L’inarrestabile fuga dei cervelli

Un viaggio fuori dai confini nazionali è un esercizio non solo utile, ma doveroso per chi vogli considerare quanto avviene nel proprio Paese da una prospettiva differente, meno invischiata in meccanismi abituali, quindi più lucida di certo. Londra è una città dove si torna sempre volentieri, per constatarne la costante evoluzione ma, soprattutto, per fare i debiti confronti con realtà diverse.

La metropoli è invasa dagli italiani, stando agli ultimi dati diffusi dal Department for work and Pensions, relativi alle domande presentate al fine di acquisire il National insurance number (Nin, una sorta di codice fiscale, essenziale per chi decida di stabilirsi nella capitale inglese a fini professionali). Essi costituiscono il 12 per cento del totale degli stranieri ivi approdati tra aprile 2013 e marzo 2014 e rappresentano il gruppo più numeroso rispetto a tutti gli altri.

In effetti, che i connazionali residenti a Londra siano davvero tanti si ha modo di verificarlo ogni qual volta, chiedendo in inglese indicazioni o altro, la risposta giunge in italiano quasi puntualmente: un accento Renzi’s style denota con certezza il Paese di provenienza. È un buon modo per iniziare a conversare e ricevere informazioni diverse da quelle richieste, ma ben più interessanti. Così mi imbatto in Simona che, oltre al proprio nome di battesimo, si presenta come “cervello in fuga”: ha compiuto in Italia l’intero ciclo di studi e poi se n’è andata. Osservo che il nostro Paese non sta solo perdendo i migliori talenti, ma altresì tutti quei fondi che lo Stato investe per la loro formazione, considerato che il sistema di istruzione nazionale è finanziato per lo più pubblicamente. Si tratta di uno dei tanti sprechi cui occorrerebbe rimediare ma, come per altri, da un lato, manca una ferma volontà in tal senso; dall’altro, forse pochi saprebbero da quale punto iniziare. La politica è consapevole del fatto che le giovani risorse più valenti si trasferiscono altrove, data la situazione di crisi attuale: tuttavia, mediante l’enunciazione di slogan tesi a evidenziare con enfasi l’esistenza del problema non può ottenerne l’automatica soluzione, se abilità professionale e spessore culturale continuano a non essere riconosciuti quali unici punti di riferimento ed esclusivi parametri di valutazione. Simona si è laureata a pieni voti in una materia scientifica e vanta un curriculum scolastico esemplare, ma tutto questo non basta in Italia, ove la mancanza di trasparenza è il problema più importante nella selezione del personale: al riguardo, l’assenza di un metodo improntato a criteri precisi e costituito da una sequenza di passaggi riscontrabile con chiarezza da ogni interessato ne inficia l’esito ab initio. Rilevo che detta mancanza fa sì che gli aspiranti a certi posti di lavoro, così come a ruoli diversi, non possano contare su meccanismi di valutazione suscettibili di essere verificati: la competizione necessita, invece, di regole il cui rispetto sia garantito anche dal controllo esercitato da ogni soggetto coinvolto. La trasparenza si sostanzia anche di questo. Al contrario, nella generalità dei casi, soprattutto in ambiti noti a tutti, i procedimenti utilizzati nel nostro Paese sono contraddistinti dal comune denominatore dell’opacità delle dinamiche secondo cui alcune scelte vengono operate: ciò in quanto logiche familistiche, affiliazioni politiche, comportamenti compiacenti, anziché cristallini parametri di giudizio, ne costituiscono i tratti rilevanti. Simona sottolinea che non ha voluto prestarsi a tutto questo e così ha allargato i propri orizzonti, già ampi evidentemente. Ha, quindi, sperimentato altrove quei metodi lineari attraverso i quali ambiva a poter competere con altri soggetti sulla base delle risorse possedute, delle capacità acquisite e del merito dimostrato. Via web ha trovato il modo di partecipare a selezioni per un PhD nella materia di interesse, ha inviato application, effettuato test d’ammissione volti ad accertare preparazione, abilità, motivazione e, infine, è stata scelta. Mi racconta dell’analoga esperienza di un’amica italiana, diventata assistente di un politico locale dopo aver risposto a un apposito annuncio in rete che indicava chiaramente le caratteristiche dei candidati, in termini di competenze e qualità necessarie allo svolgimento del ruolo offerto. Anche in questo caso, la selezione è stata condotta secondo principi improntati alla più ampia disclosure: mi cita apposta tale esempio che, dato il settore interessato, rende la contrapposizione con la realtà nostrana ancora più evidente. Simona non sa se tornerà mai in Italia, ha già provato a farlo, ma la situazione non sembra cambiare: una qualche correlazione con il “potere” continua a costituire condizione essenziale in certi ambiti professionali, mentre lei chiede solo di essere considerata per quanto vale.

