Nazionalismo: forza e debolezza del gigante asiatico

nazionalismo cinese

Il nazionalismo cinese non sta rinascendo; in realtà non è mai morto. È il frutto di millenni di storia, una serie infinita di passaggi che si sono accumulati, causando uno strato di orgoglio difficile da estirpare. Il paese è etnicamente unito al suo interno, quanto culturalmente differente dal resto del mondo. Il suo tratto distintivo non è la superiorità, quanto la diversità. Molte civiltà hanno etichettato “barbari” i popoli alle frontiere; solo la Cina ha costruito una Grande Muraglia per difendersi. L’obiettivo non era la sicurezza militare, quanto l’integrità culturale, la differenza prima con i nomadi ai confini, poi con il resto del mondo.

Oggi il nazionalismo storico si coniuga con il comunismo al potere. Dopo la svolta di Deng Xiao Ping del 1978 è apparsa evidente l’ambizione del riscatto. Sotto la guida del Pcc – questa era la scelta – la Cina sarebbe dovuta crescere per evitare la fragilità nella tensione della Guerra Fredda. Sconfiggere la debolezza significava allontanare il pericolo del “secolo delle umiliazioni”, la ferita più forte dell’intera storia millenaria cinese, una lacerazione ancora sanguinante nella mente e nei cuori della popolazione. Dalla Guerra dell’Oppio (1840) alla fine della seconda guerra mondiale il paese è stato occupato dalle milizie straniere e vessato per la prima volta. Era stato costretto a rinunciare alla sua sovranità a capitolare di fronte a eserciti più forti.

Negli anni del Maoismo, la responsabilità veniva addebitata principalmente alla corte imperiale; corrotta, decadente, reazionaria, non aveva saputo garantire l’unità del paese. Le responsabilità del Giappone e delle potenze occidentali erano mantenute, ma temperate dalle accuse agli errori politici interni alla Cina. Oggi le colpe vengono fatte ricadere sui nemici esterni, compresi in una sorta di congiura che ha come nemico la Cina. Questo passaggio è centrale: la lotta non è più ideologica, la contraddizione non è più tra comunismo e capitalismo. La Cina non è più un modello alternativo di sviluppo, come poteva essere quello dell’Unione Sovietica. Il paese è invece impegnato a rafforzare la sua struttura, a proteggere i propri confini: politici, economici, culturali. Non ha un modello da imitare, né soprattutto vuole averlo. Non vuole essere l’avanguardia di altri paesi, se non per le proprie convenienze. Se questa posizione è legittima – ammesso che non vengano violate leggi internazionalmente riconosciute e che la Cina stessa ha firmato – essa entra comunque in contraddizione con la realtà. La Cina è un paese governato da un partito unico, comunista, ed ha intrapreso una politica apertamente capitalista (almeno nelle sue linee essenziali). È un attore principale della globalizzazione, eppure ha mantenuto i suoi tratti più marcatamente nazionali. È il paese più popoloso al mondo, eppure in termini di soft power, è ancora relativamente poco conosciuto.

nazionalismo cinese

Il nazionalismo è il mastice che tiene unite queste contraddizioni e rimanda la loro deflagrazione. Il Governo da una parte lo incoraggia, dall’altra trae sostegno al suo ruolo. Un paese che si fa rispettare conferma che la sua classe dirigente è legittimata, ha ricevuto il “mandato del cielo”. Progresso economico, standard di vita e nazionalismo sono le basi del consenso, congiuntamente alla censura e al controllo. In via generale, appare chiaro che l’economia ha esaurito il suo corso e che la supremazia ritorna alla sfera politica. Quest’ultima aveva delegato un compito che l’economia ha già assolto (“la politica di apertura e riforme” di Deng Xiao Ping). Ora il paese è più solido, fuori dalle costrizioni del sottosviluppo. Può ritornare a far sentire la sua voce, a rivendicare territori che aveva lasciato nell’oblio, a proclamare una politica estera assertiva.

Sembra un’operazione di potenza, ma in realtà può nascondere una debolezza di fondo, una paura atavica. Può significare che il Governo ha bisogno di distogliere l’attenzione ai problemi interni – che sono numerosi – con una deriva nazionalista. La dirigenza sa bene che non deve faticare per attizzare il fuoco del nazionalismo nei cittadini. Il risentimento è stato soltanto nascosto in questi anni, non cancellato. In realtà le tensioni nel Pacifico non sono state risolte con una riflessione collettiva, come è invece accaduto largamente in Europa. Certamente anni di globalizzazione non hanno sopito i risentimenti; al contrario hanno dato loro motivo di tornare alla ribalta con più forza. È questa incertezza a preoccupare: avere dato fiato al nazionalismo per nascondere altre urgenze. Se queste dovessero diventare insostenibili, la tensione con gli altri paesi potrebbe diventare un motivo aggravante, non attenuante.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

5 Risposte a “Nazionalismo: forza e debolezza del gigante asiatico”

  1. Caro Forchielli,

    sempre molto interessante veder attraverso i suoi occhi la Società cinese .

    Ma stavolta mi sarei aspettato da lei almeno un accenno alla vicenda di Prato. Magari con una chiave di lettura diversa che uscisse dallo stereotipo e dal “politically correct” imperante. .

    Non era lei qualche post fa, a sentirsi indignato? Io lo sono oggi.a vedere quanti stanno cadendo dal pero e rivolgono parole sdegnate contro quella situazione .

    Ecco , magari era l’occasione giusta per spiegarci se è vero che nella mentalità di quei cinesi, quello che noi riteniamo “riduzione in schiavitù ” è parte integrante del loro modo di concepire lavoro, ricchezza e possibilità di “arrivare”
    Della visione per la quale sarebberi pronti a trasformarsi in un nanosecondo da schiavi a padroni avendo accetato da sempre le regole del gioco.

    Magari era l’occasione giusta per dire invece a “noi occidentali” che… “una cosa poco cara per noi, può diventare molto cara per qualcun’altro”.

    Magari poteva dirci se ritiene che il Governo cinese non sia assolutamente estraneo a queste situazioni e ne sia altrettanto responsabile , tanto quanto il nostro

    Ci poteva spiegare che secondo un vecchio proverbio di Confucio
    Non basta un giorno di freddo per gelare un fiume profondo.

    e che quindi ,in men che non si dica, tutto ritornerà esattamente come prima

    Magari con un post così questo blog potrebbe essere, oltre che molto interessante , ogni tanto anche un po’ meno “barboso ” 🙂

  2. Grazie , appena posso approfondisco. Sai io do’ sempre la priorità ai due blog che più mi intrigano e le news mi piace leggerle qui 🙂

    Si, in effetti anche Radio 24 non è male 🙂 🙂 🙂

  3. comunque … esiste un grado di criminalità ?

    Io la situazione la conosco bene e ti posso assicurare che di criminali li ce ne sono parecchi ,e i Cinesi sono solo uno dei pezzi della scacchiera .

    Gli altri sono esattamente come nella scacchiera, ognuno con le sue caratteristiche e le sue responsabilità.
    Non ultimo i pedoni che sono quelli che si scandalizzano , ma che quando si tratta di scegliere , fra 10 e 40 guardano dall’altra parte e prendono 10.

    E i pedoni indovina chi sono ?

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