L’autore di oggi è il più giovane italiano di cui abbiamo trattato qui alle #LettureInclinate e fra i più giovani in assoluto della nostra rassegna, insieme a due colleghe di lingua inglese, Sally Rooney e Sarah Crossan e ad una di lingua francese, Victoria Mas.
L’autore
Marco Missiroli è nato a Rimini nel 1981 e ha “messo la testa fuori dalla sabbia” (parole sue) con un romanzo con titolo e copertina piuttosto accattivanti (Atti Osceni in Luogo Privato, Feltrinelli) risalente a quando, nel 2017, era ancora più giovane e dove, già dalle prime pagine (il figlio vede la madre praticare una fellatio ad un amico di famiglia), entriamo nel particolare mood di questa storia ambientata fra Milano e Parigi a partire dagli anni Settanta.
Nel 2019 Missiroli ha scritto un altro romanzo di successo, Fedeltà (Einaudi), ambientato ancora a Milano, che forse ci ha convinto meno, ma ciò non ha fatto che accrescere la nostra curiosità per la sua nuova fatica, scritta in tempo di pandemia a Rimini, dove è ambientata per lo più: Avere Tutto (Einaudi, 2022, pagg. 159, Euro 18).
Siamo di fronte ad una figura di rilievo della narrativa italiana di questa generazione e a Missiroli ci affidiamo spesso, come ci capita anche con Piperno (di nove anni più vecchio), anche nella sua veste di critico per La Lettura, con le sue interviste ad autori, come quelle a Mario Vargas Llosa e Yasmina Reza, o le recensioni, come quella dell’ultimo Franzen.
In molti (fra cui Antonio D’Orrico su La Lettura n. 568 del 15 ottobre 2022) hanno scomodato, per Avere Tutto, paragoni con Philip Roth e il suo Patrimonio (Einaudi, 2007), la storia di un figlio che assiste all’agonia del padre, e certamente questo è un filone rilevante, ma non ci pare certo l’unico.
Il Libro
Avere Tutto è un lungo e tormentato dialogo fra Sandro Pagliarani, quarantenne pubblicitario, riminese trapiantato a Milano – figura largamente autobiografica – e il padre Nando, settant’anni superati da poco, vedovo di Federica, con un cuore malato e una malattia incombente che se lo porterà via rapidamente.
Le prime righe del romanzo ci portano dentro al plot:
“Mi telefona mentre sono al supermercato. Lo saluto, lui si raschia la gola ma non parla. So che gira di notte con la Renault 5.
Gli chiedo se sta bene.
-Scusa il disturbo, – dice
Tira dalla sigaretta – Alla fine ti hanno pagato?
-Ancora no”.
Al figlio infatti avevano riferito di queste misteriose uscite notturne del padre (e scopriremo di cosa si tratta), e allora Sandrin (così lo chiama il padre) decide di tornare nella casa della sua infanzia a Rimini: inizia così un lungo dialogo, scritto in prima persona dall’io narrante Sandro, a definire quella che è senz’altro la prima dimensione importante di questo romanzo, una dimensione diremmo di tipo “verticale”, generazionale, fra padre e figlio: il momento del declino fisico del genitore è un modo per rievocare la storia di questa famiglia, fra Rimini, Ravenna, la Val Marecchia e Milano.
L’altra dimensione di questo romanzo, evocata nell’incipit, intercetta il filone narrativo principale fino a prendere il sopravvento, in una sorta di chiasmo, e riguarda i soldi, il denaro, e il gioco d’azzardo, di cui Sandro rimane schiavo per vari anni e che viene descritto da Missiroli con la dovizia di chi ha vissuto questa esperienza (infatti l’autore ha dichiarato di aver giocato per due anni e mezzo).
Alla cronaca, concitata e veloce, resa con molti dialoghi, intercalari e dialetto riminese, si alternano quindi momenti di introspezione e ricordo di episodi passati, sull’infanzia di Sandro, gli amici, e l’incombere di questo mostro del gioco che ti divora dentro, e divora quel che c’è intorno, perché inizi a rubare alla tua famiglia e perdi il tuo grande amore, a causa di questo.
Marco Missiroli ha raccontato di come questo libro sia nato dalla cura maniacale della parola (viene effettivamente in mente Philip Roth, che diceva che in fondo lo scrivere è
“mettere una parola dopo l’altra, e poi un’altra e poi un’altra ancora”
“la lingua genera il plot, la lingua crea la storia”
ed effettivamente la scrittura di questo libro è estremamente interessante, con dialoghi spontanei, serrati, con molto ricorso ad espressioni dialettali, ed una cura maniacale di un testo spesso minimalista, realista, molto dettagliato, dalla sintassi accurata ancorché informale e talvolta, solo apparentemente, imprecisa.
Ecco ad esempio un giovane Sandro che effettua i suoi primi furti di denaro, in casa, per giocare:
“Il macinino del caffè è sull’ultimo ripiano della cucina, sotto c’è la mensola con il quaderno della spesa e il ricettario. Salgo sulla sedia per arrivarci, le banconote di taglio piccolo sono in cima. Quando non ho più bisogno della sedia sto in punta di piedi e inizio a raspare le cinquantamila lire sul fondo. Raspo una volta ogni tre settimane. Poi una volta ogni due. La sala giochi, il bar Sergio con le slot, il blackjack elettronico del distributore di benzina”.
Allora la permanenza col padre, che dall’estate ci porta all’inverno (i capitoli sono intitolati con i nomi dei mesi), e al finire della vita, è il modo con cui Sandro fa i conti con la propria, di vita, sul come ha perso Giulia (cui ovviamente aveva sottratto denaro per giocare) e rubava soldi ai genitori, a come aveva cominciato a sentire dentro di sé questa cosa che ti toglie ogni altra priorità, il gioco, e che ti rende una persona talmente diversa che Nando pensa di avere due figli, non uno:
“Un figlio o l’altro figlio. Glielo diceva anche lei [la madre] quando la mandava avanti a telefonarmi a Milano per sapere come stavo. Appena chiudevamo il telefono glielo chiedeva: è il nostro o l’altro che zùga?”
Avere Tutto è un libro su una famiglia della nostra provincia, come ce ne possono essere tante, che scopre la vacanza in Sardegna negli anni Ottanta, si arrabatta con l’impiego nelle ferrovie, ha un figlio che se ne va; è un libro su come era questa provincia, su come è cambiata, su un giovane che trova la sua strada nella città, questa Milano solo evocata del caos, della movida, della carriera, ma anche dei tavoli da gioco negli appartamenti sfitti; è un libro su un uomo che poi torna, cerca la sua dimensione e la trova nella cucina di casa, col padre morente, nella provincia:
“…dover lasciare Milano, e vivere con lui, vivere qui, questa strada, il cemento e le aiuole, questa gente, le facce dell’infanzia e le musiche all’alba, la provincia che dimentico sempre. Vivere qui, Rimini.”
Ma poi, in fondo, “avere tutto” cosa? “Avere tutto significa raccontare le cose come stanno” ha dichiarato Marco Missiroli; e quindi, di nuovo, tutto ruota sempre intorno a quell’unica, enorme e fantastica cosa che, sotto sotto, ci raccontano i romanzi: vivere.