Dipanare le nebbie della spesa pubblica

Il bilancio pubblico. Capita sempre più spesso che gli italiani si scoprano assillati dalle preoccupazioni per il bilancio pubblico. Tutti esperti, ormai, di debito e deficit si affannano a spiegare all’amico al bar che c’è la spendin’ reviù, che la Crisi si sente perfino nel mondo del calcio, che -porcaccia la miseria- le nostre squadre non riescono più ad attrarre i top-player e a vincere la Champions…

E’ giusto e doveroso preoccuparsi del bene del bilancio pubblico perché -anche se spesso tendiamo a dimenticarlo- tutto ciò che è patrimonio pubblico è patrimonio nostro (non “loro” riferito ai politici o agli invasori barbari). Il bilancio pubblico è la nostra cassa comune, con cui ci aiutiamo reciprocamente (Sanità, Previdenza…) ed investiamo sul futuro (scuole, infrastrutture…)

E parlando di spesa pubblica forse è opportuno chiarire alcune cose: stiamo sviluppando un pregiudizio negativo ogni volta che ne sentiamo parlare, fioriscono i contatori del debito che generano una comprensibile ansia, ma i pregiudizi sono veleno.

Prendiamo un esempio concreto: la costruzione di una infrastruttura, poniamo una autostrada, o la cablatura con banda larga di un’area, o la costruzione di un ponte. Poniamo di finanziare l’intera opera con l’emissione di nuovo debito. La spesa è PIL, e la costruzione genera occupazione, stipendi che diventano consumi, indotto, facilitazioni per chi la utilizza. Tutto questo, in misura molto conservativa, ipotizziamo offra un ritorno reale in PIL solo del 6%. Con una fiscalità pari anche solo al 25% questo porterebbe un ritorno per lo Stato pari ad un 1,5% dell’investimento. Il costo del debito oggi (al netto delle attese di inflazione) e per i prossimi anni è inferiore all’1%. L’infrastruttura rimane a disposizione ed il suo costo si rivela inferiore al ritorno fiscale che genera: allo scadere del debito contratto per la costruzione ci sarebbero le risorse per abbatterlo e a fianco un PIL più elevato per -comunque- giustificarlo.

E allora com’è che il nostro bilancio pubblico versa in condizioni così meschine? Come mai, se fare debito è un’opportunità di crescita che si paga da sola?

innanzitutto le prospettive di inflazione possono variare: emettere debito a tassi elevati quando l’inflazione è alta fa crescere il costo reale del debito quando poi l’inflazione scende.

Ma soprattutto quello che ha pesato è la destinazione degli investimenti. Contrarre debito per costruire ospedali che marciscono inutilizzati, per fare strade, carceri, o qualsivoglia altra infrastruttura-cadavere, di cui il Gabibbo ed i suoi epigoni ci raccontano periodicamente, trasforma il debito in un fardello che negli anni si accumula fino a diventare una cappa come quelle che affliggono gli ipocriti nel XXIII canto dell’Inferno di Dante.

La nostra aliquota fiscale è ben oltre il 25% riportato nell’esempio e nonostante questo le casse dello Stato boccheggiano.

Se quando lo Stato stanzia denaro, preso a prestito, questo viene dilapidato in appalti per gli amici degli amici, le cose prima o dopo vanno a finire male, o -in alternativa- molto male.

E’ di questo che si parla quando arrivano piani da Bruxelles come quello da 300 miliardi per le infrastrutture di cui il neo-presidente della Commissione Europea Juncker ci fornirà dettagli a fine anno. Il debito investito in infrastrutture produttive è uno strumento virtuoso di politica economica, che magari ha un costo immediato, ma che tendenzialmente si ripaga da solo generando (molte) più risorse di quante ne consuma (lo dice anche il FMI, che per una volta non passa per la sigla di Fiscalità Molto Invadente).

Italia, Francia, Spagna e altri si cimentano nell’impresa di chiedere o pretendere di rimandare i propri piani di rientro dal deficit, oppure a non far conteggiare gli investimenti nei calcoli dei parametri europei. Partite difficili da vincere se l’emissione di nuovo debito va a confluire nel calderone di un bilancio pubblico devastato.

Potrebbe allora essere interessante per il governo in carica, che tanta energia spende nel mostrarsi innovatore, sfruttare un momento storico particolarmente favorevole sul fronte tassi/inflazione e introdurre uno strumento di trasparenza, una sofisticazione che può rivelarsi necessaria al recupero della credibilità internazionale che negli ultimi decenni ci siamo “fumati” allegramente: dare un nome alle emissioni di debito pubblico.

Diventerebbe più semplice per i contribuenti scoprire come e dove viene investito il loro denaro se ogni emissione di BTP fosse una sorta di project-bond, legato ad un particolare progetto, e nel tempo -oltre a valutare costi, ritorni e coerenza nelle durate del cantiere e del debito- restituiremmo alla gestione del bilancio pubblico il criterio del “buon padre di famiglia“.

Di simili sofisticazioni, che sono oggettivamente delle complicazioni, se ne può fare a meno laddove la cosa pubblica non è percepita come una mangiatoia, ma in Italia dove siamo incapaci di regolare la spesa pubblica in funzione della raccolta fiscale (col risultato che ogni governo si ritrova regolarmente a fare l’inverso) questa operazione-trasparenza potrebbe servire a legare i polsi di chi fa il gioco delle tre carte coi nostri soldi, convogliando così su specifiche questioni l’attenzione dell’opinione pubblica anziché alimentare il sentimento antipolitico. Il tutto a vantaggio -di conseguenza- dell’efficienza della spesa pubblica.

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Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

2 Risposte a “Dipanare le nebbie della spesa pubblica”

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