L’isolazionismo impossibile

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John Kerry ha appena terminato il suo viaggio in Asia, dopo avere visitato Seoul, Pechino e Jakarta. L’impegno USA è confermato – si tratta della 5^ missione in Asia in poco più di un anno – ma i risultati sono affidati alla pazienza diplomatica, piuttosto che alla spettacolarità delle decisioni. L’amministrazione Obama è consapevole che gli Stati Uniti, per quanto potenti, non riescono da soli a risolvere le tensioni mondiali. Sono tanti gli attori e troppi gli interessi coinvolti. Questa nuova situazione viene spesso scambiata per parziale ma crescente disinteresse. Rilancia l’idea di un paese neo-isolazionista, orgoglioso della sua storia, che proprio ai valori fondanti affida la sua supremazia. La ripresa economica statunitense viene fatta coincidere con il progressivo disimpegno dalle questioni internazionali. Pur se l’accostamento è quantomeno frettoloso, esistono alcuni segnali importanti. Obama per formazione politica preferisce gli affari interni. Il lungo apprendistato a Chicago prevale sulla sua origine keniota o sulla giovinezza trascorsa in Indonesia. Il ruolo di gendarme si è ridotto con i ritiri da Afghanistan e Irak, mentre su tutti gli altri fronti la Casa Bianca preferisce l’approccio negoziale o l’intervento della Nato con gli alleati. Da ultimo, la prossima autosufficienza energetica rende il Medio Oriente un terreno prevalentemente politico, dove gli approvvigionamenti di petrolio non sono più strategici. Le battaglie di Obama sono combattute sul versante interno. La sua ambizione maggiore rimane il controverso Obamacare, la riforma del sistema sanitario. Il salvataggio dell’industria automobilistica, l’impegno a creare nuova occupazione sono gli argomenti nelle sue corde. Fece scalpore lo scorso autunno la sua decisione di cancellare un importante viaggio in Asia perché alle prese con la difficile trattativa con il partito repubblicano sui limiti del budget federale.

La percezione di una superpotenza racchiusa al suo interno – grande abbastanza da produrre e consumare da sola – è in realtà contestata da molti osservatori. Il segretario di stato Kerry, nel suo recente intervento a Davos ha smentito qualsiasi disimpegno statunitense dalla scena internazionale e dai suoi teatri più pericolosi. Ha invece ribadito la necessità della pressione politica e dell’intervento multilaterale. È una posizione ripresa dalle analisi di Joseph Nye, il famoso politologo statunitense, noto al grande pubblico per aver coniato il termine softpower, la forza che deriva dalle idee, dalla conoscenza globale di un modello riconosciuto prima ancora di essere ammirato. Proprio nella combinazione di softpower e di hardpower il Prof. Nye immagina l’intervento americano nella gestione di realtà complesse, dove il rapporto tra Washington e Pechino, al contrario di quello con Mosca nella Guerra Fredda, è soltanto uno dei numerosi aspetti da considerare.

“Il problema per la potenza statunitense nel 21^ secolo non è soltanto la Cina, ma la rinascita degli altri paesi”

Proprio con il gigante asiatico si misura la complessità dell’impegno e, dunque, lo scarso respiro delle analisi sul nuovo isolazionismo. Gli Stati Uniti, come peraltro la Cina, non possono fare a meno di collaborare. Ciò ovviamente non significa che le tensioni sbiadiscano o addirittura scompaiano. In realtà, sembra che più i legami si stringano, più le diversità appaiano e talvolta confliggano. Tuttavia il G2 non può che dialogare. Obama sa bene che nella storia del suo paese la politica estera è stata indirizzata dalle esigenze interne. L’isolazionismo è stato sconfitto quando la nuova potenza non poteva essere confinata tra i 2 oceani che la bagnano. Il Presidente dovrà brevettare – e lasciare in eredità ai suoi successori – un intervento più meditato e articolato, ma certamente non potrà riportare in auge i discorsi di un secolo fa, che la globalizzazione e le leggi dello sviluppo hanno da tempo consegnato alla storia.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

Una risposta a “L’isolazionismo impossibile”

  1. Un piacere come sempre leggere tuoi analisis, con un italiano cosi perfetto che per me è un doppio piacere leggerti.
    E come questo blog è serio, preferisco continuare in spagnolo per no fare una cattiva figura.
    Interesante anáisis de las preocupaciones de Obama, recuperación interna, volver a ser fuertes internamente y por otro lado una actitud mas conciliadora no de cawboy del viejo oeste, sino un astuto abogado afroamericano que cree mas en la persuasión de la diplomacia que en los tanques, ayuda a cambiar la imagen internacional de ese USA prepotente, que arrasa todo en pos de los slogan defensor de la democracia, exportador de la democracia. Ese uso del softpower planteado por el Prof Nye es evidente en las relaciones entre USA y Vietnam, situación impensada 20-10 años atras, Justamente ese relacionamiento entre USA y Vietnam deja en evidencia que aunque su foco personal primordial es el interno del pais, no deja de lado lo global. Su gravitacion en el mundo asiatico, su vuelta al Mar del Sur, su relaciones con Philipinas, Japon, Myanmar, Korea del Sur y fundamentalmente China. Un astuto uso del softpower, USA presente en el mundo asiático como contrapeso al poderío Chino que por historia y hegemonia en la región es indiscutible. El mundo globalizado dicta nuevas reglas de relacionamiento? si es cierto, pero las viejas practicas siempre están ahí para poder ser invocadas en cualquier momento. Creo en los conceptos de softpower and hardpower planteados por el Prof Nye a quien admiro, pero aún necesita ser mas expuesto y comentados, pues para muchos aun las practicas del siglo pasado son las que deben imperar y fomentando nacionalismos que crean tensiones innecesarias.

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