Oblomov, e la grande modernità dei classici

Oblomov

Come affermiamo spesso, è sempre il caso di tornare ai grandi classici, a quei romanzi che rappresentano un patrimonio imprescindibile della letteratura: questa ci parla di come siamo, di come funzioniamo e avere a che fare con uno dei suoi punti fermi ci consente di continuare a capire cosa siamo noi e di riflettere, di nuovo, su cosa significhi davvero vivere.

Sembrerà un’introduzione pretenziosa, ma crediamo sia molto fondata se al nostro cospetto c’è il libro di oggi: Oblomov, di Ivan A. Gončarov (1812-91); abbiamo letto l’edizione Feltrinelli, curata e tradotta da Paolo Nori (pagg. 573, Euro 12).

Il romanzo uscì nel 1859 e proprio Paolo Nori, nella sua come al solito arguta introduzione, dice che “dopo aver tradotto un libro come questo, si ha l’impressione di poter dire solo delle banalità”; noi però ci proviamo, a dire qualcosa, e lo faremo, come sempre coi grandi classici, senza la pretesa di dire cose nuove – come potremmo? – ma semplicemente con l’intento di far capire perché questo è un grande romanzo, come è scritto e perché è certamente il caso di leggerlo.

Ivan Gončarov nasce nel 1812 a Simbirsk, la attuale Ul’janovsk (così ridenominata in onore di Lenin) e dopo studi commerciali – dei quali si trova ampia traccia nel romanzo in tutte le frequenti trattazioni di temi di commercio e di economia domestica – si laurea in Lettere e trova impiego nel vasto apparato statale della Russia zarista. Degno di nota il fatto che, fra il1853 ed il 1854, il nostro effettua un giro del mondo a bordo di una fregata, e anche di questo troveremo eco nel racconto, dove la dimensione del viaggio, del movimento, del “fare” è molto spiccata.

Il’ja Il’jč Oblomov è un uomo che ha da poco superato i trent’anni e vive a Pietroburgo, in un appartamento sulla via Gorochovaja, e nelle prime righe del romanzo, dopo averci detto che Oblomov “era a letto”, l’autore ne tratteggia un semplice e chiaro ritratto:

“..era un uomo sui trentadue-trentatrè anni, di media statura, di piacevole aspetto, con degli occhi grigio scuri e l’assenza di qualsivoglia idea precisa, di qualsivoglia capacità di concentrazione nei tratti del viso […] A volte il suo sguardo era offuscato da un’espressione come di stanchezza e di noia; ma né la stanchezza né la noia potevano cacciare nemmeno per un attimo dal viso la morbidezza che vi regnava…”.

Specificare che Oblomov era a letto serve per introdurre subito un primo punto sulla struttura narrativa di questo romanzo, composto di quattro parti: ebbene, serviranno oltre duecento pagine per arrivare a quando il nostro protagonista, in questa giornata di primo maggio, riuscirà a vestirsi e ad alzarsi dal letto; da qui la folgorante notazione di quell’acuto e sfrontato osservatore che fu Vladimir Nabokov:

“Nella Recherche, il protagonista ci metteva centocinquanta pagine ad andare a letto, in Oblomov ci mette centocinquanta pagine ad alzarsi, dal letto”.

Infatti, sempre nelle prime righe, il narratore rende noto che:

“Stare sdraiato, per Il’ja Il’jč, non era né una necessità, come per un malato o per una persona che voglia dormire, né un caso, come per chi sia stanco, né un piacere, come per un fannullone: era la sua condizione normale”.

La prima parte del romanzo vola via rapida, in questa mattina di primo maggio, con Oblomov che cerca di alzarsi e di vestirsi, aiutato dall’ineffabile maggiordomo Zachar (figura che rimane nella mente del lettore come una delle più spassose, teatrali e dolenti mai lette), mentre una sequela di personaggi accede alla sua casa tempestandolo di inviti, comunicazioni, eventi, mentre lui a malapena riesce a connettere.

Il fatto è che vi sono problemi: il possedimento di campagna, la tenuta avita di Oblomovka, non rende come dovrebbe, il padrone dell’appartamento in cui Il’ja vive a Pietroburgo lo vuole cacciare, ci sono dei conti da vedere, dei debiti da saldare, ma Oblomov non riesce a mettere la testa su nulla, non riesce ad impegnarsi a fare nulla, viene sommerso di istruzioni, proposte, consigli di tutte queste persone, non tutte in buona fede, che si succedono al suo cospetto, e solo questo lo spossa al punto da non riuscire a concretizzare niente: abbiamo di fronte una persona buona, che non ha bisogno di lavorare, ma che è sopraffatto dai problemi quotidiani e non riesce assolutamente a metterci sopra la testa, a prendere una decisione, continuando a rimandare, sperando che sia qualcun altro ad occuparsene.