Per Susanna, commessa in una catena di abbigliamento molto diffusa in tutto il mondo, il metodo utilizzato per trovare un’occupazione è stato pressoché uguale. Arrivata a Londra, ha esplorato gli annunci di lavoro sui siti web dei negozi più famosi, rivolgendosi altresì alle agenzie per l’impiego, che in Inghilterra paiono concretamente funzionare. Dopo aver compilato una serie di application, ha sostenuto vari colloqui e, infine, è riuscita nell’intento: contando soltanto sui propri mezzi, senza alcun bisogno di ricorrere a raccomandazioni o pratiche poco edificanti, bensì mediante una ricerca serrata, concentrata e correttamente impostata, ha potuto ottenere il posto che voleva. Anche lei evidenzia che tecniche di selezione adeguate concorrono in modo essenziale al buon funzionamento dei meccanismi di scelta del personale: peraltro, anche laddove capiti di essere scartati, si possono richiedere le motivazioni in base alle quali si è stati esclusi, con la certezza di ricevere riscontri esaustivi. Il ciclo della trasparenza così si compie in maniera chiara: la conoscenza delle motivazioni suddette è fondamentale, da un lato, per la verifica della corrispondenza tra i criteri discretivi dichiarati inizialmente e quelli effettivamente adottati; dall’altro, per la comprensione degli aspetti da migliorare e delle lacune da colmare, non solo in vista di altri colloqui, ma altresì per il proprio arricchimento personale.

Dai racconti che ascolto emerge, quale elemento comune oltremodo importante, la circostanza che il sistema di selezione sopra descritto incentiva la tensione individuale alla progressiva evoluzione professionale. Alcune delle persone con le quali ho avuto modo di parlare, pur soddisfatte del proprio impiego attuale, valutano costantemente opportunità ulteriori, mantenendosi costantemente aggiornate su eventuali vacancy nei settori di interesse. I giovani a Londra hanno prospettive di crescita in vista delle quali operare al meglio e anche per questo preferiscono emigrare, anziché svolgere nel proprio Paese attività equivalenti, ma che non consentono loro alcun margine di miglioramento. Nutrono il convincimento di poter fare carriera e in vista di tale obiettivo sono disposti a impegnarsi e ad assumere le responsabilità necessarie. Hanno la certezza che un avanzamento della propria posizione non è precluso, che possono ottenerlo avvalendosi dei mezzi di cui dispongono e non intendono di certo fermarsi nel percorso che hanno intrapreso, andando via dall’Italia prima di tutto. Del resto, la fiducia nel sistema di cui si è parte induce fiducia nelle proprie capacità e stimolo al loro rafforzamento, innestando un circolo virtuoso: i datori di lavoro premiano le caratteristiche suddette. Come si evince, infatti, dal Graduate Recruitment Report 2014, uno studio di Kaplan condotto su un campione di 198 leader di piccole medie e grandi aziende britanniche, queste ultime, oltre ad apprezzare qualità tecniche e abilità nel comunicare dei candidati, attribuiscono rilevante importanza alla propensione verso il costante miglioramento personale e l’implementazione della competenza professionale: dunque, tutto torna. Domanda e offerta si incontrano così su un terreno comune, ove i valori suddetti sono riconosciuti e accettati dalle parti in gioco quali elementi essenziali condivisi.

