« Partendo da speculazioni sull’origine della vita e da paralleli biologici, trassi la conclusione che, oltre alla pulsione a conservare la sostanza vivente e a legarla in unità sempre più vaste, dovesse esistere un’altra pulsione a essa opposta, che mirava a dissolvere queste unità e a ricondurle allo stato primordiale inorganico. Dunque, oltre a Eros, una pulsione di morte”.
Sigmund Freud
“La grandezza dell’uomo è nella decisione di essere più forte della sua condizione.”
Albert Camus
Parlare di Bowie richiederebbe molte parole e competenze e qui nel salotto oggi mancano entrambe. Le prime per il dispiacere e le seconde perché non siamo e non vogliamo essere critici musicali. Costruitevi da soli una prima mappa intorno al lavoro artistico del Duca Bianco e viaggiate fra i brani che ascoltiamo qui in salotto per ricordarlo o navigando l’apposita playlist che le Muse hanno costruito proprio per voi lettori di Pian Piano.
Bowie è un personaggio mitico perchè ripercorre la parabola di Eros e Thanatos con rara coerenza e li prende per mano ambedue con un coraggio sorprendente. Il desiderio di esplorare le estremità dell’umano con i sensi, la spinta ad esperire continuamente, con il corpo e con la mente, a sovvertire senza sosta la rappresentazione dell’ordine nel disordine e viceversa, lo ha coerentemente portato a ridiscutere sempre qualsiasi principio identitario. Ne è un valido esempio una sessualità che non era omosessualità od etereosessualità, ma uno scarto, oltre ogni dirsi “Io sono questo”. Resta evidentemente acceso il fuoco di Eros, la spinta a gettarsi oltre ogni mondo plausibile, oltre ogni cristallizzazione posticcia. Cos’è alla fine il mondo se non un coacervo di identità fittizie fra loro contrapposte in una rappresentazione teatrale? Bowie è appunto l’uomo che cadde sulla terra, una terra arida come Marte quando è percorsa dalla furia distruttiva di granitiche identità. Ne sappiamo forse qualcosa dalle cronache di questi giorni?
https://www.youtube.com/watch?v=v–IqqusnNQ
E sfuggendo a tutte le identità ogni atto è un’esplorazione, un’odissea, nell’arte, nella percezione, nello stare nel mondo senza avere consapevolmente un posto.
L’uomo ricco di astuzie raccontami, o Musa, che a lungo
errò dopo ch’ebbe distrutto la rocca sacra di Troia;
di molti uomini le città vide e conobbe la mente,
molti dolori patì in cuore sul mare,
lottando per la sua vita e pel ritorno dei suoi.
Ma non li salvò, benché tanto volesse,
per loro propria follìa si perdettero, pazzi!,
che mangiarono i bovi del Sole Iperione,
e il Sole distrusse il giorno del loro ritorno.
Anche a noi di’ qualcosa di queste avventure, o dea, figlia di Zeus.
Omero “Odissea”.
https://www.youtube.com/watch?v=D67kmFzSh_o
L’epoca del glam, la fama, i soldi e le droghe quasi uccidono il nostro, che si ferma appena in tempo prima di morire anzitempo. Eros incrocia Thanatos per un attimo. Le foto di quegli anni mostrano Bowie ridotto ad uno scheletro. Il nostro eroe fugge nel gelo Berlinese della guerra fredda e lì, animato dal desiderio di aprire strade nuove, di rompere la gabbia identitaria che era diventato il glam, abbandona il certo per l’incerto ed insieme a Brian Eno realizza tre pietre miliari nella storia della musica popolare del XX secolo: Low, Heroes e Lodger. Sono composizioni intrise di malinconia, per la fine del sogno degli anni 60 fattosi promessa impossibile. Sono gli anni della mitica chitarra di Robert Fripp e degli Eroi dal destino tragico.
https://www.youtube.com/watch?v=Tgcc5V9Hu3g
Gli anni 80 regalano un Bowie nuovamente al vertice del successo e lanciato nello starsystem del pop con hit planetarie, ma un’evidente crisi creativa è alle porte. Eros viene, Eros va….Cenere alla cenere
https://www.youtube.com/watch?v=N4d7Wp9kKjA
L’alieno torna, Eros spunta anche fra dischi poco convincenti. L’alieno è dentro e l’alieno è fuori. Ognuno di noi è alla fin fine straniero a se stesso…..Ci viene in aiuto Don De Lillo, uno degli scrittori preferiti da Bowie:
“In passato, ha abitato i corpi di adolescenti, predicatori fondamentalisti, una donna ultracentenaria, che viveva di yogurt e, performance davvero memorabile, un uomo incinto. Ma in questa opera la sua arte è oscura, lenta, difficile e a volte tormentosa. E non è mai il tormento grandioso di nobili immagini e ambienti. È un tormento che ha a che fare con me e con voi. Quello che inizia come solitaria alterità diventa familiare e addirittura personale. Ha a che fare con chi siamo quando non stiamo recitando chi siamo.”.
