Ora il mercato sceglie l’Europa

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Da inizio anno le Borse europee hanno raccolto quasi il triplo di capitali di quelle statunitensi. Un fatto storico. Ma dobbiamo stare attenti all’Italia

Un anno fa il referendum inglese sulla Brexit sembrava aprire una frattura capace di mettere a repentaglio l’intera Unione Europea. Pochi mesi dopo, nelle elezioni presidenziali americane, un altro voto dall’esito inatteso ha allungato un’ombra sul futuro dell’Unione Europea: Donald Trump è diventato Presidente, dichiarando in più occasioni la sua opposizione al progetto unitario del Vecchio Continente, manifestando semmai – in sintonia al suo omologo russo Vladimir Putin – appoggio alle forze euroscettiche, prima fra tutte il Front National di Marine Le Pen in Francia.

Ma l’Europa, accerchiata da est (con la Russia impegnata a sostenere i nazionalisti), da nord (con il Regno Unito avviato a creare un precedente), da ovest (con gli Stati Uniti improvvisamente avversi alle logiche di libero mercato) e da sud (con la costante pressione della crisi dei migranti), ha saputo ritrovare un nuovo slancio. Le scadenze elettorali in Europa hanno prodotto un filotto di vittorie di partiti europeisti, che ha visto l’apice con la vittoria di Emmanuel Macron in Francia e che proseguirà a settembre in Germania.

I primi ad accorgersi di questo cambio nella direzione del vento sono stati i mercati finanziari: monitorando i flussi sugli Exchange Traded Funds (Etf), i fondi passivi sempre più protagonisti dei mercati, si può vedere come le borse europee abbiano iniziato ad avere flussi netti positivi di capitale a partire dallo scorso novembre. Dall’inizio dell’anno hanno raccolto quasi tre volte i flussi netti statunitensi (11,8 miliardi di euro contro 4,4). Storicamente la capacità di attirare capitali da parte delle borse americane è stata raramente messa in ombra in questo modo.

Le ragioni, però, non sono solo politiche. Il quadro macroeconomico europeo è in chiaro miglioramento, il ciclo mostra di essere in piena fase di espansione, con rilevazioni di Pil a valori crescenti e che vengono revisionate al rialzo di volta in volta. Viceversa negli Stati Uniti il ciclo appare più maturo, con la crescita che – pur essendo positiva – sembra aver esaurito la fase di accelerazione. Ci sono poi le diverse prospettive di politica monetaria: gli Stati Uniti hanno iniziato, seppur timidamente, un processo di “normalizzazione” dei tassi di interesse (hanno attuato già tre rialzi dei tassi dai minimi e i mercati scontano almeno un altro rialzo quest’anno).

In Europa l’elevata disoccupazione e la bassa inflazione richiedono ancora la “spinta” della Bce, ma Mario Draghi ha avvisato che ormai “la crisi è alle spalle” e pertanto presto inizierà anche nel Vecchio Continente un ritorno alla normalità monetaria. Questo ha provocato un maggior interesse per i titoli di Stato americani (flussi netti +941 milioni da inizio anno), che a questo punto garantiscono rendimenti più alti, rispetto ai titoli governativi europei (flussi netti -574 milioni) che offrono interessi modesti e potrebbero svalutarsi quando la Bce diventerà più restrittiva.

[tweetthis]I capitali fluiscono verso l’Europa come mai prima d’ora. Di @alienogentile[/tweetthis]

Alla ricerca di rendimenti, che sul mercato obbligazionario sono oggi molto bassi, il capitale si è decisamente spostato verso aree tipicamente associate a un maggior rischio: le obbligazioni corporate hanno avuto flussi netti pari a +4,222 miliardi di euro, mentre i titoli di Stato dei Paesi Emergenti hanno avuto flussi netti di +5,605 miliardi di euro.

L’approccio più disinvolto al rischio presuppone dei pericoli sistemici, come abbiamo imparato in svariate occasioni (basti pensare al mondo della finanza prima del caso Lehman Brothers), ed è certamente alimentato da eventi come il recente salvataggio delle banche venete in Italia, dove la garanzia pubblica è stata estesa a titoli di bassa qualità, palesando che pur di proteggere gli investitori dalle regole, il Governo è pronto a pagare un conto salatissimo. Si crea così un precedente che induce a confidare che questo schema si ripeterà come un circolo vizioso.

E questo è un primo, ma non l’unico, effetto negativo di un evento del genere. Il governo italiano paga inevitabilmente un dazio di credibilità: dopo aver detto per mesi che «il sistema bancario italiano è solido», oggi il ministro Padona si ritrova a dire: «Dopo le due banche venete non ci aspettiamo che altre banche abbiano bisogno di aiuti». Ma oltre a portare gli operatori ad assumere maggiori rischi e a mettere a rischio la credibilità di Palazzo Chigi c’è anche un terzo aspetto da non dimenticare: il salvataggio può incrinare quel clima di fiducia verso il progetto europeo di cui si accennava prima, facendo invertire di nuovo la direzione del flusso di capitali.

L’aggiramento delle regole europee, operato dall’Italia in occasione dell’intervento su Veneto Banca e Popolare di Vicenza, allontana la prospettiva di una unione bancaria e di una garanzia condivisa dei depositi sui conti correnti. Più ancora del peggioramento del rapporto debito/Pil potrebbe essere questo il vero conto da pagare per i “salvataggi” bancari.

Pubblicato sul numero di pagina99 in edicola dal 30 giugno

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Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

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