I giovani connazionali che ho incontrato sanno bene come in Inghilterra funzioni la competizione, quanto flessibile e dinamico sia il mercato occupazionale e, soprattutto, che un posto di lavoro non è per sempre. Pur non conoscendosi fra loro e impegnati rispettivamente in esperienze così diverse, sembrano accomunati dai medesimi sentimenti: dalla nostalgia per quanto hanno lasciato, allo sconcerto per un Paese che pare non sappia mutare alcuni dei meccanismi di funzionamento su cui è fondato. Li contraddistingue altresì l’intelligenza vivida, la passione fattiva e al contempo la razionalità che ha guidato le strategie adottate e le scelte compiute, una volta deciso che in Italia la situazione era tale da non consentire loro di restare. Non sono emigrati soltanto a causa della carenza di lavoro in ambito nazionale, ma soprattutto perché, come detto, altrove avrebbero avuto la possibilità di trovarlo contando, da un lato, esclusivamente sulle proprie risorse, dall’altro su un sistema selettivo idoneo a porle in evidenza. I ragazzi che sono usciti dai confini, anche mentali, del Belpaese hanno compreso quanto le logiche cui volevano essere aderenti fossero diverse da quelle ivi imperanti. Espatriano i più consapevoli che tenacia, impegno e iniziativa personale in Italia non sono sufficienti; molti di quelli che restano, intanto, continuano a indulgere a un comodo vittimismo – peraltro giustificato dalla difficile situazione attuale – mediante l’attribuzione ad altri di sacrosante colpe con le quali pensano di legittimare la propria inerzia. Chi si è sottratto a tale atteggiamento da perdente ha scelto un modello comportamentale improntato a coraggio e intraprendenza, optando di conseguenza di emigrare ove dette qualità fossero stimate: “il merito vota con i piedi”, potrebbe dirsi con una parafrasi efficace. Ciò conferma le conclusioni raggiunte da una ricerca cui non è stata forse conferita particolare risonanza, tuttavia oltremodo importante: la fuga dei “cervelli” è maggiore in quei Paesi ove è più elevato è l’indice di corruzione, come determinato dall’International Country Risk Guide, ossia dove la selezione del personale viene inquinata da parametri di scelta diversi rispetto al valore e alla preparazione individuale. In detti Paesi, non solo è ingente lo spreco dei migliori talenti locali, ma si riduce altresì l’afflusso di risorse provenienti da nazioni diverse. E’ evidente come non possa risultare attrattivo un mercato ove il merito e la competenza abbiano scarse probabilità di trovare un riconoscimento adeguato.

La trasparenza fondata su meccanismi selettivi rigorosi, chiari, competitivi e verificabili giova a chi cerchi lavoro, consentendogli di essere giudicato in base al proprio spessore; ma anche a chi offra lavoro, permettendogli di consolidare la propria accountability sul mercato anche attraverso la serietà delle procedure adottate e la scelta dei candidati più adeguati; nonché alla collettività nel suo complesso, considerato che il deficit di “cervelli” concorre a gravare sulle condizioni economiche nazionali. La cultura della trasparenza non appartiene però all’Italia che, mentre continua a impoverirsi di un patrimonio umano essenziale alla crescita e allo sviluppo del Paese, sembra non fare molto altro che lanciare accorati appelli affinché i giovani non vadano altrove: strane pretese…

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Pubblicato da Vitalba Azzollini

Classe 1963, studi classici, laurea in giurisprudenza alla Luiss, lavora in un'Autorità di vigilanza (ed esprime opinioni a titolo esclusivamente personale). Scrive per diletto su giornali on line e su Leoni Blog. Ha pubblicato paper per l’Istituto Bruno Leoni.

14 Risposte a “L’inarrestabile fuga dei cervelli”

  1. Tra 3 settimane torno in Italia dopo 3 anni passati a Vancouver. Arrivato qui con una Visa vacanze/lavoro di 6 mesi, un paio di anni di esperienza lavorativa e una laurea breve, ho trovato un lavoro presso una delle piu’ grandi aziende del mondo nel campo del mobile gaming (DeNA).
    In Italia dovevo ringraziare per avere 1000 euro al mese perche’ non c’erano i soldi per pagare di piu’ i dipendenti (azienda di 3 persone…). Intanto il mio capo arrivava in ufficio con la nuova BMW cabrio. Ora guadagno circa il 300% in piu’. E non sono diventato un genio sull’aereo Milano-Vancouver. E, ancora piu’ importante, qui le risorse umane sono trattate con i guanti, in quanto sono considerate le risorse piu’ preziose. Questa e’ la mentalita’ che dovremmo copiare o meglio ri-applicare.

    Mi hanno sponsorizzato, dato una visa di 3 anni e ora che ho deciso di tornare in Italia mi hanno chiesto di continuare la collaborazione da remoto. Ho lavorato con giapponesi, pakistani, francesi, cileni, messicani e via discorrendo. Un’ esperienza totale. Fossi rimasto in Italia a quest’ora mi sarei ammalato.

    Ora torno in Italia perche’ per me il lavoro non e’ tutto e ho voglia di fare anche altro. La scelta piu’ impopolare della mia vita, anche se fatta con molta consapevolezza. Torno con una visione del sistema Italia che definire cinica e’ poco. Dopo la mia esperienza sono cosciente che forse, lavorando durissimo e cambiando quasi tutto, in una ventina di anni saremo al livello del Canada ora. Ma piu’ realisticamente continueremo a raccontarci le varie favole italiche che tengono occupati e bloccati gli italiani. Italiani che, inspiegabilmente, si sentono ancora i migliori al mondo.