La narrazione di queste prime ore di conoscenza con Il’ja Il’jč. richiede un buon quarto del romanzo e ci dà le coordinate per seguire poi la narrazione successiva, che invece copre svariati anni: a un certo punto, Oblomov, sopraffatto dalle preoccupazioni, dalle cose che in teoria dovrebbe fare – e non fa – non trova di meglio che….addormentarsi. Questo sonno dà origine ad un sogno, che è l’espediente narrativo con il quale Gončarov può raccontarci l’infanzia di Il’ja, nella campagna di Oblomovka, dove il piccolo cresce in un mondo ovattato e quasi immoto, tenuto lontano dalle preoccupazioni e dai problemi; qui conosciamo un personaggio fondamentale, Andrej Stol’c, figlio del precettore di Oblomov, di origine tedesca, coetaneo e amico di Oblomov che però cresce con un’impostazione opposta: dinamico, monello, sempre in movimento, sempre a mettersi in pericolo, egli rappresenta l’esatto contraltare del nostro Il’ja. Nella seconda parte del romanzo conosciamo meglio Stol’c, con una mirabile descrizione di questa persona tutta di un pezzo, imprenditore di successo, sempre in movimento, equilibrato:

“Non faceva mai gesti inutili. Se si sedeva, sedeva tranquillo, se agiva, usava la mimica strettamente indispensabile. Come nell’organismo non aveva niente di superfluo, così nell’organizzazione morale della propria vita cercava l’equilibrio fra i lati pratici e le sottili esigenze spirituali. I due lati procedevano paralleli, incrociandosi e intrecciandosi lungo il cammino, ma senza mai confondersi in pesanti nodi irrisolvibili”.

E’ Stol’c che presenta a Oblomov Olga Ilinskaja, una giovane dama, orfana, che vive con la zia e che Oblomov inizia a frequentare: fra i due nasce un sentimento e qui il romanzo percorre in maniera certamente più convenzionalmente ottocentesca il tema dell’amore contrastato fra i due; dall’esito di questa vicenda amorosa, il racconto prenderà le mosse per gli eventi successivi e finali, che lasciamo al lettore scoprire.

Perché questo romanzo è da leggere? Vi sono diverse chiavi di lettura, effettivamente, che vanno esplorate.

Certamente, lo possiamo considerare un bel romanzo ottocentesco, che ne ripercorre alcuni classici temi: l’amore, la malattia e la morte, la prosperità e la disgrazia, l’inganno e la giustizia percorrono le vicende di questa storia, che piano piano diventa persin avvincente. Ma Gončarov non si limita a questo, e va oltre, con una forte spinta verso la comprensione di come funziona la società del tempo, di come vengono regolati i meccanismi economici, domestici, di come vive anche la “povera gente” (per citare Dostoevskij), come fa la spesa, cosa mangia.

E questo ci porta ad un’altra grande chiave interpretativa, che forse appare la più convincente: l’inconcludenza di Oblomov, la sua accidia, il suo rifiuto di lanciarsi in tutte le attività in cui sia Stol’c che Olga lo vorrebbero impegnare, il suo rimanere fortemente ancorato al suo divano, al suo tinello, ci rappresentano un modernissimo “male di vivere”, un’attualissima incapacità di cavalcare il successo, di intraprendere, di accettare le regole di un gioco che pare avulso alla mentalità di Il’ja e che gli sembra inutile, spossante, dispendioso (in questo, taluni hanno letto una critica, molto precoce invero, alla borghesia e al modello dell’incipiente società “occidentale”).

Un grande critico, Giorgio Manganelli (1922-90), su questo romanzo ha scritto che Oblomov è un libro che

“non è lecito recensire. O lo conoscete, e vi ha sedotto, e una recensione non può dirvi nulla, o non lo conoscete, e allora, per favore, non perdete altro tempo con queste fatue righe, e andate a leggerlo”.

Noi, comunque, ci abbiamo provato a recensire questo romanzo e, in ogni caso, possiamo forse non fare nostro questo accorato invito alla lettura?

 

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Pubblicato da Leonardo Dorini

Manager, consulente, blogger. Mi occupo di finanza ed impresa, amo lo sport. Ma sono qui per l'altra mia grande passione: la letteratura.

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