Ovunque sei, se ascolterai

 

Il primo ad emigrare fu mio padre. Lo accompagnammo alla stazione con la stessa mestizia di un corteo funebre: mamma stretta a lui in abito nero, noi figli un passo indietro, silenziosi e rispettosi della loro separazione da una vita sempre insieme.

Appena trovo casa, salite! Damme nu vase. E nu chiagnere!

Ci abbracciò con quel calore  struggente di chi sa che resterà per lungo tempo senza affetti. Sul binario un fiume interrotto di volti bui o sorridenti di famiglie intere o singoli emigranti, valigie di cartone, tovaglie annodate a fagotto per contenere salame, formaggio e pane per il viaggio. Arrivò il capotreno e fischiò la partenza e poi mani, braccia, baci e lacrime se li portò via il vento.

Passarono solo sei mesi che ricevemmo un telegramma: il momento di ricongiungerci era arrivato. Non vedevamo l’ora, l’eccitazione ci tenne svegli tutta la notte: su e giù per il treno, esplorando ogni carrozza, occupando il tempo quasi  a voler accorciare quella distanza chilometrica. Nello scompartimento, tra un tarallo ed un rosario le signore (mamma compresa) intrecciavano effimere amicizie, mentre fanciulle e giovanotti flirtavano in corridoio sotto la luce azzurra di servizio.

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© Gianni Berengo Gardin, Milano

Prendemmo alloggio in una casa di ringhiera con ballatoio e latrina in comune. Tante vite affacciate nell’unico cortile, destini e storie di un grande racconto popolare, parole incomprensibili e panni stesi, canzoni strillate, vecchi seduti a leggere il giornale, cesti con la spesa tirati su con la corda perché i gradini della scala sono tanti e consunti. Una torre di Babele colorata e vivace, dove socializzava l’operaio con il giudice, il sarto con il professore. Profumo di caffè, risate e pianto dei bambini, gatti sdraiati al sole. Questo era il nostro condominio: una famiglia allargata dal cuore grande.

I vicini si chiamavano Tranquilli e a dispetto del loro cognome erano piuttosto rumorosi. Mia sorella fece subito amicizia con Luisa che faceva la cassiera in una pasticceria del centro. Era molto bella e tutto il quartiere prese a corteggiarla; così feci anch’io.

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© Mario De Biasi, Gli italiani si voltano

Nessuno sapeva  del mio segreto. Avevo trovato lavoro come contabile, che per gli abitanti del palazzo era un bell’impiego, pacche sulla spalla, orgoglio di mio padre che lo annunciò a gran voce invitando tutti a casa a festeggiare con le paste della Luisa e un bicchierino di cordiale. Quanta gente, maronn’ ch’ confusione! Era sempre così e non vi dico quando c’era una nascita o un matrimonio! Fu proprio quel giorno che conobbi A.

Era arrivato da poco, e anche se frastornato dal viaggio, volle unirsi a noi. Ciò che resta indelebile è l’immagine di lui appoggiato mollemente alla ringhiera, gli occhi neri, i modi gentili. Si era trasferito a Milano per fare il cantante con il sogno di andare al Festival. Un destino tutto da scrivere il suo, il mio lo sfiorò stringendomi la mano.

Cominciammo a frequentarci. Non so dire se fosse vero sentimento o il senso di una sconfinata leggerezza. Tutto di lui mi attraeva. Era colto, emancipato ma soprattutto libero dalle convenzioni, dalle mie frustrazioni. E poi era bello, di una bellezza morbida e virile allo stesso tempo; le spalle forti quasi a voler sopportare da solo il peso del nostro amore “scandaloso” che cresceva ogni giorno di più come le note di una canzone.

Tramite un collega di lavoro, che aveva un parente alla Ricordi, riuscii a fargli avere un’audizione con un famoso discografico. Non vi dico la felicità quando gli comunicai la notizia! Il provino andò bene, anzi benissimo. In un mondo di urlatori c’era posto per una voce intima e raffinata?

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Festival di Sanremo 1961 Adriano Celentano dà le spalle al pubblico all’inizio della sua interpretazione di Ventiquattromila baci. Ed è subito scandalo

La sfida era appena cominciata. Si chiuse in casa per settimane a provare e riprovare, lo vedevo di rado ormai e soffrii molto la sua assenza. Quando chi ami s’allontana per qualsiasi ragione, senti dentro di te che una crepa invisibile sta per aprirsi come un diamante che riga il vetro. All’inizio non la noti, poi di colpo, ti frantuma.

Il successo ci travolse. Lasciò la casa di ringhiera e si trasferì in un appartamento lussuoso in centro. Aveva ora un manager che lo seguiva come un’ombra e lo aveva dissuaso dall’incontrarmi . È così fu che seppellimmo il cuore sotto il cumulo dell’ipocrisia.

Per vederlo convinsi mio padre a comprare la televisione a rate; e quando la sera del Festival arrivò, tutto il condominio si riuni per fare il tifo, ognuno con la propria sedia ed un vassoio carico di leccornie.

Ua’ com’é bellel! Eh il ragazzo farà strada…

Come mai non vi sentite più? mi chiese Luisa sottovoce. Non le risposi, mi alzai di scatto e presi dal tavolo la bottiglia di spumante. E adesso un brindisi! dissi soffocando le lacrime fra gli applausi scroscianti e l’annuncio dal palco della nostra canzone.

 

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Pubblicato da Daniela Pepe

Anima migrante, laureata in economia. Lasciò tutto per l'America viaggiando in Transiberiana. Vive a Roma ma il suo cuore è a Tel Aviv

5 Risposte a “Ovunque sei, se ascolterai”

  1. Bellissimo e commovente:
    “Quando chi ami s’allontana per qualsiasi ragione, senti dentro di te che una crepa invisibile sta per aprirsi come un diamante che riga il vetro. All’inizio non la noti, poi di colpo, ti frantuma.”…
    Splendida similitudine..

  2. Quelle foto di struggente bellezza. . Narrano di un mondo che non c’è più e che pare lontanissimo. Lo è solo culturalmente, non in termini temporali, perché 50 – 60 anni sono davvero poca cosa ragionando di cicli storici.
    Brava, Transiberiana: come al solito, ti lasci prendere la mano dalle storie…

  3. Erano tempi difficili per l’amore e purtroppo lo sono ancora.

    “Grazie dei fior” di commenti che avete lasciato in camerino, saranno sempre “Rose rosse” per me.

  4. hai detto bene, sono tempi difficili per l’amore: sono tempi un pò cialtroni e superficiali, dove l’apparire prevale sull’essere, e quando si incrina (perché inevitabilmente si incrina), dietro non c’è nulla. Sono tempi in cui le passioni si sono deteriorate , sono divenute guerrafondaie, non più forza vitale ma istinto ferale.
    E allora inventiamo, ricordiamo, evochiamo e cerchiamo storie d’amore. Per non dover prima o poi concludere che
    “Un giorno dopo l’altro
    la vita se ne va
    domani sarà un giorno uguale a ieri.
    La nave ha già lasciato il porto
    e dalla riva sembra un punto lontano
    qualcuno anche questa sera
    torna deluso a casa piano piano”.

  5. Esiste ancora la possibilità dell’autentico/sfondando il linguaggio/richiede sforzo/si nasconde sotto sassi/asfalti e basalti/pietre e massi/ma l’autentico si dà/ nella nuda umanità/ma spogliarla è l’impresa/smascherarla, annegarla e amarla/ violarla oltre schermi rigidi/fulgidi/ metallici e fallici/ stelle di un potere stanco e stinto/ che attende da troppo di abdicare.

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