Online o offline? Quale shop, questo è il dilemma?

online offline

Quello tra online ed offline è un dillemma senza soluzione? Forse no, grazie alle tecnologie potranno convivere meglio di oggi

In Italia il commercio al dettaglio è alla canna del gas ma non è che a livello internazionale, soprattutto pensandolo nell’orizzonte futuristico, stia alla grandissima. Il motivo è presto detto: l’e-commerce mondiale – Amazon, Walmart e Alibaba su tutti – offre prezzi più competitivi e un assortimento stratosferico, del tutto impensabile rispetto ai punti vendita tradizionali. E le tecnologie esponenziali come intelligenza artificiale, realtà virtuale, stampa 3D, rete sempre più veloce e, perché no, droni, c’è da giurarci, consentiranno nell’immediato futuro esperienze d’acquisto online al limite del fantascientifico. E forse la via di salvezza per i negozi tradizionali sarà proprio quella di far leva sulle stesse tecnologie.

Andiamo per gradi

Nel 2016 le vendite online, nel mondo, hanno sfiorato un giro d’affari di 2 trilioni di dollari. Per 1,5 miliardi di acquirenti. Ossia il 20% della popolazione mondiale di quell’anno. Nel 2017 si sono collegate a Internet 3,8 miliardi di persone. Entro il 2024 diventeranno 8 miliardi e grazie alla tecnologia 5G viaggeranno con connessioni veloci o velocissime. Numeri che dicono che lo scenario dell’e-commerce è quello non solo di un mercato non maturo – a differenza di quasi tutti gli altri – ma, addirittura, in grandissima crescita. Un mercato che peraltro non necessita di infrastrutture pesanti come la costruzione di nuovi centri commerciali e nemmeno dei relativi dipendenti che hanno anche il viziaccio di ammalarsi e lamentarsi delle condizioni lavorative. Ovviamente un minimo di infrastrutture e di risorse umane necessitano pure nell’ambito tecnologico però è comunque un business più agile e veloce di quello della vecchia industria o di quello del commercio in stile centro commerciale.

Per uno scenario “e-rivoluzionario” promesso dalla sempre maggiore diffusione dell’intelligenza artificiale che svilupperà robe “spaziali” tipo un sofisticatissimo servizio clienti automatizzato con feedback utilissimo per le aziende (di conseguenza potete dimenticarvi scorbutici “call-centeristi” dalla Romania che vi assistono scocciati in un italiano incomprensibile), filiera ultra-accurata con magazzini ottimizzati al secondo, contenuti marketing personalizzatissimi e con una interazione via social mai vista prima. Tutto ciò significa anche e soprattutto sempre più fiducia nelle spedizioni e riduzione dei costi sia per le imprese sia per i consumatori.

Il “futurologo” Peter Diamandis però, come suo solito, immagina ben altro. Per esempio, nel futuro, l’assistente personale agli acquisti di Amazon sarà in grado di conoscere i desideri del potenziale acquirente meglio di lui stesso. E ciò sarà possibile attraverso l’osservazione da parte sua delle nostre interazioni precedenti, compreso per quanto tempo guardiamo un oggetto e che espressione facciale abbiamo alla sua vista. Così sarà solo un brutto ricordo del passato quando acquistiamo un paio di sneaker su Amazon e per i mesi successivi tutta la pubblicità ci riproporrà quel particolare modello mentre in futuro ci proporrà il pantalone e la cintura o la polo in tinta da abbinarci… ma non è certo tutto qui!

Peter Diamandis immagina un assistente personale agli acquisti di Amazon che sarà in grado di conoscere i desideri del potenziale acquirente meglio di lui stesso, prefigurando questo dialogo con il nostro futuro assistente all’acquisto:

“Comprami un nuovo vestito per la cena di sabato sera”

e la schermata successiva sarà su un outfit perfetto per i nostri gusti.

No, aspetta, tu che possiedi una boutique in Via D’Azeglio a Bologna non suicidarti! C’è speranza anche per te! Devi confidare nella vendita esperienziale![sociallocker id=12172].[/sociallocker]

La situazione della vendita al dettaglio italiana ce l’abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni ma i dati americani non sono tanto migliori. Nel 2017 hanno infatti chiuso 6.700 negozi al dettaglio, battendo il record delle chiusure nel 2008 in piena crisi finanziaria. Però, ovviamente, se lo shopping online conviene e offre più varietà, il negozio fisico dalla sua ha l’esperienza, per l’appunto, fisica del contatto diretto del prodotto e, in alcuni casi, della relativa prova. E anche della comparazione con prodotti simili che visti dal vivo ci piacciono di più o ci stanno meglio indosso rispetto alla scelta iniziale. Si tratta di quella che è conosciuta come “l’esperienza di fare shopping” e che travalica nello shopping compulsivo delle nostre mogli.

Giocando su questo fattore, c’è speranza anche per la sopravvivenza del negozio fisico.

Se da un lato l’intelligenza artificiale svilupperà le armi dello shopping online, come abbiamo visto sempre più curato e ad hoc, dall’altro lato l’Internet delle cose – e la stessa intelligenza artificiale – potranno migliorare anche lo shopping tradizionale. Come? Ottimizzando personale, strategie di marketing, gestione delle relazioni con i clienti e, non ultimo, la logistica del magazzino. Anche perché a breve i punti vendita al dettaglio potranno servirsi della stampa 3D per offrire al cliente il prodotto nella variante che prima non trovava e adesso gli viene realizzato sul momento. E sul lungo termine, c’è da esserne certi, si inventeranno esperienze di consumo fisiche che daranno del filo da torcere allo sviluppo tecnologico esponenziale dello shopping online.

In entrambi i casi, l’esperienza di acquisto è in una fase di grande trasformazione.

Soprattutto bisogna guardare al bicchiere mezzo pieno. Nel senso che oggettivamente Internet e lo sviluppo tecnologico hanno migliorato il modo di acquistare, sia in funzione della comodità, dell’assortimento e del prezzo di gran parte dell’umanità occidentale. Amazon, tra pregi e inevitabili difetti, è l’esempio, la punta dell’iceberg di una rivoluzione che tocca gli usi e i costumi dell’uomo contemporaneo. E chissà cosa ci riserverà il futuro, grazie allo sviluppo tecnologico, per un business nel settore retail che oggi vale 20.000 miliardi di dollari. E con così tanti soldi in ballo, c’è da scommetterci, ne vedremo delle belle: online e offline!

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

Una risposta a “Online o offline? Quale shop, questo è il dilemma?”

  1. Comunque credo che su un sito divulgatore di notizie e usato da molte persone, giovani compresi, si potrebbe anche evitare di dire cose come “potete dimenticarvi scorbutici “call-centeristi” dalla Romania che vi assistono scocciati in un italiano incomprensibile”.
    In primo luogo perchè sono persone che lavorano e vanno rispettate in quanto tali e in secondo luogo non tutti vengono dalla Romania, spesso gli “scorbutici” sono anche di nazionalità italiana.

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