927) ha un po’ questa stessa natura di personaggio misconosciuto, pur essendo nato a San Pietroburgo nel momento di più alta espressione di molti autori della grande letteratura russa. Il suo “Il demone meschino”, del 1907, è un altro dei libri che hanno rovinato la vita di Daria; conosciamo così un altro Fedor, che non è Dostoevskij, ma che come lui ha una moglie che lo adora, Anastasija, e che però si suicida nella Neva nel 1927. Sologub, annota Bignardi, aveva

“…sessantaquattro anni e una delle poche cose che sappiamo della sua vita in quegli anni di isolamento è che, fino a quando il corpo della moglie non venne ripescato, la sera continuò ad apparecchiare la tavola anche per lei”.

IL MEMOIR

E’ anche un memoir, questo libro, dicevamo.

Eh sì perché naturalmente qui dentro c’è molto di Daria Bignardi, della sua vita fra l’Emilia, Londra e Milano: potremmo forse dire che, raggiunta “una certa età” (non si dice l’età delle signore!), ella vuole provare a fare un bilancio, a tirare qualche somma?
Vuole “solo” dirci che è passato quel brutto periodo in cui aveva “perso il futuro”?

O vuole semplicemente raccontarci, in qualche modo riassumere, la sua vita, dalla stanza a Ferrara all’appartamento che prende in affitto a Milano, solo per scrivere, salvo poi scoprire che non riesce a scriverci, ma lo adora per prenderci qualche aperitivo?

Non sapremmo dirvelo, ma possiamo sicuramente consigliare questo libro così ricco: di notizie, di sentimenti, di introspezione, di citazioni, di immagini, di personaggi, persino di “apparati”, fatti come si deve, di tutti i libri e delle tante citazioni che ci troviamo.

Vorremmo chiudere dando di nuovo la parola all’autrice ed all’introspezione che nasce da questo libro e che forse può aiutare anche tutti noi, in questi tempi così complicati, a sopravvivere; perché è chiaro a tutti, vero, che la letteratura ci consente di vivere, o, forse, di sopravvivere? Noi, almeno, la pensiamo così.

Ma lasciamo la parola a Daria:

“Ho pensato che anche se non potevo e non volevo scegliere tra i libri che ho amato, forse potevo e dovevo scrivere di quelli che mi avevano fatta soffrire, e che forse scrivendone avrei capito qualcosa di me, qualcosa che ho messo a fuoco da poco e che so essere importante”

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Pubblicato da Leonardo Dorini

Manager, consulente, blogger. Mi occupo di finanza ed impresa, amo lo sport. Ma sono qui per l'altra mia grande passione: la letteratura.

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