Don De Lillo “Body Art”.
https://www.youtube.com/watch?v=OOaqDEjxQAU
Thanatos ha sempre accompagnato Bowie e in quasi tutte le pellicole che ha girato come interprete il suo personaggio muore. La cosa è interessante ed è stata ribadita in una recente intervista del regista Giovanni Veronesi che con Mr Jones ha girato uno sgangherato western: “Parlava molto spesso della morte”. Ne sa qualcosa anche Mike Garson che ha accompagnato il Duca in una memorabile performance dal vivo della bella canzone di Jacques Brel “My Death”. Rappresentare a se stessi la propria fine con metodo è da sempre una sua ossessione.
Bowie è stato un voracissimo lettore di libri ed esiste una lista dei suoi 100 preferiti, fra cui compare “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Leggiamone un brano illuminante:
“Né l’uno né l’altro erano buoni, ciascuno pieno di calcoli, gonfio di mire segrete, ma entrambi erano cari e commoventi mentre le loro non limpide ma ingenue ambizioni erano obliterate dalle parole di giocosa tenerezza che lui le mormorava all’orecchio e dal profumo dei capelli di lei, dalla reciproca stretta di quei loro corpi destinati a morire.”.
Proprio la mente calcolante e le mire non dette mettono in fuga Eros, ne allontanano l’energia e ne indeboliscono lo slancio, intrappolandolo in una dimensione “mediana”: veleno per qualsiasi spunto creativo.
La non identificazione e la convivenza strettissima con Eros oltre alla sua costitutiva irrequietezza, radicano nei gesti creativi di qualsiasi grande artista il costante pensiero della morte, dell’impermanenza e della fragilità. Eros con la sua forza sovverte e travolge, ma svela nel suo agire Thanatos, come colui che simmetricamente lo accompagna sempre. Inseparabili. Bowie consapevolmente si volge alla morte, come già faceva sul palco reggendo un teschio fra le mani. Si cala in una dimensione di disfacimento, si immerge come un Tibetano fra femori, scheletri e cadaveri. Sta nel puzzo della decomposizione. E ritrovando Eno negli anni 90 registra un nuovo (incompreso) capolavoro: Outside.
Andiamo dunque nel disfacimento:
https://www.youtube.com/watch?v=7zRMTyK_Boo
L’approdo finale è la ricongiunzione degli opposti, la fine della parabola, dove Thanatos abbraccia Eros, dove la forza creativa mette titanicamente in scena la fine, dove le differenze fra i due sembrano annullarsi in un ultimo gesto artistico.
Questo commuove profondamente, non solo per ammirazione artistica, ma perché dice del vero che accomuna il destino di ogni essere: un rifugio in cui stare non l’abbiamo. Esistenzialmente siamo profughi e profughi restiamo o se preferite inquilini temporanei. Il Duca Bianco scava oltre le convenzioni, sbertucciando la saggezza borghese da supermercato che oggi ci abita e ironizzando sulle identità a cui siamo tanto affezionati da sventolarle impudicamente in piazza, identità costruite deliberatamente ed inevitabilmente per sfuggire a quello che in Lazarus si mostra senza veli e con schiettezza titanica: la morte. Lazarus diventa a tutti gli effetti il suo “campo di grano con corvi”, luminoso, accecante e impenetrabile, ma al contempo brutalmente esplicito. Bowie ci dona una morte non nascosta nei meandri di anonimi ospedali e freddi obitori, ma splendente della luce di Eros e accompagnata da una domanda preziosa: chi siamo quando non stiamo recitando chi siamo? .
Guarda qui, Sono in paradiso
Ho cicatrici che non possono essere viste
Ho i miei drammi personali, non possono essere rubati
Tutti mi conoscono adesso
Guarda qui, amico, io sono in pericolo
Non ho niente da perdere
Sono così sballato che il mio cervello turbina
E’ caduto il mio cellulare molto in basso
Non è proprio come me?
Con il tempo ho avuto modo di andare a New York
Vivevo come un re
Poi ho speso tutti i miei soldi
Stavo provando a fregarti
In questo modo o in nessun altro
Sai, io sarò libero
Proprio come quell’uccello
Ora non è proprio come me?
Oh, sarò libero
Proprio così
Sarò libero
Non è proprio come me?
David Bowie “Lazarus”
Un testo che conserverò per rileggerlo e meditare Lazarus mi ha colpito come un pugno in faccia. Coraggio,sguardo ,musica .provo una grande ammirazione per aver guardato il paesaggio della sua morte a averlo trasformato in un’opera,d’arte..
David Bowie non si lascia definire la sua è una costante apertura al cambiamento una innata disponibilità a essere contaminato da essenze altre rimanendo tuttavia sempre fedele a se stesso