    Io, avendo visto come funziona fuori, mi sento una caccola.

    Se avessi cercato di entrare in una azienda di pari grandezza in Italia, non ci sarei riuscito per due motivi.
    Primo: Non esistono aziende cosi’ in Italia.
    Secondo: I colloqui in Italia, in base alle mie esperienze, sono ridicoli e inutili. Se ti rispondono (miracolo!) seguono l’impostazione di un’asta al ribasso. Sara’ che ho avuto la sfortuna di iniziare a cercare lavoro “serio” dopo che la crisi era gia’ scoppiata. La maggior parte delle volte ti senti dire che, davvero, 600euro e’ il massimo che l’azienda puo’ pagare. Ma se hai un’azienda che non riesce a dare uno stipendio normale a un dipendente….cosa assumi a fare?

  2. Secondo me piu’ che di cervelli in fuga si tratta di finalmente comprendere che i confini statali non esistono piu’.
    In Italia i giovani lo hanno capito da poco.
    Non farei nemmeno paragoni fra lo stipendio di Vancouver e quelli Italiani, quello dipende dal carovita. Ne farei quindi piu’ una forma di opportunita’, vado dove c’e’ lavoro come quando dal sud Italia si migrava al nord per lavorare alla Fiat. Oggi si emigra a Londra perche’ i confini sono un po’ piu’ ampi ma nulla di piu’.
    Fino a qualche anno fa (10/15) la Cina sembrava un posto infernale e terribile oggi ci si sposta tranquillamente per lavoro e alla gran parte delle persone evolute non fa piu’ paura. E i cinesi viaggiano finalmente e spendono compensando gli squilibri del mondo occidentale. Idem per Russia ed ancora timidamente India.
    Credo percio’ la fuga di cervelli sia la norma oggi e non un anomalia.
    Il vero punto triste e’ che sono i Governi a non capirlo (soprattutto in Italia). L’Italia temo sia destinata a morire piano con i suoi vecchi abitanti. C’e’ solo da augurarsi che si possa quantomeno investire di piu’ sul turismo, unica vera risorsa attuale del paese su cui puntare, per non far morire definitivamente il bel paese e che gli Italiani comprendano viaggiando di piu’ quanto scortesi e maleducati sono rispetto al resto del mondo. Vedremo…

  3. Concordo sulla circostanza che siamo ormai cittadini del mondo. Tuttavia, il Belpaese ne costituisce una porzione connotata da caratteristiche particolari, non sempre molto virtuose . Abbattere i confini attualmente esistenti tra noi è “gli altri”, mediante l’adozione delle pratiche migliori, improntate a criteri trasparenza e valorizzazione di competenza e merito, sarebbe importante. E renderebbe l’Italia più attrattiva per tutti, dai giovani cervelli, ai turisti, agli imprenditori più illuminati.

  4. Uè … Times,

    ottimo, Mi sei piaciuto. Concordo e sottoscrivo – hai la giusta mentalità: si vede che sei giovanile (non anagraficamente, però; eheheh!).

    In Italy Ci vuole una bella tabula rasa; darei un bel calcio … ai “luminari” che decantano – in penna ed in voce – giornalmente gesta e poemi, in primis (gestiscono Loro, il tutto – i “politici-politicanti” sono solo passa-carte-guai e non contano praticamente nulla).

    Licenziamenti selvaggi e senza guardare in faccia a nessuno. A nessuno – dalla “testa”, in primis.

    Ti davo per disperso – si vede che sei nei Lidi natii, in questi giorni; ne hai approfittato per vedere la Concordia! Che simpaticone, che sei [?Hai mantenuto la promessa su A-SAN?]

    Ps: Cara Vitalba (WELCOME TO), l’Italia è sì marcia e corrotta, ma in determinati Paesi l’indice di corruzione “rilevato” è del tutto “fittizio”: ossia, meglio non lavorarCi o non viverCi. Mi creda!

    ✍✓_s-U-r-f-E-r_ ✍✓ [Saluti a Tutti]

  5. Ciao Surfer!!
    Sono vivo e vegeto e soprattutto molto giovan-ile. Eheh
    Ho deciso di essere un lettore piu’ silenzioso di prima ma questo argomento mi piace molto e quindi ho deciso di dare un contributo da italiano all’estero sperando di stimolare la voglia in lettori mammoni giovani…se ce ne sono. Vorrei aiutarli a svegliarsi sai com’e’….
    Ho detto no all’Italia ad Agosto, ma ci sono stato a Luglio….certe mangiate di pesce! Ecco, si quello mi manca 😉

    Un caro saluto….A-San e’ alle prese con grattacapi burocratici , prova a chiedergli….LOL

    Abbracci!

