Contrariamente all’andamento generale dell’imprenditoria, le aziende di stato Cinesi e Russe ampliano le loro attività. In tempi di delocalizzazione e di frazionamento della catena del valore, i giganti investono in settori finora loro preclusi. Se ora è nevralgico trovare i fattori di produzione dovunque siano disponibili alle migliori condizioni, una nuova tendenza rileva che si può intervenire direttamente sull’offerta. È quanto sta avvenendo per le materie prime, il cui prezzo è stato finora dominato dalle condizioni di mercato, cioè dalla negoziazione e dai distributori. È noto che le materie prime sono una commodity, cioè una merce reperibile sul mercato, senza differenze, qualitativamente omogena. Non ne era importante il la provenienza, solo la disponibilità. Oggi le cose stanno cambiando e molti indizi confluiscono in una prova. L’azienda statale russa Rosneft ha acquistato lo scorso mese a Wall Street la divisione commerciale per il petrolio da Morgan Stanley. Gazprom, il più grande produttore mondiale di gas, ha costituito due società commerciali a Londra e Singapore. La Deutsche Bank ha abbandonato l’attività di trading delle materie prime, mentre Barclays e J.P. Morgan le hanno sensibilmente ridotte. Tra contatti e lavori in corso, l’elenco – riportato da una nota della Reuters – potrebbe continuare. La ragione del disimpegno va cercata nelle restrizioni imposte all’attività per le grandi banche dopo la crisi del 2008 e nell’importanza acquisita dai produttori e dagli utilizzatori, cioè dai venditori e dagli acquirenti. Sostanzialmente, grandi società di stato Cinesi e Russe vogliono entrare direttamente nel business, assicurandosi o tenendo per sé i margini di profitto. Possono farlo perché hanno capitali, protezioni e mandato politico, controllano la domanda e l’offerta. Tra di esse un ruolo centrale è costituito dai fondi sovrani, diretta espressione dei governi. Il controllo delle vendite e degli approvvigionamenti è decisivo. Gli Stati del Golfo intendono vendere gas e petrolio con margini garantiti e la Cina e il Giappone, giganti energivori dell’Asia, devono poterlo comprare a prezzi ragionevoli ma soprattutto con garanzia di offerta. Le fabbriche e le città hanno bisogno di combustibile, sia nella sofisticazione nipponica che nel modello quantitativo cinese. È verosimile dunque che la tendenza si rafforzerà: il prezzo delle materie prime sarà sempre di più determinato dai governi, dalle loro necessità e dalla loro capacità di chiudere trattative. Ciò avverrà attraverso l’intermediazione dei fondi sovrani e delle società di stato che operano nell’offerta e nella domanda. Sarà un successo dei paesi emergenti o già attori principali della globalizzazione. Il loro sviluppo non sarà più affidato – probabilmente nel medio periodo – alle banche dei paesi occidentali. Si tratterà di un secondo passo in avanti, dopo aver conquistato la possibilità di utilizzare i tesori naturali per fini interni e non soltanto per rifornire i paesi coloniali. Ora questo secondo passo tenderà a ridurre l’intermediazione. È probabile che assisteremo alla fissazione dei prezzi da parte dei governi dei paesi produttori. Sarebbe un’ironia della globalizzazione che ha trainato la supremazia delle aziende di stato pur nel trionfo dei principi liberisti.
Materie prime senza mercato?
Alberto Forchielli Scritto il
Pubblicato da Alberto Forchielli
Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor Mostra altri articoli
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