  6. Grande post e ottimi commenti…
    Ps una dritta x chi non teme il clima scozzesse, a Edimburgo gli affitti costano meno della metà di Londra, il prezzo che si paga x un pasto è molto simile, le paghe son più basse e forse anche le tasse (questa è x chi ha interessi nella ristorazione).
    Con i benefit son più “benevoli” e l’ università è gratis (o quasi) per gli europei, non per gli inglesi ( ma ugualmente costa molto meno che a Londra).
    Il whisky è piaciuto anche a me che non ne vado pazzo…
    La popolazione locale è molto alla mano, sebbene non ai livelli londinesi è una città cosmopolita…
    Ora vedremo cosa succede con il voto molto prossimo.
    Buone cose
    P.S. Io sono stato nella capitale inglese qualche mese e ci tornerò ( x ora impiegato in nero ) presto ad aumentare la statistica della richiesta di Nin
    Cele

  7. Buongiorno a tutti. Vivo per l’appunto nel Regno Unito dal 2008.
    Alcune considerazioni sparse: qui non si mette la data di nascita sul CV e l’azienda che seleziona non può discriminare i candidati sull’età. Poi il precariato è pagato circa il 30% meglio del posto fisso, cosa che genera un esercito di felici free-lance e collaboratori a progetto che non hanno nessuna intenzione di venire assunti. In ultimo il fatto che sia relativamente facile licenziare per esubero (a me è successo due anni fa), ha tolto alla perdita del posto la stimmata dell’infamia e non ha nessuna influenza sul successivo processo di ricerca e selezione (ho cambiato due lavori da allora).
    My God, quanto è lontana l’Italia…

  8. Queste informazioni sono molto importanti al fine di definire meglio il “sistema”: fanno comprendere come vi siano una serie di elementi concorrenti a sorreggere una concezione del lavoro molto diversa da quella nostrana. E, comunque, la si reputi, è evidente che funziona. “Quanto è lontana l’Italia…”, hai ragione a dirlo, soprattutto considerando che essa non sa (o non vuole?) proprio conformarsi alle pratiche migliori…

  9. Anche mia figlia non ha problemi a lavorare a Parigi, si è trovata il lavoro da sola, io non so il francese e non conosco nessuno lì, quindi non avrei potuto far niente per lei.

    Ma il sistema di selezione italiano non cambierà mai.
    Ecco uno degli ultimi fulgidi esempi:

    http://www.primaonline.it/2013/12/12/176187/anna-masera-la-preferita-di-boldrini-come-capo-ufficio-stampa-della-camera/

    E’ sempre stato così.
    Al contrario dell’esperienza positiva di mia figlia a Parigi, io posso confermare di aver partecipato ad una specie di selezione mascherata da concorso in cui i posti erano già assegnati, sempre in base alle conoscenze politiche.

    Si indicono falsi concorsi, si richiedono centinaia di curricula per poi sistemare chi sta più simpatico, chi si conosce, ecc.

  10. “Trasparenza” non è streaming o sistemi similari, bensì il metodo operativo seguito da coloro i quali siano usi rendere conto del proprio operato. Gli autori di certe assunzioni cui tu accenni rientrano tra questi ultimi? Ne dubito molto…

    1. Proprio così.
      Io però distinguo nettamente pubblico da privato.
      Non penso che nel privato sia necessaria alcuna giustificazione da parte di chi assume.
      La trasparenza spero siate tutti d’accordo che valga esclusivamente per il pubblico e/o per società quotate.

  11. Concordo e, non a caso, il concetto di trasparenza per le società quotate venne introdotto con una legge (n. 216) del 1974, per gli enti pubblici con una legge (n. 241) del 1990, fino al recente c.d. decreto trasparenza (n. 33/2013). Ciò posto, tuttavia, qualunque soggetto, anche privato, conquista l’accountability, necessaria a tutti, rendendo conto del proprio operato: quindi, anche dei metodi di selezione e dei criteri di scelta adottati, che restano nella sua discrezionalità, comunque. Ma, se resi noti, contribuiscono a consolidare la fiducia in chi li decide.
    Sempre alla trasparenza, così, si torna.

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